Cresce il numero delle vittime e aumentano le ipotesi sulle cause che possono aver provocato il rogo
L’incendio divampato nel carcere di Comayagua, in Honduras, è stato il peggiore rogo che si è verificato da un secolo a questa parte nella repubblica dell’America Latina. La gravità di quanto accaduto nella notte del 14 febbraio ha sconvolto un’intera popolazione che da tempo condivideva le proteste dei detenuti costretti a vivere nelle strutture penitenziarie sovraffollate. Si tratta di un problema che, oltre ad aver generato epidemie e tubercolosi, ha favorito la violenza fra gli oltre 850 detenuti, che affollavano un carcere destinato ad accoglierne 250. La tragedia, in cui hanno trovato la morte 365 vittime (tra cui la moglie di uno dei detenuti, che nel momento dell’incendio era in visita), ha svelato le condizioni disumane nelle quali vivevano.
La causa del disastro è il mozzicone di una sigaretta caduta sul materasso dove riposava un detenuto colto improvvisamente dal sonno. Luis Alberto Rubi, il procuratore capo, ha escluso l’ipotesi di un corto circuito, come si supponeva inizialmente, e ha scartato anche l’idea che qualcuno abbia cosparso di benzina l’interno dell’istituto per facilitare il propagarsi delle fiamme. Daniel Orellana, direttore del dipartimento penitenziario, smentisce anche l’accusa dei parenti delle vittime che dichiarano di aver sentito degli spari di arma da fuoco.
L’istituto carcerario era stato ricavato all’interno di una tenuta agricola situata sulle strade che costituiscono il crocevia economico fra il paese di San Pedro Saula e la capitale Teguligalpa. I detenuti coltivavano ortaggi e allevavano suini, ma nel momento in cui è divampato l’incendio, iniziato dal braccio 6 e allargatosi fino a raggiungere il braccio 10 della struttura, la maggior parte dei carcerati si trovava nelle celle. In pochi sono sopravvissuti riparandosi sul tetto, mentre gli altri sono rimasti carbonizzati. Jouse Garcia, il capo dei pompieri, ha descritto delle scene infernali. I responsabili della sezione di medicina hanno identificato i corpi di soli 12 cadaveri e hanno chiesto ai parenti di fornire delle informazioni sulle cicatrici e sui tatuaggi che i loro cari avevano sul corpo.
Porfirio Lobo Sosa, il presidente dell’Honduras, assicura un immediato controllo sui 24 centri penitenziari della repubblica per cercare di migliorare la situazione che affligge i detenuti. Sono in molti, tuttavia, a dubitare sulla credibilità di un immediato cambiamento, dato che un fatto simile, anche se non di tale portata, si verificò nel 2004 nel carcere di San Pedro Sula, dove persero la vita 107 detenuti.
Per la tragica vicenda il Papa ha espresso il suo profondo dolore tramite un messaggio firmato dal cardinale Tarcisio Bertone, il segretario di Stato, invitando i parenti delle vittime ad invocare la protezione di Nostra Signora di Suyapa. L’argomento era stato già preso sotto esame da Benedetto XVI, che nel documento pubblicato in occasione del Sinodo Africano menzionava la disperata situazione delle carceri di tutto il mondo, chiedendo pietà e misericordia per i peccatori.
Occorre ricordare purtroppo l’alto tasso di criminalità che investe la nazione, dove i Los Zetas, i più agguerriti narcotrafficanti messicani, non esitano a reclutare spacciatori e seminare violenza, senza dare tregua ad un Paese povero costretto a fare i conti con una situazione sociale molto difficile e che non riesce ad evitare tragedie come il rogo nel carcere di Comayagua.
L’incendio divampato nel carcere di Comayagua, in Honduras, è stato il peggiore rogo che si è verificato da un secolo a questa parte nella repubblica dell’America Latina. La gravità di quanto accaduto nella notte del 14 febbraio ha sconvolto un’intera popolazione che da tempo condivideva le proteste dei detenuti costretti a vivere nelle strutture penitenziarie sovraffollate. Si tratta di un problema che, oltre ad aver generato epidemie e tubercolosi, ha favorito la violenza fra gli oltre 850 detenuti, che affollavano un carcere destinato ad accoglierne 250. La tragedia, in cui hanno trovato la morte 365 vittime (tra cui la moglie di uno dei detenuti, che nel momento dell’incendio era in visita), ha svelato le condizioni disumane nelle quali vivevano.
La causa del disastro è il mozzicone di una sigaretta caduta sul materasso dove riposava un detenuto colto improvvisamente dal sonno. Luis Alberto Rubi, il procuratore capo, ha escluso l’ipotesi di un corto circuito, come si supponeva inizialmente, e ha scartato anche l’idea che qualcuno abbia cosparso di benzina l’interno dell’istituto per facilitare il propagarsi delle fiamme. Daniel Orellana, direttore del dipartimento penitenziario, smentisce anche l’accusa dei parenti delle vittime che dichiarano di aver sentito degli spari di arma da fuoco.
L’istituto carcerario era stato ricavato all’interno di una tenuta agricola situata sulle strade che costituiscono il crocevia economico fra il paese di San Pedro Saula e la capitale Teguligalpa. I detenuti coltivavano ortaggi e allevavano suini, ma nel momento in cui è divampato l’incendio, iniziato dal braccio 6 e allargatosi fino a raggiungere il braccio 10 della struttura, la maggior parte dei carcerati si trovava nelle celle. In pochi sono sopravvissuti riparandosi sul tetto, mentre gli altri sono rimasti carbonizzati. Jouse Garcia, il capo dei pompieri, ha descritto delle scene infernali. I responsabili della sezione di medicina hanno identificato i corpi di soli 12 cadaveri e hanno chiesto ai parenti di fornire delle informazioni sulle cicatrici e sui tatuaggi che i loro cari avevano sul corpo.
Porfirio Lobo Sosa, il presidente dell’Honduras, assicura un immediato controllo sui 24 centri penitenziari della repubblica per cercare di migliorare la situazione che affligge i detenuti. Sono in molti, tuttavia, a dubitare sulla credibilità di un immediato cambiamento, dato che un fatto simile, anche se non di tale portata, si verificò nel 2004 nel carcere di San Pedro Sula, dove persero la vita 107 detenuti.
Per la tragica vicenda il Papa ha espresso il suo profondo dolore tramite un messaggio firmato dal cardinale Tarcisio Bertone, il segretario di Stato, invitando i parenti delle vittime ad invocare la protezione di Nostra Signora di Suyapa. L’argomento era stato già preso sotto esame da Benedetto XVI, che nel documento pubblicato in occasione del Sinodo Africano menzionava la disperata situazione delle carceri di tutto il mondo, chiedendo pietà e misericordia per i peccatori.
Occorre ricordare purtroppo l’alto tasso di criminalità che investe la nazione, dove i Los Zetas, i più agguerriti narcotrafficanti messicani, non esitano a reclutare spacciatori e seminare violenza, senza dare tregua ad un Paese povero costretto a fare i conti con una situazione sociale molto difficile e che non riesce ad evitare tragedie come il rogo nel carcere di Comayagua.
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