Intervista al ricercatore Emilio Emmolo
Agenzia Misna -“Immaginate un enorme quantitativo di armi italiane ordinato da Muammar Gheddafi poco prima l’inizio delle rivolte che portarono poi alla caduta del suo regime. E immaginatelo nelle mani delle sue forze di sicurezza contro i manifestanti di Bengasi che diedero il via alle proteste. Tutto ciò è successo. Deve far riflettere e deve condurre a controlli seri sulle esportazioni di armi leggere perché in gioco c’è la libertà di popoli, la difesa dei valori della democrazia, l’impegno per i diritti umani”.
Parte da questa immagine Emilio Emmolo, ricercatore dell’Archivio Disarmo e tra i principali esperti italiani sui temi del disarmo e del trasferimento di armamenti.
Dottor Emmolo, cosa si intende per armi leggere?
“Quando parliamo di esportazioni di armi leggere parliamo di pistole, fucili e munizioni che vanno a Stati e civili, di armi letali che però sfuggono agli attuali sistemi di controllo. C’è un problema di tracciabilità che a noi istituti di ricerca ma anche al parlamento non consente di sapere chi siano i destinatari finali: di conseguenza queste armi possono facilmente finire nelle mani di gruppi armati e di terroristi semplicemente attraverso l’intermediazione di società di comodo”.
Lei ha diretto e appena pubblicato un rapporto con Archivio Disarmo (condotto da Melissa Tala e dal titolo “Armi leggere, guerre pesanti”) che alza il velo su una serie di casi anche eclatanti e che, come dimostra il caso libico, mostra nel concreto quali rischi si possano correre. Ma cosa si può fare?
“Le società esportatrici dovrebbero comunicare i dati al parlamento, aumentare la quantità di informazioni così da consentire di ricostruire la catena dal produttore all’utilizzatore finale, inviare le informazioni al registro dell’Unione Europea. Tutti vincoli che fornirebbero maggiori garanzie sulla tracciabilità delle armi vendute anche in considerazione della facilità con cui queste possono essere trasportate e occultate. Sono armi che possono finire sul mercato nero, in mano a terroristi, gruppi armati, reti criminali o, peggio, triangolate verso destinazioni non consentite”.
Questa diffusione incontrollata di armi può nuocere all’affermazione della democrazia lì dove la gente è scesa in piazza come nei paesi arabi?
“E’ foriera di grande insicurezza. L’ampia diffusione di armi non può che esacerbare i conflitti e rallentare il processo di pace e di costruzione della democrazia. Ancora una volta voglio tornare sulla Libia: non credo sia un semplice caso che il colonnello Gheddafi abbia acquistato quella grande quantità di armi poco prima delle rivolte. Man mano che il malcontento saliva, si è pensato bene di riempire gli arsenali utilizzati poco dopo. E contro folle di manifestanti Gheddafi non aveva certo bisogno di missili grad, gli bastavano le armi leggere comprate dall’Italia”.
Cosa è possibile fare per risolvere questo problema?
“Sul versante dei controlli è necessario assimilare le armi leggere alle altre armi, a quelle, per intenderci, vincolate al rispetto della legge 185/90 perché trasferimenti ad uso militare. Ed è poi indispensabile un trattato internazionale sul commercio delle armi che sarà discusso il prossimo luglio alle Nazioni Unite. Un trattato sostenuto dalla società civile, rispetto al quale lo stesso governo statunitense di Barack Obama ha cambiato le politiche delle precedenti amministrazioni, e che richiede un impegno diretto e forte dell’Unione Europea. La conferenza di luglio è sicuramente un appuntamento determinante”.
Agenzia Misna -“Immaginate un enorme quantitativo di armi italiane ordinato da Muammar Gheddafi poco prima l’inizio delle rivolte che portarono poi alla caduta del suo regime. E immaginatelo nelle mani delle sue forze di sicurezza contro i manifestanti di Bengasi che diedero il via alle proteste. Tutto ciò è successo. Deve far riflettere e deve condurre a controlli seri sulle esportazioni di armi leggere perché in gioco c’è la libertà di popoli, la difesa dei valori della democrazia, l’impegno per i diritti umani”.
