Aumenta la crisi nel mondo dell’editoria provocando la scomparsa di alcune testate storiche
di Paola Bisconti
I tagli dello Stato attuati in base all’articolo 29 stabiliscono la fine dei contributi diretti all’editoria, provocando così una crisi senza precedenti. Il gratuito accesso all’informazione offerto dalla rete, i bassi ricavi dalle pubblicità, l’aumento del precariato e lo scarso interesse dei giovani alla lettura ha incrementato il crollo del settore della stampa. A subire le drastiche misure economiche del decreto “Salva-Italia” sono più di 100 testate giornalistiche e radiotelevisive. Liberazione, Sardegna 24 e City - i cui giornalisti sono stati assorbiti da RCS periodici - sono recentemente scomparse dal panorama editoriale. In una grave situazione ci sono anche Europa, Il Riformista, Il Giornale di Sicilia, La Cronaca di Piacenza e Cremona, Il Domani, Finanza e Mercato, Le Guide del Sole, Il Sole 24 Ore, L’Informazione, l’agenzia ANSA (che deve far fronte ad un taglio di 7 milioni di euro) e ancora Radio 24 e RadioCor. Esclusa dal girone degli sfortunati sembra essere Il Foglio di Giuliano Ferrara, che si è salvato grazie agli azionisti di Unione Editoriale, Sergio Zuncheddu e Denis Verdini, che hanno contribuito con una quota di 567.000 euro a testa, e il sovvenzionamento di 143 milioni da parte di Paolo Berlusconi, che detiene il 38% di Foglio Edizioni. Anche Ferrara, in quanto detentore del 10%, avrebbe dovuto versare 34.000 euro, ma diplomaticamente si è esentato dall’impegno. Tuttavia gli aiuti hanno concesso alla sua testata un altro anno di “sopravvivenza”.
In bilico c’è anche Il Manifesto, che sta cercando di trovare una rapida soluzione per le sorti dei 35 giornalisti che lavorano nella sede storica di Trastevere a Roma. Il Ministero per lo Sviluppo ha dichiarato la liquidazione coatta amministrativa per il giornale di indirizzo comunista nato nel 1969. Dopo aver superato la prima crisi nel 2006, ne affronta una seconda nel 2008 fino a ritrovarsi coinvolto nell’attuale “disastro italiano dei media”, come ha dichiarato Vincenzo Vita, il senatore del Pd. Il 9 febbraio Il Manifesto ha lanciato un appello pubblicato in prima pagina dove ha ribadito come la fisionomia della testata, il carattere di editore puro e il loro essere una cooperativa di giornalisti li ha resi una felice anomalia, un’eresia rispetto ad un mercato che loro non ritengono un monarca assoluto. Anche Paolo Beni, il presidente nazionale dell’ARCI, si è espresso in favore del quotidiano, dichiarando che la nostra democrazia non può permettersi di perdere una voce considerata come un riferimento politico, civile e culturale.
Per arginare il problema, 37 aziende sono ricorse al prepensionamento, alla cassa integrazione straordinaria e ai contratti di solidarietà. Sarà l’INPGI, l‘ente di previdenza dei giornalisti, a gestire un fondo finanziato dallo Stato di 20 milioni di euro, a cui si aggiunge un versamento dell’editore che paga un contributo straordinario del 30% per ogni singolo pensionamento anticipato. Anche la legge 416/8 consente agli editori di chiedere lo “stato di crisi” garantendosi in questo modo una “sopravvivenza” per un biennio. Meno recente è il “regolamento Bonaiuti” che è entrato in vigore a gennaio del 2010 e prevede di tenere in considerazione il numero di lavoratori assunti in un redazione giornalistica e calcola inoltre le copie vendute anziché quelle stampate, escludendo la vendita a stock con un costo minimo di 0,50 centesimi. Nonostante il premier Monti, il 29 dicembre scorso, abbia espresso piena solidarietà nei confronti delle difficoltà che l’editoria sta affrontando, sembra che nulla sia stato risolto. Dichiarando fondamentale l’importanza di una stampa libera, indipendente e articolata, sosteneva impensabile l’ipotesi di eliminare completamente i contributi, ritenuti “il lievito di quella informazione pluralistica”, ma aveva precisato l’intenzione di una bonifica dei criteri di erogazione. Una soluzione però che non sta riscuotendo consensi ma solo forti proteste, come il sit-in svoltosi a Montecitorio poche settimane fa, che ha visto freelance, giornalisti autonomi e parasubordinati fautori della contestazione contro i tagli. Il comitato “Giornalisti senza tutela: altro che casta” e il coordinamento “Precari di stampa” continuano a chiedere i loro diritti.
