venerdì, febbraio 24, 2012
«Rispetto al 2004 ho notato nei vescovi un maggiore desiderio di vera e profonda comunione. Un nuovo slancio che ci ha permesso di approfondire ancor più la realtà africana». La responsabile internazionale della sezione Africa di Aiuto alla Chiesa che Soffre, Christine du Coudray Wiehe, racconta il 2° Simposio dei vescovi africani ed europei, organizzato la scorsa settimana a Roma per discutere de «L’evangelizzazione oggi: comunione e collaborazione pastorale tra l’Africa e l’Europa».

«Abbiamo scelto questo tema perché era indispensabile affrontarlo in vista del prossimo Sinodo di ottobre» spiega la du Coudray che nel 2004 è stata tra gli ideatori di questo importante appuntamento. «Subito dopo l’assemblea sinodale dei vescovi africani del 1994 – ricorda – ho parlato a lungo con il cardinale beninese Bernardin Gantin, allora prefetto della Congregazione per i Vescovi, della necessità di dare una maggiore eco alle importanti questioni considerate dai presuli». L’occasione si presenta nel 2004, decimo anniversario del Sinodo, mentre la du Coudray collabora con monsignor Robert Sarah, non ancora elevato alla porpora. «Insieme abbiamo pensato ad un incontro tra i vescovi africani ed europei, realizzato poi al Salesianum di Roma. E’ stato allora che Giovanni Paolo II ha annunciato le assise sinodali del 2009».

Ascoltando gli interventi dei circa settanta vescovi che hanno partecipato al secondo simposio, la rappresentante di ACS è rimasta profondamente colpita dalla «straordinaria libertà di parola mostrata dai presuli africani nell’esporre e discutere le difficoltà delle loro diocesi». In molti hanno espresso il desiderio di chiarire i «contratti» che regolano le permanenze dei propri sacerdoti in Europa. «Spesso – spiega la du Coudray, da oltre vent’anni in ACS - le durate dei viaggi si estendono notevolmente e sono in molti a non voler più tornare a casa. E’ comprensibile: la vita da noi è più semplice che in Africa». Il forte desiderio dei sacerdoti africani di conseguire i loro studi negli atenei europei, apre poi a nuove riflessioni. «Come ha detto giustamente un vescovo del Benin, la Chiesa africana non può limitarsi ad inviare i suoi preti all’estero, ma deve comprendere quanto può condividere della grande ricchezza che possiede».

E tra le immense ricchezze dell’Africa vi è senza dubbio la fede smisurata di tutti i suoi abitanti. «Gli africani credono per natura ed è un aspetto che dobbiamo assolutamente approfondire ed apprezzare, soprattutto in rapporto ad una società che ha perduto il senso di Dio come quella europea». Ovviamente una fede così spontanea e naturale ha bisogno di essere strutturata e costruita. «La formazione deve essere la parola d’ordine sia al Nord che al Sud. Un obiettivo cruciale condiviso da tutti noi partecipanti al simposio».

Vi è un poi un ambito in cui l’Africa ha molto da insegnare all’Europa e al mondo intero: il ruolo della famiglia all’interno della società. «Non a caso, quando Benedetto XVI ci ha ricevuto in Vaticano, ha ripetuto per ben tre volte la parola famiglia» fa notare la du Coudray che solo poche settimane fa ha partecipato a Cotonou in Benin all’incontro per i dieci anni della Federazione Africana di Azione Familiare (FAAF). «Se sosterremo la famiglia in Africa, patria di questo messaggio rivoluzionario, non solo gli africani ma il mondo interno ne raccoglierà i frutti».

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