Il provvedimento a carico dell'imprenditore Michele Mazzara, ritenuto prestanome del latitante di Cosa nostra
Liberainformazione - L’albergo è uno dei più belli di San Vito Lo Capo. Domina la lunga spiaggia dorata famosa in tutto il mondo, il porticciolo, il borgo marinaro che d’estate si riempie di migliaia e migliaia di persone. Si dice che mischiato tra i turisti d’estate qui sia arrivato, o ci venga ancora, quello che resta ancora l’imprendibile boss di Cosa nostra trapanese, Matteo Messina Denaro, 50 anni ad aprile, ricercato dal 1993, erede del “patriarca” della mafia belicina, Francesco Messina Denaro.
L’albergo si chiama Panoramic ed ha dato il nome all’operazione scattata all’alba che ha portato poliziotti e finanzieri a mettere i sigilli ad un immenso patrimonio nelle mani di una sola persona, l’imprenditore Michele Mazzara. Lui non compare ma è a lui che le indagini hanno ricondotto la proprietà di circa 150 ettari di terreno, un centinaio di immobili, auto, mezzi meccanici ed agricoli, una novantina di rapporti bancari, conti correnti e titoli. Mazzara non è nuovo alle cronache giudiziarie solo che nel tempo ha fatto carriera, una grande carriera….criminale a leggere le risultanze investigative che adesso sono al vaglio del Tribunale delle misure di prevenzione.
L’attacco a Cosa nostra trapanese non ha sosta. Ha conosciuto una nuova impennata. Nel giro di poco tempo l’analisi investigativa condotta dalla divisione anticrimine della questura diretta dal primo dirigente Giuseppe Linares, ha messo a punto un nuovo sequestro di beni. La lotta alla mafia si è fatta più sofisticata, non solo la cattura di boss, uomini d’onore della nuova mafia, complici e favoreggiatori dei (del) latitanti (latitante), le ricerche dei colpevoli che si sono dati alla macchia a cominciare da Messina Denaro, ma l’attacco viene condotto alle “casseforti”, e Michele Mazzara ne deteneva una di queste.
L’indagine conferma che passando per il carcere, pareggiando i conti con la giustizia, senza fare danni all’organizzazione mafiosa, alla fine si viene premiati. Nel 1997 infatti Michele Mazzara, oggi 52 anni, imprenditore di Paceco, frazione agricola a pochi chilometri da Trapani, ma “culla” della Cosa nostra trapanese, venne arrestato nell’ambito dell’operazione denominata Halloween, scattata dopo la decisione di collaborare con la giustizia presa da un potente uomo d’onore di Paceco, Francesco Milazzo. Indicò Mazzara come soggetto a disposizione della “famiglia”, nel frattempo un altro pentito, ex boss di Mazara, Vincenzo Sinacori, disse che Mazzara si era prestato ad aiutare lui ed altri nella latitanza, aveva messo a disposizione magazzini per summit di mafia. Michele Mazzara patteggiò le accuse con una condanna a 14 mesi, tre mesi in meno ebbe inflitti, sempre col patteggiamento la moglie, Giuseppe Barone, anche lei 52 anni. Pareggiati i conti con la giustizia però Michele Mazzara anzicchè allontanarsi dall’organizzazione criminale sarebbe diventato ancora più intimo. Uno come lui è di quelli che meritano di far carriera e così sarebbe accaduto.
L’entità del sequestro lo dimostrerebbe: “La successiva attività istruttoria ha posto in evidenza come il MAZZARA Michele, nonostante la condanna patteggiata, abbia rafforzato, negli ultimi anni, la propria posizione funzionale in seno all’organigramma del mandamento mafioso di Trapani, divenendo in ragione di tale accresciuta collocazione organica l’ispiratore occulto di diverse iniziative imprenditoriali, per la realizzazione di speculazioni immobiliari e l’allestimento di alberghi e strutture ricettive nelle popolari località estive di San Vito Lo Capo e Castelluzzo-Makari, di edilizia privata nella zona del Comune di Paceco e di Trapani, nonché di numerosi opifici per l’ammasso di cereali e olio, oltre che di acquisizione di vastissime proprietà”. Così scrivono gli investigatori nel comunicato diffuso stamane.
