mercoledì, febbraio 29, 2012
È stato compiuto un atto vandalico contro la tenda che i profughi cattolici usavano come chiesa nello Choucha camp, il campo nel deserto alla frontiera tunisino-libica che accoglie 3.000 migranti sfollati dalla Libia.

Radio Vaticana - L’episodio, avvenuto la notte tra sabato e domenica, è stato denunciato oggi in una nota da don Mussie Zerai, presidente dell’agenzia Habeshia, che racconta le testimonianze raccolte telefonicamente da un nigeriano e un eritreo ed esprime “preoccupazione per la sicurezza nel campo”. Conferma il fatto all'agenzia Sir don Sandro De Pretis, il sacerdote incaricato dall’arcidiocesi di Tunisi di seguire i cattolici (soprattutto eritrei, etiopi e nigeriani) del campo: “Sì qualcuno ha tagliato i teli del tetto e la tenda non è più utilizzabile - racconta - non sappiamo chi è stato e per quale ragione. Al campo non ci sono mai state e non ci sono tuttora tensioni tra cristiani e musulmani, forse è opera di qualche fanatico. E’ un episodio ulteriore di varie difficoltà, ma non lo ricondurrei a problemi tra religioni. Ho avvertito il colonnello, mi ha promesso che aprirà un’inchiesta interna. Probabilmente non si saprà mai chi è stato”. Lo scorso anno, ad esempio, era stato appiccato un incendio ad alcune tende ed erano morti quattro profughi eritrei. Ma nessun responsabile è stato mai individuato. “Ora ci siamo trasferiti nella zona degli eritrei - prosegue don De Pretis -. Per fortuna una organizzazione danese ci ha donato una tenda migliore di quella che avevamo e abbiamo costruito lì la nuova chiesa. Speriamo che non succedano più altri atti di questo tipo”. Il vero problema, al campo, è la lentezza delle procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato e le partenze verso i Paesi di accoglienza. La maggior parte delle persone è lì da un anno e “anche se le interviste dell’Unhcr dovrebbero terminare tra un paio di mesi”, le partenze “sono con il contagocce”. “Stamattina sono partite 20 persone verso la Norvegia - racconta il sacerdote italiano -. Gli Stati Uniti, dove tutti vorrebbero andare, si sono resi disponibili per accogliere 2000 persone, ma è uno dei Paesi che ha le procedure più lunghe. Finora nessuno è partito per gli Usa”. “Se si procede a questo ritmo - avverte don De Pretis - le persone rischiano di stare al campo ancora per un altro anno”. In generale la situazione, rispetto ad un anno fa, quando i pasti erano di scarsa qualità e l’organizzazione interna carente, “è migliorata: rimane il fatto che la gente non ha idea di quando finirà”. Anche perché “la situazione alla frontiera con la Libia resta tesa: ci sono contrabbandieri che portano droga, armi. Questo non è un bel posto dove stare”. Poi c’è la questione di circa quattro-cinquecento migranti che a causa della nazionalità di appartenenza non hanno avuto il riconoscimento dello status di rifugiato e non possono ancora tornare in Libia, dove lavoravano, perché ci sono ancora pericoli. Don Mussie Zerai rivolge un appello “alle autorità tunisine per garantire la sicurezza per le persone e i luoghi di culto” e auspica “che gli Stati di accoglienza accelerino i tempi di trasferimento per evitare che la situazione peggiori”. (R.P.)

È presente 1 commento

ilGrandeColibrì ha detto...

Purtroppo il governo islamista di an-Nadha non sembra molto interessato a difendere i diritti delle minoranze, che si tratti di migranti o di sfollati, di minoranze religiose o omosessuali...
(link: Tunisia, domane scomode agli islamisti)

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