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di Paola Bisconti
I tagli dello Stato attuati in base all’articolo 29 stabiliscono la fine dei contributi diretti all’editoria, provocando così una crisi senza precedenti. Il gratuito accesso all’informazione offerto dalla rete, i bassi ricavi dalle pubblicità, l’aumento del precariato e lo scarso interesse dei giovani alla lettura ha incrementato il crollo del settore della stampa. A subire le drastiche misure economiche del decreto “Salva-Italia” sono più di 100 testate giornalistiche e radiotelevisive. Liberazione, Sardegna 24 e City - i cui giornalisti sono stati assorbiti da RCS periodici - sono recentemente scomparse dal panorama editoriale. In una grave situazione ci sono anche Europa, Il Riformista, Il Giornale di Sicilia, La Cronaca di Piacenza e Cremona, Il Domani, Finanza e Mercato, Le Guide del Sole, Il Sole 24 Ore, L’Informazione, l’agenzia ANSA (che deve far fronte ad un taglio di 7 milioni di euro) e ancora Radio 24 e RadioCor. Esclusa dal girone degli sfortunati sembra essere Il Foglio di Giuliano Ferrara, che si è salvato grazie agli azionisti di Unione Editoriale, Sergio Zuncheddu e Denis Verdini, che hanno contribuito con una quota di 567.000 euro a testa, e il sovvenzionamento di 143 milioni da parte di Paolo Berlusconi, che detiene il 38% di Foglio Edizioni. Anche Ferrara, in quanto detentore del 10%, avrebbe dovuto versare 34.000 euro, ma diplomaticamente si è esentato dall’impegno. Tuttavia gli aiuti hanno concesso alla sua testata un altro anno di “sopravvivenza”.
In bilico c’è anche Il Manifesto, che sta cercando di trovare una rapida soluzione per le sorti dei 35 giornalisti che lavorano nella sede storica di Trastevere a Roma. Il Ministero per lo Sviluppo ha dichiarato la liquidazione coatta amministrativa per il giornale di indirizzo comunista nato nel 1969. Dopo aver superato la prima crisi nel 2006, ne affronta una seconda nel 2008 fino a ritrovarsi coinvolto nell’attuale “disastro italiano dei media”, come ha dichiarato Vincenzo Vita, il senatore del Pd. Il 9 febbraio Il Manifesto ha lanciato un appello pubblicato in prima pagina dove ha ribadito come la fisionomia della testata, il carattere di editore puro e il loro essere una cooperativa di giornalisti li ha resi una felice anomalia, un’eresia rispetto ad un mercato che loro non ritengono un monarca assoluto. Anche Paolo Beni, il presidente nazionale dell’ARCI, si è espresso in favore del quotidiano, dichiarando che la nostra democrazia non può permettersi di perdere una voce considerata come un riferimento politico, civile e culturale.
Per arginare il problema, 37 aziende sono ricorse al prepensionamento, alla cassa integrazione straordinaria e ai contratti di solidarietà. Sarà l’INPGI, l‘ente di previdenza dei giornalisti, a gestire un fondo finanziato dallo Stato di 20 milioni di euro, a cui si aggiunge un versamento dell’editore che paga un contributo straordinario del 30% per ogni singolo pensionamento anticipato. Anche la legge 416/8 consente agli editori di chiedere lo “stato di crisi” garantendosi in questo modo una “sopravvivenza” per un biennio. Meno recente è il “regolamento Bonaiuti” che è entrato in vigore a gennaio del 2010 e prevede di tenere in considerazione il numero di lavoratori assunti in un redazione giornalistica e calcola inoltre le copie vendute anziché quelle stampate, escludendo la vendita a stock con un costo minimo di 0,50 centesimi. Nonostante il premier Monti, il 29 dicembre scorso, abbia espresso piena solidarietà nei confronti delle difficoltà che l’editoria sta affrontando, sembra che nulla sia stato risolto. Dichiarando fondamentale l’importanza di una stampa libera, indipendente e articolata, sosteneva impensabile l’ipotesi di eliminare completamente i contributi, ritenuti “il lievito di quella informazione pluralistica”, ma aveva precisato l’intenzione di una bonifica dei criteri di erogazione. Una soluzione però che non sta riscuotendo consensi ma solo forti proteste, come il sit-in svoltosi a Montecitorio poche settimane fa, che ha visto freelance, giornalisti autonomi e parasubordinati fautori della contestazione contro i tagli. Il comitato “Giornalisti senza tutela: altro che casta” e il coordinamento “Precari di stampa” continuano a chiedere i loro diritti.
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È presente 1 commento
Piuttosto che lavorare meglio fare i giornalisti, diceva malignamente qualcuno un tempo. Quelli della nostra testata lavorano tutti e in più fanno informazione. LA PERFETTA LETIZIA sta in piedi da sola grazie alla passione pura dei suoi redattori che sanno bene come di "giornalismo" sia difficile vivere ma ci mettono l'entusiasmo oltre alle indubbie capacità e non chiedono nulla a nessuno.
Un esempio da seguire. Saluti. Silvio
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