Il sequestro così si compone: “Sulla base della Proposta del Questore di Trapani,, il Tribunale ha disposto ex art. 20, il sequestro anticipato ai fini della confisca, per un valore complessivo, stimato in atti, di circa 30 milioni di euro, di nr. 99 beni immobili (con un’estensione di terreni pari a circa 150 ettari), nr. 8 autovetture tra cui due Suv , nr. 17 automezzi agricoli (trattori ed autocarri), nr. 86 tra conti correnti e rapporti bancari di altra natura e nr. 3 società (interi capitali sociali e pertinenti complessi aziendali e alberghieri): A.S.A. Srl Azienda Siciliana Alberghiera, esercente l’attività di “alberghi e motel con ristorante” ;
NICOSIA Francesco & Vincenzo s.n.c., esercente l’attività di “costruzione di edifici residenziali e non residenziali; VILLA ESMERALDA di Di Salvo Piacentino Giuseppa & C. s.n.c. esercente l’attività di assistenza residenziali per anziani. Contestualmente è stata disposta l’amministrazione controllata della ANTOPIA di AGOSTA Antonella & C. S.A.S. società per l’acquisto la valorizzazione e l’utilizzazione anche ai fini edificatori e commerciali di terreni, aree e fabbricati destinati ad uso agricolo, industriali, turistico Alberghiero e sportivo di stabilimenti termali e marini”.
Michele Mazzara però aveva organizzato una rete di copertura. Lui non figurava nelle società, però era con lui che discuteva l’ex deputato regionale di Forza Italia, Giuseppe “Peppone” Maurici, oggi presidente del consorzio per l’area di sviluppo industriale, Asi, e imprenditore edile anche lui, e i due sono stati “intercettati” a parlare a ridosso di un cantiere, “belle queste palazzine, questo è un tuo cantiere?”, chiedeva l’on.Maurici, che non avrebbe disdegnato accompagnarsi al riconosciuto favoreggiatore dei latitanti di mafia, e Mazzara rispondeva affermativamente, solo che il nome del proprietario del cantiere risultava essere un altro, Francesco Nicosia, anche lui colpito dal provvedimento di sequestro. In un’altra intercettazione è Giuseppa Barraco, moglie di Mazzara, che chiede al marito se un certo personaggio sia a conoscenza del fatto che dietro una vendita c’è proprio lui, Mazzara la rassicura ma poi aggiunge che è risaputo che c’è lui dietro molte cose, ma nessuno lo tradisce per “rispetto”.
Non stiamo raccontando fatti antichi nel tempo, ma appena di oggi, di cosa è la mafia sommersa e come si muove, attraverso anche soggetti so spettabilissimi che però come nel caso di Michele Mazzara vivono circondati dal rispetto e sicuri che mai nessuno li denuncerà. C’entra anche la politica in questa storia. Michele Mazzara sarebbe stato “sponsor” della realizzazione di un documentario sulla provincia di Trapani e in tutti i modi avrebbe cercato sostegni politici. Si era deciso a rivolgersi anche al senatore Antonio D’Alì, ex sottosegretario all’Interno e oggi presidente della commissione Ambiente del Senato. Mazzara è stato intercettato a parlare di D’Alì, poi avrebbe cercato di incontrarlo in tutti i modi, mettendosi in contatto con uno stretto collaboratore del parlamentare, il consigliere comunale di Trapani, Totò La Pica, alla fine in una occasione è stato visto dagli investigatori raggiungere l’aeroporto di Punta Raisi dove pensava di riuscire a parlare col senatore D’Alì. Atti depositati all’interno del procedimento che interessa proprio il parlamentare del Pdl per il quale la Dda di Palermo ha chiesto il rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa.
Ultimo capitolo della s toria di Michele Mazzara, della storia che si può scrivere, perché ve ne sarebbe un’altra ancora coperta da segreto, è quello relativo ai rapporti con il presidente dell’Ato rifiuti di Trapani, ingegnere Salvatore Alestra. Lui e Mazzara sono pacecoti, e l’ing. Alestra è risultato essere progettista e consulente di Mazzara, e Mazzara al contrario avrebbe fatto il consulente ufficioso per Alestra.
Anche in questo caso nessun passo indietro da parte di Alestra che sembra essere espressione della società civile. Rapporti stretti e intimi tra i due ancora non del tutto disvelati. La circostanza che colpisce è quella che la gestione dei rifiuti nell’Ato 1 di Trapani è andata ad una azienda di marca “Forza Italia”, Pizzimbone, che si dice essere vicina all’area del senatore Marcello Dell’Utri. Sarà un caso che i protagonisti di questa storia si richiamano tutti a quest’area politica?