Parte da questa immagine Emilio Emmolo, ricercatore dell’Archivio Disarmo e tra i principali esperti italiani sui temi del disarmo e del trasferimento di armamenti.
Dottor Emmolo, cosa si intende per armi leggere?
“Quando parliamo di esportazioni di armi leggere parliamo di pistole, fucili e munizioni che vanno a Stati e civili, di armi letali che però sfuggono agli attuali sistemi di controllo. C’è un problema di tracciabilità che a noi istituti di ricerca ma anche al parlamento non consente di sapere chi siano i destinatari finali: di conseguenza queste armi possono facilmente finire nelle mani di gruppi armati e di terroristi semplicemente attraverso l’intermediazione di società di comodo”.
Lei ha diretto e appena pubblicato un rapporto con Archivio Disarmo (condotto da Melissa Tala e dal titolo “Armi leggere, guerre pesanti”) che alza il velo su una serie di casi anche eclatanti e che, come dimostra il caso libico, mostra nel concreto quali rischi si possano correre. Ma cosa si può fare?
“Le società esportatrici dovrebbero comunicare i dati al parlamento, aumentare la quantità di informazioni così da consentire di ricostruire la catena dal produttore all’utilizzatore finale, inviare le informazioni al registro dell’Unione Europea. Tutti vincoli che fornirebbero maggiori garanzie sulla tracciabilità delle armi vendute anche in considerazione della facilità con cui queste possono essere trasportate e occultate. Sono armi che possono finire sul mercato nero, in mano a terroristi, gruppi armati, reti criminali o, peggio, triangolate verso destinazioni non consentite”.
Questa diffusione incontrollata di armi può nuocere all’affermazione della democrazia lì dove la gente è scesa in piazza come nei paesi arabi?
“E’ foriera di grande insicurezza. L’ampia diffusione di armi non può che esacerbare i conflitti e rallentare il processo di pace e di costruzione della democrazia. Ancora una volta voglio tornare sulla Libia: non credo sia un semplice caso che il colonnello Gheddafi abbia acquistato quella grande quantità di armi poco prima delle rivolte. Man mano che il malcontento saliva, si è pensato bene di riempire gli arsenali utilizzati poco dopo. E contro folle di manifestanti Gheddafi non aveva certo bisogno di missili grad, gli bastavano le armi leggere comprate dall’Italia”.
Cosa è possibile fare per risolvere questo problema?
“Sul versante dei controlli è necessario assimilare le armi leggere alle altre armi, a quelle, per intenderci, vincolate al rispetto della legge 185/90 perché trasferimenti ad uso militare. Ed è poi indispensabile un trattato internazionale sul commercio delle armi che sarà discusso il prossimo luglio alle Nazioni Unite. Un trattato sostenuto dalla società civile, rispetto al quale lo stesso governo statunitense di Barack Obama ha cambiato le politiche delle precedenti amministrazioni, e che richiede un impegno diretto e forte dell’Unione Europea. La conferenza di luglio è sicuramente un appuntamento determinante”.
di Gianfranco Belgrano
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È presente 1 commento
Ma senza armi ci sarebbe stata in Libia una rivolta che ha spodestato il dittatore? Senza armi in Egitto ci sarebbe stata la rivolta? Fanno più morti le varie influenze stagionali delle armi eppure ci si ostina a considerare le armi il seme di tutti i mali. Bisognerebbe essere più onesti e guardare in faccia la realtà. Senza armi non ci sarebbe nessuna democrazia ma grandi dittature. Grazie alle armi i popoli hanno la possibilità di liberarsi e renderne più difficoltoso l'approvvigionamento da parte della gente non fà altro che avvantaggiare i regimi dittatoriali ed antidemocratici. Questa è la verità.
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