“Metta fine alla violenza, smetta di uccidere il suo popolo. Il vento del cambiamento non smetterà di soffiare. Le nazioni vogliono il rispetto della loro dignità, la fine della corruzione, il rispetto dei diritti umani”. Queste sono le parole pronunciate dal segretario generale dell’ONU Ban Ki Moon in riferimento al regime di Bashar Al-Assad, a Beirut il 15 gennaio, in una conferenza sul processo di democratizzazione dei paesi arabi.
In questi giorni siamo colpiti da un fiume in piena di notizie sulla Siria, i suoi innumerevoli morti, le sue innumerevoli violazioni dei diritti umani e i suoi eclatanti attentati: oramai è guerra aperta. Una guerra che si combatte lontano dai nostri giacigli occidentali, una battaglia senza regole in cui a morire non sono solo i c.d. soldati, che pure sono persone, ma anche i civili: giornalisti, donne, bambini, famiglie intere. In uno scenario che richiama il 1984 orwelliano, assistiamo impotenti e quasi, oramai, indifferenti all’annullamento della dignità umana, all’oltraggio del diritto alla vita. Se infatti l’azione armata di uno Stato, seppure solo come extrema ratio, è ammessa dal diritto internazionale vigente (art. 51, Carta Nazioni Unite), in ogni caso non possono mai essere oltrepassati i limiti imposti dal rispetto dei principi umanitari.
Lo scacchiere mediorientale è troppo complesso per azzardare future previsioni su quello che succederà. I dati che traspaiono lasciano ipotizzare la creazione di due schieramenti che, come troppo spesso si è visto nello scenario internazionale, si contendono il controllo territoriale ed economico del medioriente. Si è innescato un meccanismo tritacarne che procede lentamente senza badare alle conseguenze, ma nemmeno ai motivi, di ciò che sta avvenendo.
Da un lato si pongono i fiancheggiatori della Siria. Fra i più schierati vediamo l’Iran, che più volte e in vari modi (ultimamente anche in coro con qualche dittatore sudamericano) ha manifestato il suo sostegno al regime di Bashar Al-Assad; la Russia, alleato storico che mantiene le sue postazioni navali nel principale porto siriano di Tartous; ci sono poi il Libano, in cui notoriamente il partito sciita filo-iraniano sostiene la repressione, e l’immensa Cina i cui veti, in accordo con la Russia, rappresentano la principale causa del mancato intervento dell’ONU fino ad ora. Qualcuno addirittura ipotizza che sia implicito l’interesse della Cina a bloccare il vento anti-regime che potrebbe arrivare fino alla muraglia e, inoltre, la Cina è uno dei maggiori acquirenti di petrolio dall’Iran, perciò la sua presa di posizione rientra ampiamente nello schieramento che si sta delineando.
Sul versante opposto ci sono gli USA, accusati da molti sostenitori della repressione di essere i veri macchinatori della rivolta, con l’obiettivo di destabilizzare la Siria per fare terra bruciata intorno al loro principale e attuale nemico, l’Iran di Ahmadinejad; e accusati insieme agli israeliani di essere i mandanti dell’assassinio dello scienziato nucleare iraniano Mostafa Ahmadi-Roshan. Gli Stati Uniti però, dal canto loro, si fanno portatori di valori di giustizia e democrazia ponendosi a difesa degli oppressi, come dimostrato dai fatti recenti aventi ad oggetto la liberazione di ostaggi iraniani prigionieri dei pirati somali nel Golfo di Oman. Che quest’ultima sia stata un’azione dettata da un vero intento di pura e leale cooperazione fra rivali o sia stata invece una sapiente azione di politica internazionale paragonabile ad una mossa scacchistica, non spetta a noi stabilirlo.
Nel mezzo si pongono l’ONU, che sta manifestando la sua totale impotenza verso la questione siriana, e la Lega Araba, che rappresenta nient’altro che uno specchio per le allodole, come confermato dal numero dei morti in aumento e dalle aggressioni agli osservatori stessi. “The mission was a farce and the observers have been fooled” (la missione era una farsa e gli osservatori sono stati ingannati), queste le parole dell’algerino Anwar Malek, ex osservatore della Lega Araba ritiratosi pochi giorni fa dalla missione dopo averne constatato pubblicamente la completa inefficacia (anche se la Lega Araba ha ufficialmente dichiarato che l’abbandono è stato dovuto a motivi di salute dell’osservatore).
