Il giudizio sulla crisi nella prolusione del card. Bagnasco al Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana.
Dentro il fatto cristiano, l’uomo non è più il semplice risultato dei fattori esterni, perché “da quando il Salvatore è disceso dal cielo, l'uomo non è più schiavo di un tempo che passa senza un perché”: così il card. Bagnasco ha iniziato il suo discorso al Consiglio Permanente della CEI. Per poi aggiungere: “La storia non finisce con le crisi economiche”, anzi è una sfida che colpisce la nostra umanità e che deve essere occasione “per cogliere il positivo e per ricominciare; quando tutto vacilla, lo sguardo va a ciò che persiste”.
Sulla crisi economica, il Presidente della CEI ha denunciato che l’uomo, in nome del progresso e delle leggi economiche e di mercato, sembra essere diventato poca cosa: solo un fattore essenziale alla produzione di beni e servizi. Cosicché oggi usare la parola ‘crisi’ per indicare le circostanze storiche che stiamo vivendo, “suona inadeguata e inefficace, cessando praticamente di significare quello che le si voleva affidare”: ci troviamo in una crisi anche antropologica, differente dalle precedenti. Senza che l’uomo percepisse i segni di questo declino, “la globalizzazione ha cessato ben presto di porsi come un orizzonte in sé significante, allorché ‘l’altro’ è sostituito da funzioni e reti”, e così il capitalismo, invece di risolvere le difficoltà dell’uomo, “sembra ormai dare il meglio di sé non nel risolvere i problemi, ma nel crearli, dissolvendo il proprio storico legame con il lavoro, il lavoro stabile” e prediligendo invece la precarietà; perciò “si va dove momentaneamente l'industria sta meglio come se ‘l'altro’ non esistesse”. I lucrosi guadagni di oggi sono costruiti sul fallimento, sull’impoverimento a beneficio di pochi. L’inesistenza di valori condivisi e vissuti “favorisce il formarsi di coaguli sovranazionali talmente potenti e senza scrupoli da rendere la politica sempre più debole e sottomessa”.
Bagnasco ha proseguito denunciando che, senza accorgercene, siamo entrati in una nuova fase di quel processo epocale chiamato ‘globalizzazione’ dove “il profitto non è più giusto, ma diventa scopo a se stesso giocando sulla vita degli uomini e dei popoli”. Gradatamente, iniziando dai paesi con economie meno solide, “si vanno sostituendo le classi politiche con i rappresentanti del mondo finanziario”. D’altra parte, la politica è stata incapace di emanare leggi e di procedere a riforme effettive come i tempi imponevano, cosicché la speculazione ha deciso di tagliarla fuori e l’ha resa “irrilevante e quasi inutile”: è questo che percepiscono gli occhi attoniti della gente. Essa, immersa in questo “spirito del tempo”, e improvvisamente impoverita, sente lontano i politici ma nutre ancora una certa fiducia verso il pragmatismo degli economisti. Che oggi l’Europa unita sia patrocinata dai “tecnici” dell’economia tranquillizza la gente, tentata di vedere in essa “la possibile soluzione dei gravi mali economici e sociali”.
Il cardinale ha proseguito ribadendo che il sentimento di sfiducia non deve prevalere, bisogna riscoprire il fondamento del nostro vivere insieme e ristabilire nella vita sociale regole più eque e più giuste. E’ necessario imbrigliare quelle “mani invisibili e ferree della speculazione” che in precedenza la politica non era riuscita a imbrigliare, perché i governanti sembrano abbiano giocato “continuamente di rimessa sperando ogni volta di scamparla alla meno peggio, ma è un'illusione”.
L’auspicio del rappresentante dei Vescovi è che la politica metta a frutto l’esperienza fatta di questa incapacità, e sostiene che per far questo “deve mettersi in grado di regolare la finanza perché si è al servizio del bene generale e non della speculazione.”
Nella prosecuzione del suo intervento, il cardinale va assai oltre ed esprime una preoccupazione: ”Sorge il dubbio che si voglia proprio dimostrare ormai l'incompetenza dell'autorità politica rispetto ai processi economici, come se una tecnocrazia transnazionale anonima dovesse prevalere sulle forme della democrazia fino a qui conosciuta, e dove la sovranità dei cittadini sia ormai usurpata dall'imperiosità del mercato.”
Infine il presidente della CEI rivolge parole d’incoraggiamento al nuovo governo, come aveva già fatto nel momento del suo insediamento: “Il nuovo governo si è affacciato come esecutivo di buona volontà, autonomo non dalla politica ma dalle sue esasperazioni”. E rivolgendosi a tutti noi, pone l’accento a quanto sia importante in questa fase la coesione sociale e che prevalga il senso di responsabilità e di unità di tutti: “Ciascuno a suo tempo si esprimerà in coscienza”, ma adesso “c’è da salvare l’Italia e c’è da far sì che i sacrifici che si stanno compiendo non abbiano a rivelarsi inutili”. Avverte che però non ci sarà improvvisamente alcuna trasformazione miracolosa: “Bisogna fare lo sforzo di scorgere tutto il positivo che potenzialmente può annidarsi anche all’interno di una situazione ingrata”. Guai ad arrendersi, e guai a non dare a tanti gesti di novità positiva, il loro giusto valore.
