"Siamo sulla strada per un aumento della temperatura globale di 6 °C e, cioè, per la catastrofe", avverte davanti al mondo a Durban, Fatih Birol, capo economista della International Energy Agency. Il tempo per evitare il peggio è agli sgoccioli, dicono i dati IEA. Ma la politica non sembra raccogliere l'allarme e la Cop 17 non promette bene.
Qualenergia - Siamo sulla strada per un aumento della temperatura globale di 6 °C. Cioè stiamo andando dritti verso la catastrofe. Parola di Fatih Birol, capo economista della International Energy Agency. Con l'inizio della diciassettesima conferenza delle parti sul clima, la Cop 17 di Durban, dalle principali istituzioni legate alla questione clima-energia stanno arrivando dati allarmanti su come stanno aumentando emissioni e temperature: nei giorni scorsi abbiamo sentito la voce di UNEP, IPCC e Organizzazione meteorologica internazionale (WMO). Proiezioni che per altro non sembrano intaccare l'incredibile scollamento tra quello che si dovrebbe fare e quanto nei negoziati si sta proponendo.
L'ultima a suonare il campanello d'allarme è stata appunto la International Energy Agency che mai prima d'ora aveva usato termini tanto drastici nel descrivere la situazione. A meno che non si abbandonino subito le fonti fossili, “il mondo è sulla perfetta traiettoria per un aumento della temperatura di 6 gradi Celsius. E anche i bambini delle elementari sanno che questa è una catastrofe per noi tutti”, ha dichiarato Birol davanti ai delegati delle quasi 200 nazioni convenute a Durban.
Una constatazione che nasce dalle analisi raccolte nell'ultimo World Energy Outlook di cui su queste pagine abbiamo già parlato. Il rapporto mette infatti in evidenza come, appunto, uno scenario business as usual condurrebbe oltre i 6 gradi di aumento al 2100 rispetto ai livelli preindustriali, mentre anche con gli impegni politici di riduzione delle emissioni “moderati” (il cosiddetto New Polices scenario) si andrebbe oltre i 3,5 °C.
L'unica strada per stare sotto alla soglia critica dei 2 °C di aumento, obiettivo adottato a Copenhagen e confermato a Cancun, sarebbe agire subito con decisione sugli investimenti energetici, dando uno stop alla realizzazione di nuove centrali e infrastrutture per le fonti fossili. Dallo studio IEA emerge infatti che quattro quinti delle emissioni totali di CO2, oltre le quali si mancherebbe l'obiettivo dei 2 °C, sono già allocate dallo stock di capitale esistente, ossia implicite in centrali elettriche, edifici, stabilimenti industriali, esistenti o in fase di realizzazione. Se entro il 2017, scrive l'Agenzia, non si farà inversione di marcia, con le infrastrutture esistenti ci saremo già giocati la possibilità di contenere le emissioni necessarie per tenere la concentrazione della CO2 sotto le 450 ppm, e dunque di fermare l'aumento entro i 2 °C.
Parole importanti quelle che il rappresentante di una delle istituzioni più autorevoli e conservatrici nel campo dell'energia ha pronunciato davanti al mondo a Durban e che “avranno forti implicazioni per gli investimenti nel settore energetico”, ha dichiarato David Burwell, del Carnegie Endowment for International Peace, l'associazione che ha organizzato l'incontro al quale Birol è intervenuto. Anche se, ha osservato Burwell, “si possono provare a mettere regole e incentivi, ma sono loro (gli operatori privati dell'energia, ndr) che devono prendere le decisioni e fare gli investimenti”. E, aggiungiamo noi, non lo faranno certo se non saranno costretti.
Il problema è che la politica sembra ben lontana dall'imprimere il cambiamento che servirebbe. Appare sempre più difficile che si raggiunga in questa Cop 17 un accordo internazionale sul clima per il post-2012: la Cina e i paesi in via di sviluppo del cosiddetto gruppo dei 77 vorrebbero un’estensione del Protocollo di Kyoto (che limita ai paesi ricchi gli obblighi di tagliare la CO2), mentre altri come Usa, Giappone, Canda e Russia non ci stanno senza impegni vincolanti anche per i paesi emergenti. A questo si aggiungono le preoccupazioni finanziarie: in questi ultimi giorni ad esempio Usa e Arabia Saudita stanno mettendo in dubbio il fondo da 100 miliardi di dollari per il clima nei paesi poveri su cui ci si era accordati a Copenhagen.
Anche se gli impegni presi dai vari paesi a Copenhagen e a Cancun venissero messi in pratica, poi, sarebbero troppo deboli. Rimanere entro la soglia dei 2 gradi é possibile solo le emissioni si fermano a 44 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente nel 2020. Con gli impegni attuali si arriverebbe per quell'anno a 54,6 miliardi di tonnellate, sforando cioè di 11 miliardi di tonnellate (si vedano questi grafici e questi dati UNEP).
