Nonostante gli apparenti segnali di calma e dialogo, nei giorni scorsi si è alzato l’ultimo grido di sfida della Repubblica Islamica dell’Iran agli USA: l’agenzia di stampa IRNA ha diffuso la notizia del lancio di un potente missile Qader, temine che significa letteralmente “abile”, “capace”
L’esito del test missilistico è stato esaltante per i vertici militari iraniani, che hanno constatato con soddisfazione l’enorme precisione dell’ordigno bellico, in grado di colpire un bersaglio nel raggio di 200 km. Gli USA intanto persistono nella politica di inasprimento delle sanzioni economiche con l’obiettivo di minare l’economia nazionale, ma la risposta dell’Iran non è stata affatto incoraggiante. Si è parlato infatti, nelle dichiarazioni del Presidente Ahmadinejad, di solida reazione “con forza e fiducia” al fine di vanificare i “complotti nemici”, dichiarazioni simili a quelle del presidente della Camera di commercio Mohammad Nahavandian, che addirittura minaccia “perdite reciproche” in caso di sanzioni, con ovvio riferimento alla forza del petrolio.
Il test missilistico rientra nel progetto iraniano di potenziamento militare e navale portato avanti ufficialmente da dieci giorni e che è fonte di preoccupazione se guardato in un’ottica di insieme con il progetto sul potenziamento del nucleare per scopi civili. Preoccupanti sono anche le dichiarazioni degli esponenti della società politica, militare ed economica iraniana, che lasciano intravedere da un lato un orgoglio nazionale in grado di far fronte a qualsiasi minaccia di sanzione economica, dall’altro un’estremizzazione delle posizioni nei confronti degli Stati contrapposti. Gli USA sono stati additati come “nemico”, ma forse è ritenuto tale chiunque si ponga in contrasto con le folli manovre dell’Iran, ad esempio quella, minacciata, di chiudere lo Stretto di Hormuz (unico accesso al Golfo Persico) per testare la capacità di controllo navale sul territorio.
Capacità di resistenza ed estremizzazione del conflitto non possono che spaventare se inquadrate in un’ottica totalizzante, considerando anche l’effettivo potere economico del Paese derivante dal petrolio e l’attuale periodo di invigorimento del pensiero islamico su base politica. Intimorisce infatti sia il rafforzamento dei partiti islamici in tutti quei paesi che per troppo tempo sono stati abbandonati al loro destino di sfruttamento e arretratezza (paesi del sud del mondo e del Medio Oriente) che, contestualmente, questa forte presa di posizione della Repubblica Islamica dell’Iran. E il tutto avviene in un contesto di territori e culture che stanno dando voce alla loro voglia di cambiamento in una stagione di grande fermento rivoluzionario. Resta da capire qual è il canale attraverso cui si sta affermando questa rivoluzione culturale e quale sarà il prezzo da pagare. L’unica certezza è che “quando gli elefanti combattono, sono sempre i fili d’erba a rimanere schiacciati”.
L’esito del test missilistico è stato esaltante per i vertici militari iraniani, che hanno constatato con soddisfazione l’enorme precisione dell’ordigno bellico, in grado di colpire un bersaglio nel raggio di 200 km. Gli USA intanto persistono nella politica di inasprimento delle sanzioni economiche con l’obiettivo di minare l’economia nazionale, ma la risposta dell’Iran non è stata affatto incoraggiante. Si è parlato infatti, nelle dichiarazioni del Presidente Ahmadinejad, di solida reazione “con forza e fiducia” al fine di vanificare i “complotti nemici”, dichiarazioni simili a quelle del presidente della Camera di commercio Mohammad Nahavandian, che addirittura minaccia “perdite reciproche” in caso di sanzioni, con ovvio riferimento alla forza del petrolio.
Il test missilistico rientra nel progetto iraniano di potenziamento militare e navale portato avanti ufficialmente da dieci giorni e che è fonte di preoccupazione se guardato in un’ottica di insieme con il progetto sul potenziamento del nucleare per scopi civili. Preoccupanti sono anche le dichiarazioni degli esponenti della società politica, militare ed economica iraniana, che lasciano intravedere da un lato un orgoglio nazionale in grado di far fronte a qualsiasi minaccia di sanzione economica, dall’altro un’estremizzazione delle posizioni nei confronti degli Stati contrapposti. Gli USA sono stati additati come “nemico”, ma forse è ritenuto tale chiunque si ponga in contrasto con le folli manovre dell’Iran, ad esempio quella, minacciata, di chiudere lo Stretto di Hormuz (unico accesso al Golfo Persico) per testare la capacità di controllo navale sul territorio.
Capacità di resistenza ed estremizzazione del conflitto non possono che spaventare se inquadrate in un’ottica totalizzante, considerando anche l’effettivo potere economico del Paese derivante dal petrolio e l’attuale periodo di invigorimento del pensiero islamico su base politica. Intimorisce infatti sia il rafforzamento dei partiti islamici in tutti quei paesi che per troppo tempo sono stati abbandonati al loro destino di sfruttamento e arretratezza (paesi del sud del mondo e del Medio Oriente) che, contestualmente, questa forte presa di posizione della Repubblica Islamica dell’Iran. E il tutto avviene in un contesto di territori e culture che stanno dando voce alla loro voglia di cambiamento in una stagione di grande fermento rivoluzionario. Resta da capire qual è il canale attraverso cui si sta affermando questa rivoluzione culturale e quale sarà il prezzo da pagare. L’unica certezza è che “quando gli elefanti combattono, sono sempre i fili d’erba a rimanere schiacciati”.
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