Dopo i controlli fiscali ecco quelli neonatali: il Governo alla riscossa e a tutto campo. Ai carabinieri dei NAS il compito di vederci chiaro sulla estrema diffusione del parto con taglio cesareo: circola il sospetto di lucro anche sulle metodiche dei parti.
di Silvio Foini
Troppi parti cesarei in Italia: la media che l’Organizzazione Mondiale della Sanità indica doversi attestare intorno al 15% registra invece in Italia un’incidenza del 38,2%. Per capire il fenomeno arriva dunque la decisione del Ministro della Salute Renato Balduzzi, che ha attivato i carabinieri dei Nas per dare avvio a controlli a campione nelle strutture sanitarie pubbliche e private con l’obiettivo di accertare un eventuale utilizzo inappropriato del taglio cesareo in corsia.
Un intervento, quello del ministro, apprezzato dal presidente della Commissione d’inchiesta sul SSN, Ignazio Marino: “La Commissione d’inchiesta che presiedo denuncia un abuso del ricorso al parto cesareo in Italia”. Secondo i dati del ministero della Salute infatti, nel 2010 la percentuale di cesarei ha mostrato solo una lieve diminuzione: l’incidenza è stata del 38,2% contro il 38,4% del 2009 e il 38,3% del 2008. I valori massimi di cesarei sono stati registrati in Campania (61,6%) e Sicilia (52,8%), e cifre superiori al 40% si rilevano in tutte le regioni del centro-sud, ad eccezione della Sardegna. E proprio tale divario tra le Regioni è stato definito come un aspetto “assolutamente intollerabile” dal Ministro: “Si passa – ha fatto notare Balduzzi - dal 23% del Friuli al 62% della Campania. E senza che un maggiore ricorso al cesareo porti ad un miglioramento degli esiti clinici.”
Cosa giustifica questo abuso metodologico? Secondo gli esperti , in primis la motivazione economica: un taglio cesareo viene infatti pagato alle singole realtà ospedaliere come operazione chirurgica, per una cifra nettamente superiore rispetto a quella corrisposta per un parto naturale. In secundis, nella metà dei punti nascita avvengono meno di 500 parti all’anno, che determina una minore sicurezza al parto naturale e una maggiore propensione al cesareo da parte dei medici. Si tratta della cosiddetta “medicina difensiva”, che può evitare possibili contenziosi. Terzo motivo è che solo il 16% delle strutture ospedaliere offre gratuitamente il servizio di analgesia epidurale alle partorienti, le quali spesso chiedono il cesareo proprio per paura del dolore del parto. Se consideriamo le nuove linee guida dell’Istituto Superiore di Sanità, pubblicate lo scorso gennaio, sono solo tre le situazioni in cui bisogna ricorrere al parto cesareo: quando il feto è in posizione podalica (situazione che si registra nell’8% dei casi come media nazionale, ma con punte che arriverebbero al 21% in Campania e 10% in Sicilia), quando la placenta copre il passaggio del feto nel canale del parto e se la madre è diabetica e il feto pesa più di 4,5 kg. Altrimenti, senza altre controindicazioni, affermano le linee guida, il parto naturale è preferibile per il benessere della donna e del bambino.
Ora scattano i controlli: i Carabinieri acquisiranno anche fotocopia della cartella clinica e della documentazione ecografica della paziente. L’intervento dei Nas, dunque, servirà a valutare “possibili ipotesi di comportamenti opportunistici dolosi”. La corruzione quindi è entrata, a quanto pare, anche in sala parto...
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di Silvio Foini
Troppi parti cesarei in Italia: la media che l’Organizzazione Mondiale della Sanità indica doversi attestare intorno al 15% registra invece in Italia un’incidenza del 38,2%. Per capire il fenomeno arriva dunque la decisione del Ministro della Salute Renato Balduzzi, che ha attivato i carabinieri dei Nas per dare avvio a controlli a campione nelle strutture sanitarie pubbliche e private con l’obiettivo di accertare un eventuale utilizzo inappropriato del taglio cesareo in corsia.