Liberainformazione - L’albergo è uno dei più belli di San Vito Lo Capo. Domina la lunga spiaggia dorata famosa in tutto il mondo, il porticciolo, il borgo marinaro che d’estate si riempie di migliaia e migliaia di persone. Si dice che mischiato tra i turisti d’estate qui sia arrivato, o ci venga ancora, quello che resta ancora l’imprendibile boss di Cosa nostra trapanese, Matteo Messina Denaro, 50 anni ad aprile, ricercato dal 1993, erede del “patriarca” della mafia belicina, Francesco Messina Denaro.
L’albergo si chiama Panoramic ed ha dato il nome all’operazione scattata all’alba che ha portato poliziotti e finanzieri a mettere i sigilli ad un immenso patrimonio nelle mani di una sola persona, l’imprenditore Michele Mazzara. Lui non compare ma è a lui che le indagini hanno ricondotto la proprietà di circa 150 ettari di terreno, un centinaio di immobili, auto, mezzi meccanici ed agricoli, una novantina di rapporti bancari, conti correnti e titoli. Mazzara non è nuovo alle cronache giudiziarie solo che nel tempo ha fatto carriera, una grande carriera….criminale a leggere le risultanze investigative che adesso sono al vaglio del Tribunale delle misure di prevenzione.
L’attacco a Cosa nostra trapanese non ha sosta. Ha conosciuto una nuova impennata. Nel giro di poco tempo l’analisi investigativa condotta dalla divisione anticrimine della questura diretta dal primo dirigente Giuseppe Linares, ha messo a punto un nuovo sequestro di beni. La lotta alla mafia si è fatta più sofisticata, non solo la cattura di boss, uomini d’onore della nuova mafia, complici e favoreggiatori dei (del) latitanti (latitante), le ricerche dei colpevoli che si sono dati alla macchia a cominciare da Messina Denaro, ma l’attacco viene condotto alle “casseforti”, e Michele Mazzara ne deteneva una di queste.
L’indagine conferma che passando per il carcere, pareggiando i conti con la giustizia, senza fare danni all’organizzazione mafiosa, alla fine si viene premiati. Nel 1997 infatti Michele Mazzara, oggi 52 anni, imprenditore di Paceco, frazione agricola a pochi chilometri da Trapani, ma “culla” della Cosa nostra trapanese, venne arrestato nell’ambito dell’operazione denominata Halloween, scattata dopo la decisione di collaborare con la giustizia presa da un potente uomo d’onore di Paceco, Francesco Milazzo. Indicò Mazzara come soggetto a disposizione della “famiglia”, nel frattempo un altro pentito, ex boss di Mazara, Vincenzo Sinacori, disse che Mazzara si era prestato ad aiutare lui ed altri nella latitanza, aveva messo a disposizione magazzini per summit di mafia. Michele Mazzara patteggiò le accuse con una condanna a 14 mesi, tre mesi in meno ebbe inflitti, sempre col patteggiamento la moglie, Giuseppe Barone, anche lei 52 anni. Pareggiati i conti con la giustizia però Michele Mazzara anzicchè allontanarsi dall’organizzazione criminale sarebbe diventato ancora più intimo. Uno come lui è di quelli che meritano di far carriera e così sarebbe accaduto.
L’entità del sequestro lo dimostrerebbe: “La successiva attività istruttoria ha posto in evidenza come il MAZZARA Michele, nonostante la condanna patteggiata, abbia rafforzato, negli ultimi anni, la propria posizione funzionale in seno all’organigramma del mandamento mafioso di Trapani, divenendo in ragione di tale accresciuta collocazione organica l’ispiratore occulto di diverse iniziative imprenditoriali, per la realizzazione di speculazioni immobiliari e l’allestimento di alberghi e strutture ricettive nelle popolari località estive di San Vito Lo Capo e Castelluzzo-Makari, di edilizia privata nella zona del Comune di Paceco e di Trapani, nonché di numerosi opifici per l’ammasso di cereali e olio, oltre che di acquisizione di vastissime proprietà”. Così scrivono gli investigatori nel comunicato diffuso stamane.
