sabato, febbraio 11, 2012
Trenta operai da due mesi occupano il cantiere navale, la politica rimane in silenzio. Si mobilitano società civile e giornalisti.

Liberainformazione - Quanti giorni sono trascorsi? Tanti, troppi perché non sia scattata la giusta attenzione. Quei 30 operai ex dipendenti del Cantiere Navale di Trapani che da due mesi e passa occupano l’area di un cantiere navale che il “padrone” ha deciso di smobilitare e anche una petroliera lì costruita ma non ancora consegnata al committente, è come se fossero cittadini di un’altra terra. Hanno provato a dare loro visibilità le telecamere del “La 7”, un paio di giornalisti, ma incredibilmente la stampa locale, le tv locali, tranne che in qualche rarissima eccezione per loro non hanno spazio. Quasi ci fosse un passa parola “silenzioso”, niente pubblicità per questi poveri disgraziati. Ragione o torto che possano avere è assurdo che l’informazione per loro non debba esserci. La politica rimane in silenzio.

Consiglio provinciale, consigli comunali, a cominciare di quello di Trapani, per molto meno e per cose più lontane dal territorio hanno sprecato sedute straordinarie e fiumi d’inchiostro per esprimere solidarietà, a destra e a manca. I sindacati? Cgil, Cisl e Uil non ne parliamo: loro hanno sottoscritto un accordo con l’azienda Cnt, scelta legittima, ragionata, non c’è dubbio, scelta non condivisa da chi occupa il cantiere, e questo può essere un buon motivo per abbandonare a se stessi quegli operai? Possibile che la lotta per il lavoro possa conoscere momenti diversi e distinti e nessuno sforzo per mettere tutti insieme non può essere condotto? E’ possibile che la prefettura non dica nulla su ciò che accade e che il prefetto con la sua autorità non prenda tutti per il bavero imponendo una intesa che metta fine allo stillicidio di quella protesta che ad oggi ha purtroppo una sola prospettiva per essere conclusa, la peggiore, e cioè la rimozione con la forza di quel sit in. E’ come se tutti gli “spettatori” aspettino questo momento che non potrà che essere “drammatico”.
Un po’ di storia.

Il Cantiere Navale di Trapani è una delle più importanti aziende della cantieristica navale trapanese. Occupa una tra le più estese aree demaniali portuali del meridione, un cantiere dunque che ha grandi spazi ma nel tempo ha avuto sempre poca fortuna. Era una volta di proprietà regionale, poi il passaggio ai privati, lo rilevò una cordata della quale sono rimasti solo i D’Angelo, una famiglia di imprenditori che gestiscono anche un’altra azienda navale la Satin. Le due società ufficialmente distinte si sono intersecate, oggi il progetto è quello di fare passare la concessione demaniale intestata al Cnt alla Satin, ufficialmente il passaggio tra due aziende diverse, nei fatti l’amministrazione resta uguale. Un tentativo dicono i D’Angelo per ripartire e però gli assunti non possono essere gli 80 di una volta. E così i “fortunati” sarebbero una cinquantina gli altri debbono attendere…le commesse (nel senso di lavori da farsi!). L’assessore regionale all’Industria, Venturi, ha provato a dipanare la matassa arrivando a dire che con questo stato di cose sarebbe stato messo in forse lo stanziamento che la Regione si appresta a fare a favore del bacino di carenaggio galleggiante che è di sua proprietà e che però è nella disponibilità di chi gestisce il cantiere, ma sono scattate una serie di contromosse politiche per “garantire” più ai D’Angelo che non ai lavoratori che quei soldi non sono mai stati in pericolo, il sostenitore più acceso di questa “promessa” il vice presidente del Parlamento regionale, on. Camillo Oddo. Bene ha fatto, quei soldi non possono e non debbono andare altrove, debbono restare a Trapani, il problema è che si spera servano a garantire occupazione anche per chi oggi sembra avviato verso la disoccupazione.