Qualenergia - Siamo sulla strada per un aumento della temperatura globale di 6 °C. Cioè stiamo andando dritti verso la catastrofe. Parola di Fatih Birol, capo economista della International Energy Agency. Con l'inizio della diciassettesima conferenza delle parti sul clima, la Cop 17 di Durban, dalle principali istituzioni legate alla questione clima-energia stanno arrivando dati allarmanti su come stanno aumentando emissioni e temperature: nei giorni scorsi abbiamo sentito la voce di UNEP, IPCC e Organizzazione meteorologica internazionale (WMO). Proiezioni che per altro non sembrano intaccare l'incredibile scollamento tra quello che si dovrebbe fare e quanto nei negoziati si sta proponendo.
L'ultima a suonare il campanello d'allarme è stata appunto la International Energy Agency che mai prima d'ora aveva usato termini tanto drastici nel descrivere la situazione. A meno che non si abbandonino subito le fonti fossili, “il mondo è sulla perfetta traiettoria per un aumento della temperatura di 6 gradi Celsius. E anche i bambini delle elementari sanno che questa è una catastrofe per noi tutti”, ha dichiarato Birol davanti ai delegati delle quasi 200 nazioni convenute a Durban.
Una constatazione che nasce dalle analisi raccolte nell'ultimo World Energy Outlook di cui su queste pagine abbiamo già parlato. Il rapporto mette infatti in evidenza come, appunto, uno scenario business as usual condurrebbe oltre i 6 gradi di aumento al 2100 rispetto ai livelli preindustriali, mentre anche con gli impegni politici di riduzione delle emissioni “moderati” (il cosiddetto New Polices scenario) si andrebbe oltre i 3,5 °C.
L'unica strada per stare sotto alla soglia critica dei 2 °C di aumento, obiettivo adottato a Copenhagen e confermato a Cancun, sarebbe agire subito con decisione sugli investimenti energetici, dando uno stop alla realizzazione di nuove centrali e infrastrutture per le fonti fossili. Dallo studio IEA emerge infatti che quattro quinti delle emissioni totali di CO2, oltre le quali si mancherebbe l'obiettivo dei 2 °C, sono già allocate dallo stock di capitale esistente, ossia implicite in centrali elettriche, edifici, stabilimenti industriali, esistenti o in fase di realizzazione. Se entro il 2017, scrive l'Agenzia, non si farà inversione di marcia, con le infrastrutture esistenti ci saremo già giocati la possibilità di contenere le emissioni necessarie per tenere la concentrazione della CO2 sotto le 450 ppm, e dunque di fermare l'aumento entro i 2 °C.
Parole importanti quelle che il rappresentante di una delle istituzioni più autorevoli e conservatrici nel campo dell'energia ha pronunciato davanti al mondo a Durban e che “avranno forti implicazioni per gli investimenti nel settore energetico”, ha dichiarato David Burwell, del Carnegie Endowment for International Peace, l'associazione che ha organizzato l'incontro al quale Birol è intervenuto. Anche se, ha osservato Burwell, “si possono provare a mettere regole e incentivi, ma sono loro (gli operatori privati dell'energia, ndr) che devono prendere le decisioni e fare gli investimenti”. E, aggiungiamo noi, non lo faranno certo se non saranno costretti.
Il problema è che la politica sembra ben lontana dall'imprimere il cambiamento che servirebbe. Appare sempre più difficile che si raggiunga in questa Cop 17 un accordo internazionale sul clima per il post-2012: la Cina e i paesi in via di sviluppo del cosiddetto gruppo dei 77 vorrebbero un’estensione del Protocollo di Kyoto (che limita ai paesi ricchi gli obblighi di tagliare la CO2), mentre altri come Usa, Giappone, Canda e Russia non ci stanno senza impegni vincolanti anche per i paesi emergenti. A questo si aggiungono le preoccupazioni finanziarie: in questi ultimi giorni ad esempio Usa e Arabia Saudita stanno mettendo in dubbio il fondo da 100 miliardi di dollari per il clima nei paesi poveri su cui ci si era accordati a Copenhagen.
Anche se gli impegni presi dai vari paesi a Copenhagen e a Cancun venissero messi in pratica, poi, sarebbero troppo deboli. Rimanere entro la soglia dei 2 gradi é possibile solo le emissioni si fermano a 44 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente nel 2020. Con gli impegni attuali si arriverebbe per quell'anno a 54,6 miliardi di tonnellate, sforando cioè di 11 miliardi di tonnellate (si vedano questi grafici e questi dati UNEP).
Giulio Meneghello
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