Un intervento, quello del ministro, apprezzato dal presidente della Commissione d’inchiesta sul SSN, Ignazio Marino: “La Commissione d’inchiesta che presiedo denuncia un abuso del ricorso al parto cesareo in Italia”. Secondo i dati del ministero della Salute infatti, nel 2010 la percentuale di cesarei ha mostrato solo una lieve diminuzione: l’incidenza è stata del 38,2% contro il 38,4% del 2009 e il 38,3% del 2008. I valori massimi di cesarei sono stati registrati in Campania (61,6%) e Sicilia (52,8%), e cifre superiori al 40% si rilevano in tutte le regioni del centro-sud, ad eccezione della Sardegna. E proprio tale divario tra le Regioni è stato definito come un aspetto “assolutamente intollerabile” dal Ministro: “Si passa – ha fatto notare Balduzzi - dal 23% del Friuli al 62% della Campania. E senza che un maggiore ricorso al cesareo porti ad un miglioramento degli esiti clinici.”
Cosa giustifica questo abuso metodologico? Secondo gli esperti , in primis la motivazione economica: un taglio cesareo viene infatti pagato alle singole realtà ospedaliere come operazione chirurgica, per una cifra nettamente superiore rispetto a quella corrisposta per un parto naturale. In secundis, nella metà dei punti nascita avvengono meno di 500 parti all’anno, che determina una minore sicurezza al parto naturale e una maggiore propensione al cesareo da parte dei medici. Si tratta della cosiddetta “medicina difensiva”, che può evitare possibili contenziosi. Terzo motivo è che solo il 16% delle strutture ospedaliere offre gratuitamente il servizio di analgesia epidurale alle partorienti, le quali spesso chiedono il cesareo proprio per paura del dolore del parto. Se consideriamo le nuove linee guida dell’Istituto Superiore di Sanità, pubblicate lo scorso gennaio, sono solo tre le situazioni in cui bisogna ricorrere al parto cesareo: quando il feto è in posizione podalica (situazione che si registra nell’8% dei casi come media nazionale, ma con punte che arriverebbero al 21% in Campania e 10% in Sicilia), quando la placenta copre il passaggio del feto nel canale del parto e se la madre è diabetica e il feto pesa più di 4,5 kg. Altrimenti, senza altre controindicazioni, affermano le linee guida, il parto naturale è preferibile per il benessere della donna e del bambino.
Ora scattano i controlli: i Carabinieri acquisiranno anche fotocopia della cartella clinica e della documentazione ecografica della paziente. L’intervento dei Nas, dunque, servirà a valutare “possibili ipotesi di comportamenti opportunistici dolosi”. La corruzione quindi è entrata, a quanto pare, anche in sala parto...
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Sono presenti 4 commenti
Già 8 anni fa la cosa, almeno in Campania, era ampiamente diffusa. Le cliniche private ricorrevano a questo sistema visto che ad ogni parto cesareo incassavano più di 500 euro. Il sistema è semplice: il ginecologo che visita la donna in genere, per ogni prestazione pre-parto, chiede meno della concorrenza, a patto di farsi visitare in una clinica gradita al dottore. Un mese prima del parto via giù con tracciati che indicano una poca mobilità del feto e, di conseguenza, uso di vasorestringenti non si sa per quale motivo. Scatta, nella puerpera, una paura irrefrenabile del parto naturale con il medico a rassicurare la signora indicandole il ''cesareo''. Semplice, no? E questo quando è nato mio figlio. Appunto, 8 anni fa. Figuriamoci adesso...
Tutto ciò avviene perchè le donne non vogliono soffrire per mettere al mondo un figlio, e,trovano medici compiacenti che indicano loro la strada facile , ma il medico pietoso fa la piaga grande qui la piaga è sociale ed economica!!..e poi ,donne stolte perchè non avete paura a rifarvi il seno e quant'altro, rischiando la vita solo per apparire??Il mondo va alla rovescia e alla rovina, menomale che si comincia a mettere un po' d'ordine.
Davvero ci voleva uno come Monti e i suoi ministri cui non frega nulla della poltrona ma cercano di drizzare le cose e solo quelle!
ma perchè non lo fate voi uomini un figlio se avete coraggio codardi
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