Libera è scesa in campo. Il coordinamento provinciale guidato da Salvatore Inguì ha cercato di smuovere l’ambiente e fare alzare l’attenzione. Sabato prossimo, 11 febbraio, l’annuale cena dell’associazione trapanese aveva pensato a organizzare la consueta cena annuale nell’area demaniale del cantiere occupata dagli operai. Decidendo di invitare tutte le autorità e la cittadinanza provinciale e devolvendo il ricavato della raccolta dei soldi per partecipare alla cena agli stessi operai. E però la diffida inoltrata dalla proprietà del Cnt ha impedito a Libera di organizzare davvero la cena che è stata così rinviata. “Rispettiamo – dice Salvatore Inguì – il volere della proprietà del cantiere ma non smetteremo di stare vicino agli operai che lottano. Il nostro oggi non è un passo indietro, faremo un passo in avanti. Libera desidera che su questa vertenza si accendino tutti i riflettori dell’attenzione, istituzionale e sociale. Se ci sarà permesso cercheremo anche di provocare un tavolo di mediazione, noi siamo dalla parte della legalità e garantire il lavoro significa evitare che forme di illegalità possano inserirsi in nome del bisogno”. “Quello che sta accadendo – dice uno degli operai che costituiscono il presidio all’ingresso del cantiere – dimostra che il nostro porto non può vivere solo di grandi e piccoli eventi sportivi, l’anima è la cantieristica, e se questa si ferma sono guai per tutti”. Si potrebbe chiamare anche loro i “forconi” del mare. Anche la loro è una protesta per il “giusto lavoro”. Quei “forconi” degli operai, quelli destinati alla mobilità parola che fa intendere tante cose ma il suo vero significato è “licenziamento”, non hanno fermato nulla. A spegnere il motore del Cnt è stata la società imprenditoriale. Liquidità azzerata, impossibile tirare avanti nonostante annunci di nuove commesse (l’ultima da sette milioni e mezzo di euro da parte della Marina Militare).

La petroliera - Marettimo M. – appartenente ad un gruppo armatoriale Mednav di Catania è rimasta incompleta, impossibile consegnarla mentre quando fu varata, giugno 2009, si diceva che in due mesi sarebbe stata consegnata all’armatore; per la verità l’armatore ci provò dopo avere saputo che la società era in crisi ed i lavoratori occupavano già il cantiere, ma gli operai quando capirono che la “loro” nave stava per essere portata via, sono saliti a bordo per impedire che ciò avvenisse, quella rappresenta la loro “assicurazione”. Da quel giorno non sono più scesi a terra. A turno i 30 operai si danno il cambio. In attesa che la loro protesta sortisca l’effetto sperato, e la disoccupazione venga scongiurata.

Questa protesta non è solo una delle “tante” storie della nostra Italia colpita dalla crisi. E’ si una storia di lavoratori che di colpo hanno visto svanire lavoro e stipendi, ma non solo per colpa della crisi. Paradossale quello che accade a Trapani. Il porto, quello osannato e festeggiato con le lussuose barche a vela della Coppa America, quello trasformato da una infinita serie di lavori pubblici condotti in un battibaleno (ma con la super visione di Cosa nostra, checché se ne dica ci sono le sentenze), quel porto che però è rimasto incompiuto (40 milioni di euro di nuove banchine rimasti spesi senza risultato) quando si è scoperto che i fanghi provenienti dall’escavazione dovevano finire su di una chiatta per essere gettati al largo, o ancora finire su dei camion diretti in discariche “abusive”, il porto di Trapani, quello che la storia dice doveva essere l’approdo vero di Garibaldi quando invece i Mille finirono con lo sbarcare a Marsala, il porto che si vuole essere la porta d’entrata e d’uscita del continente Europeo e che guarda verso quello Africano, il porto dai mille traffici (anche qualcuno illegale, armi e rifiuti tossici), sale, marmo, ecco questo porto che mai avrebbe dovuto conoscere la crisi invece è in crisi. Profonda crisi e prima che lo “spread” si mettesse a fare le bizze. Il porto che doveva rinascere, così andavano dicendo i politici locali, che se la prendevano anche male con la magistratura quando questa andava scoprendo illeciti di diversi natura, oggi rischia di scomparire. La città ha fatto festa per Natale con tanto di neve sparata nella piazza del Municipio in occasione di una festa per la legalità organizzata da Comune di Trapani e Questura, a distanza c’era il serale tam tam dei tamburi che vengono battuti sulla nave dagli operai senza più lavoro sempre speranzosi che qualcuno si ricordi di loro.

La “Satin” da ultimo ha promesso che tutti saranno riassunti ma non ha voluto sottoscrivere la dichiarazione. Poi altra alzata d’ingegno. Gli operai potrebbero diventare padroni di se stessi, entrare come soci nella Satin. E con quali denari? Quelli del “loro Tfr”. Siccome a quanto pare non ci sono nelle casse nemmeno i soldi per pagare il Tfr si fa una manovra tutta sulla carta e quei soldi vengono trasformati in azioni. Chissà se quei pezzi di carta saranno disposti a prenderseli le banche per far credito oppure il supermercato sotto casa dove andare a fare la spesa. Risposta scontata, della serie “non ci provate neppure”. Noi dalla petroliera non ci muoviamo. Contro padroni spietati e sindacati che oggi non sono di tutti i lavoratori.

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