martedì, gennaio 24, 2012
Il commento del “fotografo dei Papi”, Arturo Mari.

Radio Vaticana - La Kodak ha ufficialmente avviato, nei giorni scorsi, la procedura di fallimento. La celebre azienda americana produttrice di pellicole, fondata nel 1888, è stata definitivamente travolta dall’arrivo del digitale, tecnologia creata peraltro proprio dall’ingegnere della Kodak, Steven Sasson, nel 1975. Che cosa perdiamo e cosa guadagniamo con il definitivo tramonto della pellicola e la sua sostituzione con il digitale? Massimo Pittarello lo ha chiesto ad Arturo Mari, il “fotografo dei Papi”: ascolta

R. – In 53 anni di esperienza al servizio dei Pontefici, ho sempre prediletto la Kodak. E’ stato materiale buono, ottimo. Non si può nascondere che attualmente il digitale ha fatto dei progressi enormi. Consideriamo soltanto la questione delle trasmissioni: in pochi minuti si può fare il pool per tutto il mondo, con le migliori fotografie, cosa che prima era un po’ più difficile! Cioè, tutto ciò andava fatto ma con qualche ora di sforzo, sempre appoggiandosi alle grandi agenzie … Per cui, sì, c’è un vantaggio enorme nella modernità, questo non si può negare. Però, come fotografo, devo dire che va via tutta quella poesia, l’amore per la camera oscura, come nascono le fotografie curandole con le proprie mani …

D. – Lei che per anni è stato il fotografo personale di Giovanni Paolo II, quali ricordi particolari conserva di questa sua attività?

R. – I ricordi sono tantissimi … Non posso dimenticare gli incontri nella Cappella privata; non posso dimenticare milioni di persone all’estero che aspettavano questo “punto bianco”, questa figura, questo punto di appoggio, di fede … Come non posso dimenticare le sue visita nei lebbrosari, in Africa, con i bambini colpiti dall’Aids … tante, tante cose ho nei miei ricordi! Quale scegliere, quale dire che è la più bella, la più emozionante? E’ tutta un’emozione …

D. – C’è da dire che con la tecnologia digitale è ancora più facile che chiunque acquisti uno strumento che “cattura” le immagini, si senta a suo modo fotografo. La domanda è: continuerà ad esistere la professione del fotografo?

R. – Io penso di sì. La macchina deve stare a mia disposizione, la mia testa deve comandare lei, con le mie mani; non la macchina comandare me. Perché se la macchina comanda me, allora abbiamo finito: mettiamo un automatismo e diventiamo tutti fotografi. Poi bisogna considerare anche l’estro: è una professione, è un’arte, la fotografia. Certo, all’atto pratico, oggi come oggi tutti possono reputarsi fotografi. Basta impostare la macchina in una certa maniera, comanda lei, e buona notte!

D. – L’uomo può imparare a ricordare, ma non apprenderà mai una tecnica dell’oblio. Mentre la fotografia digitale consente anche delle “amnesie volontarie”: basta spingere il tasto “cancella”. Si perde un po’ il valore del tempo e l’unicità dei momenti della nostra vita, magari catturati su pellicola?

R. – Quando “prima” io scattavo una fotografia, si faceva la foto, si sentiva il carisma della persona sulla pelle, si entra in un unico corpo. Attualmente – come anche io ho fatto: e lì è stata la mia “vergogna” – scattata una fotografia, subito a vedere se era venuta bene, se la luce, il diaframma erano buoni … Qualche volta mi sono fermato ed ho pensato: Arturo, ma non ti guardi allo specchio? Ma prima, cosa facevi? Quello scatto doveva essere perfetto, e lo era! Adesso la cognizione di causa è che appena ho scattato vado a controllare se … ma … e così metto in dubbio anche la mia capacità … Cioè, quella professionalità che io ho imparato iniziando a lavorare con le lastre di vetro … beh, tu con sei lastre facevi l’avvenimento! E guai se ne sbagliavi una! Questa è esperienza, questa è vita, questa è arte. Qui nasce la professionalità del fotografo… (gf)


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