Il sequestro così si compone: “Sulla base della Proposta del Questore di Trapani,, il Tribunale ha disposto ex art. 20, il sequestro anticipato ai fini della confisca, per un valore complessivo, stimato in atti, di circa 30 milioni di euro, di nr. 99 beni immobili (con un’estensione di terreni pari a circa 150 ettari), nr. 8 autovetture tra cui due Suv , nr. 17 automezzi agricoli (trattori ed autocarri), nr. 86 tra conti correnti e rapporti bancari di altra natura e nr. 3 società (interi capitali sociali e pertinenti complessi aziendali e alberghieri): A.S.A. Srl Azienda Siciliana Alberghiera, esercente l’attività di “alberghi e motel con ristorante” ;
NICOSIA Francesco & Vincenzo s.n.c., esercente l’attività di “costruzione di edifici residenziali e non residenziali; VILLA ESMERALDA di Di Salvo Piacentino Giuseppa & C. s.n.c. esercente l’attività di assistenza residenziali per anziani. Contestualmente è stata disposta l’amministrazione controllata della ANTOPIA di AGOSTA Antonella & C. S.A.S. società per l’acquisto la valorizzazione e l’utilizzazione anche ai fini edificatori e commerciali di terreni, aree e fabbricati destinati ad uso agricolo, industriali, turistico Alberghiero e sportivo di stabilimenti termali e marini”.
Michele Mazzara però aveva organizzato una rete di copertura. Lui non figurava nelle società, però era con lui che discuteva l’ex deputato regionale di Forza Italia, Giuseppe “Peppone” Maurici, oggi presidente del consorzio per l’area di sviluppo industriale, Asi, e imprenditore edile anche lui, e i due sono stati “intercettati” a parlare a ridosso di un cantiere, “belle queste palazzine, questo è un tuo cantiere?”, chiedeva l’on.Maurici, che non avrebbe disdegnato accompagnarsi al riconosciuto favoreggiatore dei latitanti di mafia, e Mazzara rispondeva affermativamente, solo che il nome del proprietario del cantiere risultava essere un altro, Francesco Nicosia, anche lui colpito dal provvedimento di sequestro. In un’altra intercettazione è Giuseppa Barraco, moglie di Mazzara, che chiede al marito se un certo personaggio sia a conoscenza del fatto che dietro una vendita c’è proprio lui, Mazzara la rassicura ma poi aggiunge che è risaputo che c’è lui dietro molte cose, ma nessuno lo tradisce per “rispetto”.
Non stiamo raccontando fatti antichi nel tempo, ma appena di oggi, di cosa è la mafia sommersa e come si muove, attraverso anche soggetti so spettabilissimi che però come nel caso di Michele Mazzara vivono circondati dal rispetto e sicuri che mai nessuno li denuncerà. C’entra anche la politica in questa storia. Michele Mazzara sarebbe stato “sponsor” della realizzazione di un documentario sulla provincia di Trapani e in tutti i modi avrebbe cercato sostegni politici. Si era deciso a rivolgersi anche al senatore Antonio D’Alì, ex sottosegretario all’Interno e oggi presidente della commissione Ambiente del Senato. Mazzara è stato intercettato a parlare di D’Alì, poi avrebbe cercato di incontrarlo in tutti i modi, mettendosi in contatto con uno stretto collaboratore del parlamentare, il consigliere comunale di Trapani, Totò La Pica, alla fine in una occasione è stato visto dagli investigatori raggiungere l’aeroporto di Punta Raisi dove pensava di riuscire a parlare col senatore D’Alì. Atti depositati all’interno del procedimento che interessa proprio il parlamentare del Pdl per il quale la Dda di Palermo ha chiesto il rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa.
Ultimo capitolo della s toria di Michele Mazzara, della storia che si può scrivere, perché ve ne sarebbe un’altra ancora coperta da segreto, è quello relativo ai rapporti con il presidente dell’Ato rifiuti di Trapani, ingegnere Salvatore Alestra. Lui e Mazzara sono pacecoti, e l’ing. Alestra è risultato essere progettista e consulente di Mazzara, e Mazzara al contrario avrebbe fatto il consulente ufficioso per Alestra.
Anche in questo caso nessun passo indietro da parte di Alestra che sembra essere espressione della società civile. Rapporti stretti e intimi tra i due ancora non del tutto disvelati. La circostanza che colpisce è quella che la gestione dei rifiuti nell’Ato 1 di Trapani è andata ad una azienda di marca “Forza Italia”, Pizzimbone, che si dice essere vicina all’area del senatore Marcello Dell’Utri. Sarà un caso che i protagonisti di questa storia si richiamano tutti a quest’area politica?
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