Di certo, fino a qualche anno fa l’ateismo si presentava colto e pragmaticamente indifferente, oggi invece si assiste ad un doppio cambiamento.
Uccr - Il primo mutamento che va sottolineato è sicuramente come ai giorni nostri si ricorra un po’ banalmente al neodarwinismo o alle neuroscienze per tentare di estrapolare delle motivazioni per negare l’esistenza di Dio. Il secondo cambiamento invece, riguarda il tentativo di far sembrare l’ateismo come portatore di una moralità nuova. A sottolineare queste nuove caratteristiche ci pensa il filosofo Adriano Pessina, docente presso la Cattolica di Milano, in un articolo sull’Osservatore Romano. Egli precisa anche che: “La nuova apologetica dell’ateismo privilegia il riferimento alle scienze empiriche per giustificare la tesi per cui senza Dio si può vivere moralmente bene e, anzi, si può e si deve prendere nelle proprie mani il futuro di un’evoluzione che finora è stata, per così dire, cieca, ma che ora potrà finalmente essere governata dal progetto umano emancipato dalle pastoie di divieti ancestrali formulati sotto l’autorità divina”.
Un nuovo ateismo, dunque, che gioca sulla cattiva comprensione della questione di Dio come Creatore e che manifesta un po’ di inquietudine quando promuove un‘illusoria rassicurazione dell’uomo con la possibilità per gestire la vita manipolandola a suo piacimento. E’ un chiaro segno di un’avvertita consapevolezza della posta in gioco, cioè del significato ultimo dell’esistenza e del senso stesso dell’intera realtà. Il nuovo ateismo, continua il filosofo, deve suscitare nei cristiani una voglia ancora maggiore di affermare “le ragioni di un credere che è capace di ridare di nuovo forma a un sapere sull’esistenza di Dio in grado di plasmare il senso dell’ethos umano, per troppo tempo coltivato dentro un’autonomia incapace di cogliere la portata epocale della sfida pratica e teorica che l’uomo stesso ha plasmato con le sue mani”. C’è l’esigenza di trovare criteri etici che non siano puramente arbitrari e soggettivi: e l’ateismo militante vorrebbe porsi proprio come questo orizzonte ultimo di senso, in grado di giustificare il discorso etico su una vera e propria metafisica dell’immanenza e perciò della negazione di Dio.
Chiude magistralmente Pessina: «Agli argomenti della nuova apologetica dell’ateismo, che di fatto è tutt’altro che post-metafisica, si può e si deve rispondere, confidando nelle grandi risorse di cui proprio la ragione umana, salvata dall’evento dell’Incarnazione, dispone. Dopo il periodo del pensiero debole, delle identità fluide, si ripropone, nello spazio pubblico della cultura, la questione della serietà dell’esistenza nel suo necessario radicarsi con o contro Dio».
Antonio Ballarò
(www.noicattolici.altervista.org)
Uccr - Il primo mutamento che va sottolineato è sicuramente come ai giorni nostri si ricorra un po’ banalmente al neodarwinismo o alle neuroscienze per tentare di estrapolare delle motivazioni per negare l’esistenza di Dio. Il secondo cambiamento invece, riguarda il tentativo di far sembrare l’ateismo come portatore di una moralità nuova. A sottolineare queste nuove caratteristiche ci pensa il filosofo Adriano Pessina, docente presso la Cattolica di Milano, in un articolo sull’Osservatore Romano. Egli precisa anche che: “La nuova apologetica dell’ateismo privilegia il riferimento alle scienze empiriche per giustificare la tesi per cui senza Dio si può vivere moralmente bene e, anzi, si può e si deve prendere nelle proprie mani il futuro di un’evoluzione che finora è stata, per così dire, cieca, ma che ora potrà finalmente essere governata dal progetto umano emancipato dalle pastoie di divieti ancestrali formulati sotto l’autorità divina”.
Un nuovo ateismo, dunque, che gioca sulla cattiva comprensione della questione di Dio come Creatore e che manifesta un po’ di inquietudine quando promuove un‘illusoria rassicurazione dell’uomo con la possibilità per gestire la vita manipolandola a suo piacimento. E’ un chiaro segno di un’avvertita consapevolezza della posta in gioco, cioè del significato ultimo dell’esistenza e del senso stesso dell’intera realtà. Il nuovo ateismo, continua il filosofo, deve suscitare nei cristiani una voglia ancora maggiore di affermare “le ragioni di un credere che è capace di ridare di nuovo forma a un sapere sull’esistenza di Dio in grado di plasmare il senso dell’ethos umano, per troppo tempo coltivato dentro un’autonomia incapace di cogliere la portata epocale della sfida pratica e teorica che l’uomo stesso ha plasmato con le sue mani”. C’è l’esigenza di trovare criteri etici che non siano puramente arbitrari e soggettivi: e l’ateismo militante vorrebbe porsi proprio come questo orizzonte ultimo di senso, in grado di giustificare il discorso etico su una vera e propria metafisica dell’immanenza e perciò della negazione di Dio.
Chiude magistralmente Pessina: «Agli argomenti della nuova apologetica dell’ateismo, che di fatto è tutt’altro che post-metafisica, si può e si deve rispondere, confidando nelle grandi risorse di cui proprio la ragione umana, salvata dall’evento dell’Incarnazione, dispone. Dopo il periodo del pensiero debole, delle identità fluide, si ripropone, nello spazio pubblico della cultura, la questione della serietà dell’esistenza nel suo necessario radicarsi con o contro Dio».
Antonio Ballarò
(www.noicattolici.altervista.org)
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È presente 1 commento
Caro Professore,
grazie per le Sue parole che ristorano la mente ed anche il cervello, perché si riferiscono alla vita integrale. Come psicologo esamino, quanto più mi riesce, la mappa delle idee possedute dalle persone per giungere ad un benessere bio-psicologico condiviso e quindi per nutrire contestualmente lo spirito di bontà fraterna, desiderando di riuscirci. Ma durante le mie sperimentazioni ho notato che quelli che Lei giustamente definisce atei incappano in una serie di trappole costruite da se stessi. Costruiscono la trappola dell’autoesclusione per separarsi, distinguersi allo scopo di identificarsi: un bel lavorio che gli riserva due momenti di crisi, che danno un bel po’ da pensare agli stessi filosofi laici. Vivono infatti una costante crisi nel riconoscere la felicità terrena (cercando di renderla visibile attraverso la materialità esistenziale) ed una crisi ben più grave nell’approssimarsi alla fine (che viene percepita come sfuggente, incontrollabile e definitiva).
Per quanto riguarda la felicità, voglio solo accennare al fatto che essa uno stato personale, che, dall’esterno, si può tentare di misurare anche attraverso alcuni indicatori biochimici, tra cui le endorfine o il cortisone, ma purtroppo è un concetto (introspettivo) dello stato personale che può essere falsato in maniera autoreferenziale o illuso addirittura mediante sostanze psicotrope, eccitanti, euforizzanti narcotizzanti, allucinanti, strapazzi sonori, con il rovescio della medaglia consistente in costi personali e sociali a lungo termine devastanti. Non importa se talvolta i laici, a cuor leggero, criticano la ricerca di una sana serenità, un rilassamento che aiuti la sintonia fine tra l’istinto di conservazione ed il sentimento ascetico di contemplazione di Gesù nella fratellanza con i bisognosi.
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