mercoledì, febbraio 29, 2012
In Siria, le truppe governative continuano a bombardare per il 26.mo giorno consecutivo la città di Homs, bastione della rivolta anti-Assad.

Radio Vaticana - Decine le vittime anche oggi. Intanto la comunità internazionale, riunita a Ginevra per la sessione del Consiglio Onu per i Diritti umani, si appresta a condannare la repressione di Damasco. Presente all’incontro, anche l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio Onu della città elvetica. Il presule ha ribadito gli appelli del Papa per la fine immediata del bagno di sangue, esprimendo solidarietà per le vittime della violenza. Sergio Centofanti lo ha intervistato: ascolta

R. – La comunità internazionale vuole dare un messaggio chiaro alle autorità siriane: non è accettabile una violazione sistematica dei diritti umani delle persone attraverso repressioni violente, l’uso della forza contro dimostrazioni, l’uccisione di tanti civili – anche bambini – e poi la creazione di nuovi gruppi di rifugiati, specialmente persone che dalla Siria sono fuggite in Turchia o in Libano o in altre parti del Medio Oriente. La questione della Siria è molto delicata ed importante, perché a differenza degli altri Paesi della cosiddetta Primavera araba, tocca veramente equilibri interni del Medio Oriente ed è vicina, come Paese, a tante zone molto delicate che comportano questioni politiche importanti: Israele, l’Iran, la Turchia, il Libano … La Santa Sede è intervenuta a Ginevra ad un livello molto umanitario, parlando della preoccupazione per le vittime di questa situazione di violenza, chiedendo che in maniera urgente si metta fine all’uso della forza e si apra, invece, la strada al dialogo, alla riconciliazione e a una ricerca sincera della pace, perché abbiamo visto purtroppo troppo spesso negli ultimi decenni che la violenza genera violenza. Non è mai troppo tardi per mettere fine all’uso della violenza! Una seconda preoccupazione espressa è stata quella che ci sia una possibilità concreta di portare aiuti umanitari, medici e medicine, alle persone che ne hanno bisogno – feriti o persone ammalate – che si trovano nelle città che sono sotto bersaglio, come ad esempio la città di Homs; aprire questa possibilità concreta, quindi, di fare arrivare aiuto umanitario. E infine, una terza preoccupazione espressa è stata quella che la tradizione di tanti anni di convivenza abbastanza pacifica e rispettosa tra le varie minoranze – sunnite, sciite, alawite, cristiane, curde – che formano la Siria, non venga dimenticata e che invece si cerchi di camminare assieme per trovare una soluzione, perché non si ripetano certe tragedie che sono capitate, come – ad esempio – dopo il crollo del governo iracheno che ha portato ad un lungo periodo di instabilità e di guerra civile.

D. – Ma in concreto, che cosa può fare la comunità internazionale per fermare quello che il Papa ha definito “spargimento di sangue”?

R. – La situazione difficile in cui si trova la comunità internazionale è che non sembra possibile, in questa situazione, un intervento cosiddetto umanitario però anche di forza, come è avvenuto per altri Paesi; quindi, bisogna cercare la strada della convinzione e della riconciliazione facendo capire che le conseguenze per il futuro non verranno ignorate, che la comunità internazionale continuerà a perseguire attraverso vie giuridiche e legali la responsabilità di coloro che sono causa di tanta sofferenza.

D. – C’è timore per la minoranza cristiana?

R. – In Siria, finora, le minoranze cristiane hanno potuto convivere abbastanza pacificamente e serenamente con le varie espressioni della fede islamica che è dominante nel Paese. Certo, se c’è una destabilizzazione totale della situazione politica non sappiamo come le reazioni si articoleranno, se ci saranno vendette contro minoranze che sono percepite di avere appoggiato il governo attuale, e quindi c’è un’incognita. Sarebbe veramente irresponsabile – a me sembra – se si pensasse solo ad un cambiamento politico immediato senza allo stesso tempo prevedere l’alternativa di come verrà gestito il Paese e quindi le relazioni tra gruppi che compongono la società della Siria, in modo da prevenire sia ulteriore spargimento di sangue, sia movimenti di rifugiati di cui poi la comunità internazionale dovrà in qualche modo prendersi la responsabilità. (gf)

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