Ebbene, in una situazione pericolosamente disastrosa in cui è arduo azzardare previsioni o individuare le cause con certezza, l’unica considerazione che rimane solida, pietrificata e intangibile è l’ondata di violazioni di diritti umani che si sta verificando in questo Paese. La relazione dell’ONU ha parlato di 5000 morti da marzo, ma la cosa che fa scalpore non è solo il numero in sé, ma anche la tipologia delle vittime. Non si tratta infatti esclusivamente di oppositori e di soldati disertori, ma di civili e, tra questi, anche bambini. Si spara a vista sui manifestanti e sui giornalisti; si arrestano persone discrezionalmente sulla base del semplice sospetto. Tutti i diritti umani sono stati violati: non se ne può fare un elenco ma per farsi un’idea basta scorrere le pagine dei giornali degli ultimi giorni. Fra le tante morti risalta quella della bambina di quattro mesi, Afef Saraqibi, catturata insieme ai genitori e tenuta segregata con loro in carcere per vari giorni. Morta a seguito delle torture subite, il suo corpo senza vita è stato riconsegnato ai familiari; era coperto di ematomi e segni di tortura. La notizia è stata pubblicata dal Centro di documentazione delle violazioni in Siria che lo stesso giorno ha denunciato l’uccisione di altre 25 persone oltre alla bambina. Si capisce quindi come l’azione di repressione si sia spinta ben oltre l’uccisione dei combattenti, giungendo alla commissione certa e oggettiva di crimini contro l’umanità, sotto gli occhi del mondo.
Di fronte alla situazione siriana, in cui si intrecciano interessi economici, religiosi e di controllo del territorio, non c’è più tempo oramai per indagare sui poteri forti che muovono i fili delle macchinazioni internazionali a spese dei bambini che muoiono (tali centri di potere in ogni caso saranno da considerare corresponsabili di questo bagno di sangue). L’unica certezza, come detto, è quella relativa alle inconcepibili violazioni dei principi umanitari che si stanno compiendo di giorno in giorno e di cui si hanno testimonianze documentate. Motivo, questo, per cui non si può che auspicare con decisione una rapida caduta di Bashar Al-Assad con qualunque mezzo, condannando chiunque ora cerchi di giustificare o comprendere ciò che sta accadendo in Siria.
In questi giorni siamo colpiti da un fiume in piena di notizie sulla Siria, i suoi innumerevoli morti, le sue innumerevoli violazioni dei diritti umani e i suoi eclatanti attentati: oramai è guerra aperta. Una guerra che si combatte lontano dai nostri giacigli occidentali, una battaglia senza regole in cui a morire non sono solo i c.d. soldati, che pure sono persone, ma anche i civili: giornalisti, donne, bambini, famiglie intere. In uno scenario che richiama il 1984 orwelliano, assistiamo impotenti e quasi, oramai, indifferenti all’annullamento della dignità umana, all’oltraggio del diritto alla vita. Se infatti l’azione armata di uno Stato, seppure solo come extrema ratio, è ammessa dal diritto internazionale vigente (art. 51, Carta Nazioni Unite), in ogni caso non possono mai essere oltrepassati i limiti imposti dal rispetto dei principi umanitari.
Lo scacchiere mediorientale è troppo complesso per azzardare future previsioni su quello che succederà. I dati che traspaiono lasciano ipotizzare la creazione di due schieramenti che, come troppo spesso si è visto nello scenario internazionale, si contendono il controllo territoriale ed economico del medioriente. Si è innescato un meccanismo tritacarne che procede lentamente senza badare alle conseguenze, ma nemmeno ai motivi, di ciò che sta avvenendo.
Da un lato si pongono i fiancheggiatori della Siria. Fra i più schierati vediamo l’Iran, che più volte e in vari modi (ultimamente anche in coro con qualche dittatore sudamericano) ha manifestato il suo sostegno al regime di Bashar Al-Assad; la Russia, alleato storico che mantiene le sue postazioni navali nel principale porto siriano di Tartous; ci sono poi il Libano, in cui notoriamente il partito sciita filo-iraniano sostiene la repressione, e l’immensa Cina i cui veti, in accordo con la Russia, rappresentano la principale causa del mancato intervento dell’ONU fino ad ora. Qualcuno addirittura ipotizza che sia implicito l’interesse della Cina a bloccare il vento anti-regime che potrebbe arrivare fino alla muraglia e, inoltre, la Cina è uno dei maggiori acquirenti di petrolio dall’Iran, perciò la sua presa di posizione rientra ampiamente nello schieramento che si sta delineando.