Dentro il fatto cristiano, l’uomo non è più il semplice risultato dei fattori esterni, perché “da quando il Salvatore è disceso dal cielo, l'uomo non è più schiavo di un tempo che passa senza un perché”: così il card. Bagnasco ha iniziato il suo discorso al Consiglio Permanente della CEI. Per poi aggiungere: “La storia non finisce con le crisi economiche”, anzi è una sfida che colpisce la nostra umanità e che deve essere occasione “per cogliere il positivo e per ricominciare; quando tutto vacilla, lo sguardo va a ciò che persiste”.
Sulla crisi economica, il Presidente della CEI ha denunciato che l’uomo, in nome del progresso e delle leggi economiche e di mercato, sembra essere diventato poca cosa: solo un fattore essenziale alla produzione di beni e servizi. Cosicché oggi usare la parola ‘crisi’ per indicare le circostanze storiche che stiamo vivendo, “suona inadeguata e inefficace, cessando praticamente di significare quello che le si voleva affidare”: ci troviamo in una crisi anche antropologica, differente dalle precedenti. Senza che l’uomo percepisse i segni di questo declino, “la globalizzazione ha cessato ben presto di porsi come un orizzonte in sé significante, allorché ‘l’altro’ è sostituito da funzioni e reti”, e così il capitalismo, invece di risolvere le difficoltà dell’uomo, “sembra ormai dare il meglio di sé non nel risolvere i problemi, ma nel crearli, dissolvendo il proprio storico legame con il lavoro, il lavoro stabile” e prediligendo invece la precarietà; perciò “si va dove momentaneamente l'industria sta meglio come se ‘l'altro’ non esistesse”. I lucrosi guadagni di oggi sono costruiti sul fallimento, sull’impoverimento a beneficio di pochi. L’inesistenza di valori condivisi e vissuti “favorisce il formarsi di coaguli sovranazionali talmente potenti e senza scrupoli da rendere la politica sempre più debole e sottomessa”.
Bagnasco ha proseguito denunciando che, senza accorgercene, siamo entrati in una nuova fase di quel processo epocale chiamato ‘globalizzazione’ dove “il profitto non è più giusto, ma diventa scopo a se stesso giocando sulla vita degli uomini e dei popoli”. Gradatamente, iniziando dai paesi con economie meno solide, “si vanno sostituendo le classi politiche con i rappresentanti del mondo finanziario”. D’altra parte, la politica è stata incapace di emanare leggi e di procedere a riforme effettive come i tempi imponevano, cosicché la speculazione ha deciso di tagliarla fuori e l’ha resa “irrilevante e quasi inutile”: è questo che percepiscono gli occhi attoniti della gente. Essa, immersa in questo “spirito del tempo”, e improvvisamente impoverita, sente lontano i politici ma nutre ancora una certa fiducia verso il pragmatismo degli economisti. Che oggi l’Europa unita sia patrocinata dai “tecnici” dell’economia tranquillizza la gente, tentata di vedere in essa “la possibile soluzione dei gravi mali economici e sociali”.
Il cardinale ha proseguito ribadendo che il sentimento di sfiducia non deve prevalere, bisogna riscoprire il fondamento del nostro vivere insieme e ristabilire nella vita sociale regole più eque e più giuste. E’ necessario imbrigliare quelle “mani invisibili e ferree della speculazione” che in precedenza la politica non era riuscita a imbrigliare, perché i governanti sembrano abbiano giocato “continuamente di rimessa sperando ogni volta di scamparla alla meno peggio, ma è un'illusione”.
L’auspicio del rappresentante dei Vescovi è che la politica metta a frutto l’esperienza fatta di questa incapacità, e sostiene che per far questo “deve mettersi in grado di regolare la finanza perché si è al servizio del bene generale e non della speculazione.”
Nella prosecuzione del suo intervento, il cardinale va assai oltre ed esprime una preoccupazione: ”Sorge il dubbio che si voglia proprio dimostrare ormai l'incompetenza dell'autorità politica rispetto ai processi economici, come se una tecnocrazia transnazionale anonima dovesse prevalere sulle forme della democrazia fino a qui conosciuta, e dove la sovranità dei cittadini sia ormai usurpata dall'imperiosità del mercato.”
Infine il presidente della CEI rivolge parole d’incoraggiamento al nuovo governo, come aveva già fatto nel momento del suo insediamento: “Il nuovo governo si è affacciato come esecutivo di buona volontà, autonomo non dalla politica ma dalle sue esasperazioni”. E rivolgendosi a tutti noi, pone l’accento a quanto sia importante in questa fase la coesione sociale e che prevalga il senso di responsabilità e di unità di tutti: “Ciascuno a suo tempo si esprimerà in coscienza”, ma adesso “c’è da salvare l’Italia e c’è da far sì che i sacrifici che si stanno compiendo non abbiano a rivelarsi inutili”. Avverte che però non ci sarà improvvisamente alcuna trasformazione miracolosa: “Bisogna fare lo sforzo di scorgere tutto il positivo che potenzialmente può annidarsi anche all’interno di una situazione ingrata”. Guai ad arrendersi, e guai a non dare a tanti gesti di novità positiva, il loro giusto valore.
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