domenica, gennaio 29, 2012
Dal 21 gennaio e fino al prossimo 12 febbraio, il Gabon e la Guinea Equatoriale ospitano la 28.ma edizione della Coppa delle Nazioni Africane, la più grande competizione internazionale di calcio che si svolge in Africa

Radio Vaticana - La Chiesa del Gabon ha diffuso un’esortazione nella quale invita tutti a vivere questa competizione come un’occasione di incontro e di dialogo. Lo spiega mons. Patrick Nguéma Edou, vicario generale dell’arcidiocesi di Libreville, al microfono di Charles Le Bourgeois:
R. – Per noi, lo sport in sé veicola già un valore di fraternità. Voi sapete bene come la difficoltà maggiore nel mio Paese e nella nostra regione sia proprio il confronto con l’altro e questo genera tensioni, conflitti, rifiuti ed esclusioni. Noi crediamo che lo sport possa essere una reale occasione di incontro con l’altro, di scoperta dell’altro. Quindi, questa competizione che viene ospitata dal nostro Paese rappresenta per noi un’occasione importante per meglio conoscere l’altro e per meglio accoglierlo: per noi, il senso dell’accoglienza è fondamentale, considerando il fatto che il nostro Paese è un grande Paese aperto alle comunità straniere.

D. – Più precisamente, la Coppa delle Nazioni africana cosa può portare ai Paesi partecipanti?

R. – La Coppa delle Nazioni Africane permette a un certo numero di Paesi di mostrarsi e quindi di valorizzarsi: una persona che viene valorizzata è una persona che poi porta positività nel vivere insieme con gli altri… Certo, è vero che partecipando alla gara, ciascuna squadra arriva con l’obiettivo di portare la Coppa al proprio Paese, ma come dicono anche le Sacre Scritture alla fine della corsa c’è sempre un vincitore… Quello che è veramente importante è l’incontro in sé. Poi, bisogna sottolineare anche che ci sono alcune grandi squadre di calcio che non sono purtroppo presenti; sono invece presenti squadre minori, magari trascurabili, ma è comunque un modo che ci permette di evidenziare come ciascuno possa avere il suo posto, anche nel mondo del calcio.

D. – Nell’esortazione avete sottolineato come la responsabilità degli sportivi nel mondo sia grande. Che cosa intendete esattamente?

R. – La responsabilità degli sportivi è grande nel senso che per noi tutti gli sportivi diventano in certo modo missionari, missionari della fraternità, missionari dell’amore: mettersi in competizione con l’altro non è sinonimo di conflitto e perdere un incontro non vuol dire rendere l’altro un nemico. Inoltre, questi sportivi hanno dei tifosi e devono quindi comprendere che tutti quelli che guardano a loro come modelli devono poter poi beneficiare dei valori che loro stessi veicolano. Quindi per noi, gli sportivi hanno una missione importante proprio perché attraverso il loro modo di vivere, attraverso il loro modo di essere, attraverso le parole, i gesti e i fatti hanno il potere di invogliare un certo numero di persone a iniziare un cammino, che per noi è un cammino fatto di valori umani e cristiani.

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