“Haiti si sta rialzando lentamente. Si vedono nuove costruzioni commerciali ai lati della via che conduce all’aeroporto. Ma nelle zone più nascoste, o ancora sulla piazza centrale del Campo di Marte, si scoprono numerose tende, numerosi accampamenti e tante persone costrette a vivere in condizioni precarie, in attesa di soluzioni abitative, che sembrano complesse e complicate”.
Agenzia Misna - Da Port-au-Prince, la capitale devastata due anni fa da un potente terremoto al quale non era preparata, lo racconta ala MISNA padre Pierre Le Beller, della Società dei padri di San Giacomo (St Jacques), una congregazione francese di Bretagna con una lunga storia di missione ad Haiti. “La stampa locale sembra dare ampio spazio all’accoglienza di nuove aziende, parla molto dell’imprenditoria, di politiche per l’impiego. Mi auguro che non si tratti soltanto di annunci che rimarranno nel cassetto” confida il missionario, che dopo un periodo di sei anni trascorso in Francia è tornato ad Haiti per un sostegno ai confratelli, ancora segnati da quei lunghi secondi di scossa che misero il paese in ginocchio. “Uno dei nostri padri vive ancora sotto una tenda, il restauro della mia vecchia parrocchia, Sant’Antonio, sta procedendo. Crescono anche le le difficoltà per gli haitiani: i prezzi sono in continuo aumento ma gli stipendi rimangono invariati”.
Lo sguardo del missionario sulla situazione, due anni dopo il sisma, è misto: “Da una parte – dice alla MISNA – provo ammirazione per la forza del popolo che porta un fardello a quanto pare senza fine; dall’altra parte, c’è insofferenza per l’incomprensibile lentezza e confusione nell’aiuto alla ricostruzione”.
La Società dei padri di ‘St Jacques’, dopo il terremoto, ricevette numerose donazioni da amici e fedeli, per un ammontare di 1,3 milioni di euro. “Abbiamo potuto spenderne solo la metà, il resto è in banca: l’assenza di un piano o di indicazioni chiare da parte delle autorità ci impedisce di costruire. Non possiamo edificare con il rischio che un domani, il governo ci dica che non eravamo autorizzati a farlo. Proviamo frustrazione” ha detto al quotidiano francese ‘Le Télégramme” padre Michel Ménard, un confratello di padre Le Beller. “Ma i religiosi non sono rimasti con le mani in mano – ha aggiunto – sui terreni la cui proprietà era chiara, o di recente acquisizione, si è potuto costruire una trentina di alloggi. Sono state finanziate scuole e strutture di accoglienza per gli studenti. Due chiese sono state ristrutturate, insieme a due aule polivalenti e alla sede della pastorale universitaria, che accoglie numerosi giovani”. Grazie alla rete dei missionari nei quartieri popolari, alcune delle vittime del terremoto hanno potuto ricevere un aiuto concreto e un sostegno psicologico.
Agenzia Misna - Da Port-au-Prince, la capitale devastata due anni fa da un potente terremoto al quale non era preparata, lo racconta ala MISNA padre Pierre Le Beller, della Società dei padri di San Giacomo (St Jacques), una congregazione francese di Bretagna con una lunga storia di missione ad Haiti. “La stampa locale sembra dare ampio spazio all’accoglienza di nuove aziende, parla molto dell’imprenditoria, di politiche per l’impiego. Mi auguro che non si tratti soltanto di annunci che rimarranno nel cassetto” confida il missionario, che dopo un periodo di sei anni trascorso in Francia è tornato ad Haiti per un sostegno ai confratelli, ancora segnati da quei lunghi secondi di scossa che misero il paese in ginocchio. “Uno dei nostri padri vive ancora sotto una tenda, il restauro della mia vecchia parrocchia, Sant’Antonio, sta procedendo. Crescono anche le le difficoltà per gli haitiani: i prezzi sono in continuo aumento ma gli stipendi rimangono invariati”.
Lo sguardo del missionario sulla situazione, due anni dopo il sisma, è misto: “Da una parte – dice alla MISNA – provo ammirazione per la forza del popolo che porta un fardello a quanto pare senza fine; dall’altra parte, c’è insofferenza per l’incomprensibile lentezza e confusione nell’aiuto alla ricostruzione”.
La Società dei padri di ‘St Jacques’, dopo il terremoto, ricevette numerose donazioni da amici e fedeli, per un ammontare di 1,3 milioni di euro. “Abbiamo potuto spenderne solo la metà, il resto è in banca: l’assenza di un piano o di indicazioni chiare da parte delle autorità ci impedisce di costruire. Non possiamo edificare con il rischio che un domani, il governo ci dica che non eravamo autorizzati a farlo. Proviamo frustrazione” ha detto al quotidiano francese ‘Le Télégramme” padre Michel Ménard, un confratello di padre Le Beller. “Ma i religiosi non sono rimasti con le mani in mano – ha aggiunto – sui terreni la cui proprietà era chiara, o di recente acquisizione, si è potuto costruire una trentina di alloggi. Sono state finanziate scuole e strutture di accoglienza per gli studenti. Due chiese sono state ristrutturate, insieme a due aule polivalenti e alla sede della pastorale universitaria, che accoglie numerosi giovani”. Grazie alla rete dei missionari nei quartieri popolari, alcune delle vittime del terremoto hanno potuto ricevere un aiuto concreto e un sostegno psicologico.
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