Il mese scorso il ministro del petrolio norvegese, Ola Borten Moe, ha rilasciato 26 nuove licenze ad alcune tra le più grandi aziende energetiche mondiali per la realizzazione di impianti off-shore nel Mare del Nord.
GreenReport - Il paese, d'altra parte, ha da poco stipulato un accordo quadro con la Russia per lo sfruttamento dei giacimenti del Mare di Barents. Intanto, nuove piattaforme per l'estrazione di petrolio e di gas stanno nascendo come funghi al largo delle coste dell'Alaska, della Groenlandia, della Siberia. Ma i produttori non sono ancora contenti: in un meeting organizzato una decina di giorni fa non a caso a Tromsø, nella Norvegia settentrionale, chiedono di poter accelerare l'esplorazione e l'estrazione di combustibili fossili nei mari che circondano il Polo Nord.
Aveva dunque ragione Laurence C. Smith, professore di Geografia e di Scienze della terra e dello spazio, della University of California di Los Angeles (UCLA), quando sosteneva in un fortunato libro (2050. Il futuro del nuovo Nord, Einaudi, 2011) che «l'Artico è la nuova frontiera».
Il motivo è presto detto. Secondo uno studio realizzato nel 2008 dalla U. S. Geological Survey nell'estremo nord del pianeta si trovano 90 miliardi di barili di petrolio (pari al 13% delle riserve mondiali) e, addirittura, 50.000 miliardi di metri cubi di gas naturale oltre a 44 miliardi di barili di gas naturale liquido (il 30% delle riserve planetaria). E mentre la domanda globale sia di gas che di petrolio cresce e la produzione più convenzionale dell'olio nero sembra aver raggiunto il picco massimo, pochi sanno resistere alla forza di attrazione dei mari del Grande Nord. Tanto più che i cambiamenti del clima li rendono meno inospitali.
Eppure, hanno scritto 573 scienziati al Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, occorrerebbe grande prudenza. Soprattutto alla luce di quanto è successo nel Golfo del Messico con l'esplosione, nell'estate 2010, della piattaforma Deepwater Horizon. Il fatto è, sostiene il gruppo di scienziati preoccupati, non conosciamo bene la regione artica e i suoi ecosistemi. Così non abbiamo un'idea precisa dell'impatto ecologico che un grave incidente avrebbe sia a scala locale, sia a scala globale. Inoltre proprio la vicenda della Deepwater Horizon ha dimostrato che le tecnologie e le concrete metodologie di estrazione off-shore in mari profondi non sono del tutto sicure. L'incidente della Deepwater Horizon è avvenuto in un luogo relativamente tranquillo, a un tiro di schioppo dalle coste della più grande potenza economica e tecnologica del mondo. Cosa accadrebbe se un incidente analogo avvenisse nel freddo e tuttora poco agevole da navigare Oceano Artico?
Inoltre molti sono i contenziosi tra i paesi: chi ha diritto e dove a esplorare e a estrarre petrolio e gas?
Che fare, dunque, in queste condizioni, dove la corsa al nuovo Eldorado è iniziata ed è, tuttora, senza regole? La rivista scientifica Nature non ha dubbi: occorre giungere al più presto a un Trattato sull'Artico analogo a quel Trattato sull'Antartide firmato a Washington il 1 dicembre del lontano 1959, in piena guerra fredda.
Per oltre mezzo secolo quell'accordo ha impedito che intorno al Polo Sud e alla sue ricchezze si scatenasse una guerra di tutti contro tutti. E ha fatto di quel continente bianco un santuario ecologico in cui l'unica attività umana è la ricerca scientifica.
È possibile oggi ripetere quell'esperienza?
GreenReport - Il paese, d'altra parte, ha da poco stipulato un accordo quadro con la Russia per lo sfruttamento dei giacimenti del Mare di Barents. Intanto, nuove piattaforme per l'estrazione di petrolio e di gas stanno nascendo come funghi al largo delle coste dell'Alaska, della Groenlandia, della Siberia. Ma i produttori non sono ancora contenti: in un meeting organizzato una decina di giorni fa non a caso a Tromsø, nella Norvegia settentrionale, chiedono di poter accelerare l'esplorazione e l'estrazione di combustibili fossili nei mari che circondano il Polo Nord.
Aveva dunque ragione Laurence C. Smith, professore di Geografia e di Scienze della terra e dello spazio, della University of California di Los Angeles (UCLA), quando sosteneva in un fortunato libro (2050. Il futuro del nuovo Nord, Einaudi, 2011) che «l'Artico è la nuova frontiera».
Il motivo è presto detto. Secondo uno studio realizzato nel 2008 dalla U. S. Geological Survey nell'estremo nord del pianeta si trovano 90 miliardi di barili di petrolio (pari al 13% delle riserve mondiali) e, addirittura, 50.000 miliardi di metri cubi di gas naturale oltre a 44 miliardi di barili di gas naturale liquido (il 30% delle riserve planetaria). E mentre la domanda globale sia di gas che di petrolio cresce e la produzione più convenzionale dell'olio nero sembra aver raggiunto il picco massimo, pochi sanno resistere alla forza di attrazione dei mari del Grande Nord. Tanto più che i cambiamenti del clima li rendono meno inospitali.
Eppure, hanno scritto 573 scienziati al Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, occorrerebbe grande prudenza. Soprattutto alla luce di quanto è successo nel Golfo del Messico con l'esplosione, nell'estate 2010, della piattaforma Deepwater Horizon. Il fatto è, sostiene il gruppo di scienziati preoccupati, non conosciamo bene la regione artica e i suoi ecosistemi. Così non abbiamo un'idea precisa dell'impatto ecologico che un grave incidente avrebbe sia a scala locale, sia a scala globale. Inoltre proprio la vicenda della Deepwater Horizon ha dimostrato che le tecnologie e le concrete metodologie di estrazione off-shore in mari profondi non sono del tutto sicure. L'incidente della Deepwater Horizon è avvenuto in un luogo relativamente tranquillo, a un tiro di schioppo dalle coste della più grande potenza economica e tecnologica del mondo. Cosa accadrebbe se un incidente analogo avvenisse nel freddo e tuttora poco agevole da navigare Oceano Artico?
Inoltre molti sono i contenziosi tra i paesi: chi ha diritto e dove a esplorare e a estrarre petrolio e gas?
Che fare, dunque, in queste condizioni, dove la corsa al nuovo Eldorado è iniziata ed è, tuttora, senza regole? La rivista scientifica Nature non ha dubbi: occorre giungere al più presto a un Trattato sull'Artico analogo a quel Trattato sull'Antartide firmato a Washington il 1 dicembre del lontano 1959, in piena guerra fredda.
Per oltre mezzo secolo quell'accordo ha impedito che intorno al Polo Sud e alla sue ricchezze si scatenasse una guerra di tutti contro tutti. E ha fatto di quel continente bianco un santuario ecologico in cui l'unica attività umana è la ricerca scientifica.
È possibile oggi ripetere quell'esperienza?
di Pietro Greco
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