mercoledì, gennaio 04, 2012
Attaccato un commissariato nello Stato di Jigawa, nella zona cristiana a nord del Paese. Morta una ragazza nella sparatoria.

di Paolo Della Valle

Gli autori dell’attacco sono i fedeli della setta fondamentalista islamica di Boko Haram, che il 3 gennaio ha lanciato il folle ultimatum alla comunità cristiana presente nel nord della nazione: entro tre giorni tutti i cristiani abbandonino il paese altrimenti ne pagheranno le conseguenze. È stata immediata la dichiarazione dello stato di emergenza da parte del Presidente nigeriano Goodluck Jonathan.

Il problema è serio e la situazione rischia di degenerare allo scadere dell’ultimatum, visto che già nei giorni precedenti si sono verificati fatti sconcertanti sempre collegati allo scontro fra cristiani e integralisti islamici: sono recentissime le stragi di Natale, con almeno un centinaio di morti, e la risposta quasi immediata dei cristiani, con l’attentato ad una moschea che ha causato quattro vittime.

È incredibile la violenza attuata da questo movimento terroristico, piuttosto che religioso, che si scaglia non solo contro la comunità cristiana ma anche, dichiaratamente, contro chiunque mostri una minima iniziativa a sostegno dei cristiani. Colpevoli quindi, secondo Boko Haram, anche le forze dell’ordine per aver difeso gli infedeli. Pura follia che va oltre il fondamentalismo islamico stesso. Non bisogna infatti commettere il facile errore di confondere il fondamentalismo islamico con il terrorismo islamico, anche se la linea di confine è sottile.

E’ importante sottolineare come l’azione dello Stato non sia schierata a favore di questa o quella istanza religiosa, ma a difesa dei diritti e delle libertà civili, che pure non sono molto radicate in Nigeria. Ora l’unica speranza è che la comunità cristiana non reagisca in maniera speculare alla setta di Boko Haram ponendo in essere ulteriori rappresaglie.

Purtroppo però per lo stato che si affaccia sul Golfo di Guinea quelli legati alla religione non sono gli unici avvenimenti che lo insanguinano. Si è accesa infatti la rivolta in alcune delle principali città, come Lagos e la capitale Abuja, per via dell’aumento del costo della benzina, che è quasi raddoppiato (passando da 65 naira a 140 naira per litro, equivalente a circa 70 cent. di euro). Il bilancio finora è di almeno una vittima. Ancora una volta viene confermato il diffuso paradosso per cui proprio i paesi più ricchi di greggio sono anche i più poveri e sottosviluppati; ma addirittura essere colpiti dagli aumenti di costo della loro principale materia prima, di cui sono esportatori nel mondo, sembra una vera assurdità che non può essere accettata. Per di più fino ad oggi la popolazione nigeriana, oltre a non aver mai visto nemmeno lontanamente i profitti legati al petrolio, ha subito lo sfruttamento, la corruzione e le morti dei civili causate dal business dell’oro nero; e, come se non bastasse, non sono mancati anche i disastri ambientali. Come quello verificatosi circa dieci giorni fa a causa di una enorme fuoriuscita di greggio dall’impianto petrolifero di proprietà della Shell Nigeria Exploration and Production Company (Snepco), al largo del delta del Niger. La marea nera è già arrivata sulle coste di Lagos, infiammando il risentimento contro le grandi compagnie e la loro politica di sfruttamento di persone e territorio ai danni delle piccole imprese locali.

Uno scenario drammatico quindi quello nigeriano, in cui la popolazione si vede trascinata in un caos generale causato da un mix di ignoranza e sfruttamento, il tutto nella quasi indifferenza della comunità internazionale.

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