Sul versante opposto ci sono gli USA, accusati da molti sostenitori della repressione di essere i veri macchinatori della rivolta, con l’obiettivo di destabilizzare la Siria per fare terra bruciata intorno al loro principale e attuale nemico, l’Iran di Ahmadinejad; e accusati insieme agli israeliani di essere i mandanti dell’assassinio dello scienziato nucleare iraniano Mostafa Ahmadi-Roshan. Gli Stati Uniti però, dal canto loro, si fanno portatori di valori di giustizia e democrazia ponendosi a difesa degli oppressi, come dimostrato dai fatti recenti aventi ad oggetto la liberazione di ostaggi iraniani prigionieri dei pirati somali nel Golfo di Oman. Che quest’ultima sia stata un’azione dettata da un vero intento di pura e leale cooperazione fra rivali o sia stata invece una sapiente azione di politica internazionale paragonabile ad una mossa scacchistica, non spetta a noi stabilirlo.
Nel mezzo si pongono l’ONU, che sta manifestando la sua totale impotenza verso la questione siriana, e la Lega Araba, che rappresenta nient’altro che uno specchio per le allodole, come confermato dal numero dei morti in aumento e dalle aggressioni agli osservatori stessi. “The mission was a farce and the observers have been fooled” (la missione era una farsa e gli osservatori sono stati ingannati), queste le parole dell’algerino Anwar Malek, ex osservatore della Lega Araba ritiratosi pochi giorni fa dalla missione dopo averne constatato pubblicamente la completa inefficacia (anche se la Lega Araba ha ufficialmente dichiarato che l’abbandono è stato dovuto a motivi di salute dell’osservatore).
Ebbene, in una situazione pericolosamente disastrosa in cui è arduo azzardare previsioni o individuare le cause con certezza, l’unica considerazione che rimane solida, pietrificata e intangibile è l’ondata di violazioni di diritti umani che si sta verificando in questo Paese. La relazione dell’ONU ha parlato di 5000 morti da marzo, ma la cosa che fa scalpore non è solo il numero in sé, ma anche la tipologia delle vittime. Non si tratta infatti esclusivamente di oppositori e di soldati disertori, ma di civili e, tra questi, anche bambini. Si spara a vista sui manifestanti e sui giornalisti; si arrestano persone discrezionalmente sulla base del semplice sospetto. Tutti i diritti umani sono stati violati: non se ne può fare un elenco ma per farsi un’idea basta scorrere le pagine dei giornali degli ultimi giorni. Fra le tante morti risalta quella della bambina di quattro mesi, Afef Saraqibi, catturata insieme ai genitori e tenuta segregata con loro in carcere per vari giorni. Morta a seguito delle torture subite, il suo corpo senza vita è stato riconsegnato ai familiari; era coperto di ematomi e segni di tortura. La notizia è stata pubblicata dal Centro di documentazione delle violazioni in Siria che lo stesso giorno ha denunciato l’uccisione di altre 25 persone oltre alla bambina. Si capisce quindi come l’azione di repressione si sia spinta ben oltre l’uccisione dei combattenti, giungendo alla commissione certa e oggettiva di crimini contro l’umanità, sotto gli occhi del mondo.
Di fronte alla situazione siriana, in cui si intrecciano interessi economici, religiosi e di controllo del territorio, non c’è più tempo oramai per indagare sui poteri forti che muovono i fili delle macchinazioni internazionali a spese dei bambini che muoiono (tali centri di potere in ogni caso saranno da considerare corresponsabili di questo bagno di sangue). L’unica certezza, come detto, è quella relativa alle inconcepibili violazioni dei principi umanitari che si stanno compiendo di giorno in giorno e di cui si hanno testimonianze documentate. Motivo, questo, per cui non si può che auspicare con decisione una rapida caduta di Bashar Al-Assad con qualunque mezzo, condannando chiunque ora cerchi di giustificare o comprendere ciò che sta accadendo in Siria.
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