La corte d’appello di Sucumbios, nell’Amazzonia settentrionale dell’Ecuador, lo scorso 4 gennaio ha confermato la condanna inflitta in primo grado a Chevron-Texaco per i danni ambientali causati in quasi trent’anni di sfruttamento petrolifero.
E-ilmensile - Una multa da 8.641 milioni di dollari, a cui si aggiunge un 10 per cento a titolo di risarcimento in favore delle popolazioni indigene e l’obbligo imposto al colosso statunitense di chiedere pubblicamente scusa se non vuole vedersi raddoppiata la condanna. Secondo quanto ribadito dai giudici, dal 1964 al 1992 la Texaco, in seguito acquistata da Chevron, ha sversato circa 80 miliardi di metri cubi di rifiuti tossici e scarti di petrolio nei fiumi della foresta ecuadoriana, decimando comunità indigene e culture ancestrali e modificando per sempre un patrimonio unico di biodiversità.
Alla lettura del pronunciamento della Corte esulta l’Asamblea de afectados, il comitato vittime che ha promosso la class action, mentre il loro avvocato Pablo Fajardo, premiato nel 2007 dalla Cnn come eroe dell’anno per la battaglia legale portata avanti in Amazzonia, pensa già al prossimo passo. “Useremo tutti gli strumenti legali a nostra disposizione per rendere esecutiva la sentenza – dichiara entusiasta Fajardo – attraverso il sequestro delle raffinerie, il congelamento dei conti corrente all’estero e degli attivi di Chevron”.
Di segno opposto la reazione della compagnia californiana che, attraverso un duro comunicato stampa, fa sapere che la sentenza è soltanto un esempio “della corruzione del sistema giudiziale ecuadoriano”, negando peraltro che l’Ecuador sia uno Stato di diritto.
Un affondo che filtra tra le fitte fronde dell’Amazzonia ecuadoriana. “E’ una vittoria dell’umanità – ribatte un commosso Luis Yanza, fondatore del Fronte di difesa dell’Amazzonia e coordinatore del comitato vittime – una vittoria di tutti contro un gigante che ha investito milioni di dollari per distruggere il paese e questo processo, tentando di corrompere giudici e depistare le indagini”.
Rompe il silenzio anche il presidente Rafael Correa, dopo mesi di no comment per non influenzare il giudizio della Corte. “ È una lotta di Davide contro Golia” dichiara soddisfatto il capo di Stato, complimentandosi per la vittoria degli indigeni “nonostante le forze impari messe in campo”.
La partita non è ancora chiusa e Chevron farà certamente di tutto per delegittimare il processo e, con esso, il sistema giudiziario del piccolo paese andino. Ma la favola dei trentamila indigeni che portarono in giudizio una delle sette sorelle del petrolio costringendola al risarcimento e alle pubbliche scuse si fa sempre più realtà.
E-ilmensile - Una multa da 8.641 milioni di dollari, a cui si aggiunge un 10 per cento a titolo di risarcimento in favore delle popolazioni indigene e l’obbligo imposto al colosso statunitense di chiedere pubblicamente scusa se non vuole vedersi raddoppiata la condanna. Secondo quanto ribadito dai giudici, dal 1964 al 1992 la Texaco, in seguito acquistata da Chevron, ha sversato circa 80 miliardi di metri cubi di rifiuti tossici e scarti di petrolio nei fiumi della foresta ecuadoriana, decimando comunità indigene e culture ancestrali e modificando per sempre un patrimonio unico di biodiversità.
Alla lettura del pronunciamento della Corte esulta l’Asamblea de afectados, il comitato vittime che ha promosso la class action, mentre il loro avvocato Pablo Fajardo, premiato nel 2007 dalla Cnn come eroe dell’anno per la battaglia legale portata avanti in Amazzonia, pensa già al prossimo passo. “Useremo tutti gli strumenti legali a nostra disposizione per rendere esecutiva la sentenza – dichiara entusiasta Fajardo – attraverso il sequestro delle raffinerie, il congelamento dei conti corrente all’estero e degli attivi di Chevron”.
Di segno opposto la reazione della compagnia californiana che, attraverso un duro comunicato stampa, fa sapere che la sentenza è soltanto un esempio “della corruzione del sistema giudiziale ecuadoriano”, negando peraltro che l’Ecuador sia uno Stato di diritto.
Un affondo che filtra tra le fitte fronde dell’Amazzonia ecuadoriana. “E’ una vittoria dell’umanità – ribatte un commosso Luis Yanza, fondatore del Fronte di difesa dell’Amazzonia e coordinatore del comitato vittime – una vittoria di tutti contro un gigante che ha investito milioni di dollari per distruggere il paese e questo processo, tentando di corrompere giudici e depistare le indagini”.
Rompe il silenzio anche il presidente Rafael Correa, dopo mesi di no comment per non influenzare il giudizio della Corte. “ È una lotta di Davide contro Golia” dichiara soddisfatto il capo di Stato, complimentandosi per la vittoria degli indigeni “nonostante le forze impari messe in campo”.
La partita non è ancora chiusa e Chevron farà certamente di tutto per delegittimare il processo e, con esso, il sistema giudiziario del piccolo paese andino. Ma la favola dei trentamila indigeni che portarono in giudizio una delle sette sorelle del petrolio costringendola al risarcimento e alle pubbliche scuse si fa sempre più realtà.
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