Gino Frigerio, un bambino normale, atteso e amato da una famiglia di profonde radici cristiane. Una infanzia serena e un futuro promettente. Ai genitori, all’età di 8 anni scrive: “Vorrei essere come Gesù per darvi moltissime gioie”. E aggiunge: Vi prometto di essere buono, bravo, studioso per farvi contenti di me”.
Ma un giorno, verso il termine della seconda elementare avverte una di diminuzione della vista e un disturbo all’arto inferiore. Una lussazione, pensano i genitori. Il malessere non è però passeggero. Gli accertamenti rivelano una emiparesi spastica progressiva. Il lieve handicap alla gamba non gli toglie la serenità e la vivacità. Finite le elementari il male pare arrestarsi: si sposta in modo autonomo con la bicicletta, è pieno di voglia di vivere, coltiva simpatia per una ragazza della sua età, gioca coi ragazzi delle case vicine, è pieno di voglia di vivere, ama le cose belle e il vestire elegante. I genitori pensano a un intervento per correggere la malformazione al piede. Ma non ce n’è bisogno. Dopo una visita di controllo a Milano, Gino torna a casa tra le braccia dei genitori: incapace di stare in piedi da solo. Da allora la carrozzella diviene sua inseparabile compagna di vita. A 18 anni, dopo un intervento agli occhi, diviene cieco, a 23 anni dopo una rovinosa caduta, totalmente infermo e a 55 anni perde anche la parola ed è costretto a rimanere immobile a letto. Muore il 18 febbraio 2004.
Gino Frigerio: un fiore di santità sbocciato nel dono di ogni giorno
“La santità non è prerogativa di qualcuno, ma è invito per tutti. Il luogo dove Dio ci ha posto è il terreno della santità, il solco dove il seme della nostra vita può fiorire. Non ci manca nulla: lo Spirito Santo riversato nei nostri cuori opera sempre, arriva prima di noi, lavora più di noi e meglio di noi, nella Chiesa, in ogni persona e nella società e allo Spirito sta cuore che ciascuno fiorisca e diffonda nel mondo la bontà e la bellezza del creatore”
E’ un passaggio scritto dal Vescovo Roberto Amadei nella prefazione alla biografia di Gino Frigerio, un disabile che ha saputo accogliere la propria grave disabilità con grande fede e con spirito di francescana letizia. Il Vescovo Amadei, pastore sensibile e attento alle persone colpite da gravi infermità, incoraggiò e sostenne la pubblicazione della eroica testimonianza di vita di Gino Frigerio. Non sapeva allora che egli stesso avrebbe condiviso, per qualche tempo, una forma diversa e galoppante di disabilità, che lo avrebbe portato alla morte in brevissimo tempo.
Ascoltando la vicenda di Gino Frigerio, il vescovo Roberto intuì con immediatezza che “l’eroico quotidiano” della sua fede scaturiva dal Crocifisso Risorto e dalla Comunione che desiderava ricevere ogni giorno.
Ha amato, non col fare, ma lasciandosi amare dal Signore
Fu proprio la croce di Gesù il punto fermo della esperienza spirituale di Gino Frigerio: “Mi ha colpito – scrive una religiosa che lo ha conosciuto bene - il suo modo di affrontare la vita, così provata, l’offerta di se stesso per tutti e il suo grande desiderio di partecipare alla Croce di Gesù” (Sr. Costanza). Gino Frigerio non amava la croce in se stessa. Non andava cercando sofferenze da offrire. Semplicemente rimetteva, ogni giorno, la propria storia nelle mani di Dio e così sperimentava il senso di pienezza e di pace che l’opera discreta, ma efficace di Dio stava compiendo in lui.
Offrire le proprie privazioni – come diceva lui – era per Gino lasciare libero campo allo Spirito di Dio di compiere l’opera di scavo, necessaria a riempire la sua vita di serenità e di pace interiore.
Don Giuseppe Milani, scrivendo in questi giorni a Rina Frigerio, sorella di Gino, si è chiesto: “Tu Gesù, cosa scrivi per me, su questo mio fratello che Ti ha amato, non col fare, ma lasciandosi amare da Te, nel silenzio e nella sofferenza?”.
La domanda riporta al caso serio della vita cristiana. L’interrogativo che don Milani pone a se stesso conduce al senso cristiano dell’offerta. Un senso che ci è svelato dall'eucaristia. L'eucaristia è forse un' offerta che l'uomo fa a Dio?
La risposta è negli scritti del card. Joseph Ratzinger: Nell'eucaristia non si offrono a Dio tributi umani, ma si porta l'uomo a lasciarsi inondare di doni; noi non glorifichiamo Dio offrendogli qualcosa di presumibilmente nostro -quasi che ciò non fosse già per principio suo -, bensì facendoci regalare qualcosa di suo, e riconoscendolo così come unico Signore ... Permettere a Dio di operare su di noi: ecco la quintessenza del sacrificio cristiano.
Il proposito di tutta la sua vita: “Offrirmi al Signore”
Gino Frigerio aveva 28 anni quando rivelò alla sua guida spirituale (mons. Piccardi) che nell’intimo era pronto a dire sì alla domanda se voleva andare in Paradiso. Gli confidò anche che dalla lettera che aveva ricevuto si era sentito infervorato maggiormente nel suo proposito di offrirsi al Signore. Un proposto tenuto fermo per tutta la vita. Don Benedetto Manzoni che gli fu accanto nei mesi prima della morte lo ha potuto attestare: “Anche Gino olocausto di Cristo, vittima con la vittima, vero servo di Dio”.
Attraverso vie che solo la Provvidenza conosce, Gino Frigerio ha accolto l'invito di Gesù a conformare la propria volontà a quella divina. Ha saputo accogliere la volontà di Dio sulla propria vita e in questo modo la “terra” è diventata per lui “cielo”, luogo della presenza dell’amore, della bontà, della verità, della bellezza divina.
Unito alla croce di Cristo non ha ceduto al pessimismo, ma tutto ha offerto senza lamentarsi” (cfr. Angela Angerame); ha presentato a Dio se stesso, le fatiche dei giorni con la dipendenza che la disabilità gli causava, la sua attenzione per i volti dei giovani a rischio di smarrimento, i carcerati, le persone più svantaggiate e provate dal dolore, l’impegno quotidiano di essere cristiani coerenti per portare riconciliazione nel mondo pieno di conflitti, violenze e ingiustizie.
Proprio grazie a questo affidamento, Gino Frigerio ha portato nel suo ambiente un po’ del «cielo» di Dio e ha comunicato la gioia e la pace che tracimava della sua anima abbandonata in Dio.
La strada che porta a Dio
Alcune persone che gli sono state vicine testimoniano della gioia che irradiava dal suo volto (don Nino Lazzari); gioia che “scaturiva da un cuore aperto verso la sorgente dell’Amore che costantemente ci ama e ci nutre…” (Luisa Poli).
“Era per me – aggiunge Lucio Magri che gli è stato sempre molto vicino - come una sorgente d’acqua fresca e inesauribile a cui dissetarsi. Il suo messaggio mi parla di fiducia incondizionata, di speranza incrollabile, di gioia piena che solo in apparenza sembra stridere con la storia di una vita davvero così poco comune e non a caso così simile a quella di molti Santi” (Lucio Magri).
Anche un musulmano del Burkina Faso, che gli fece da badante, rimase profondamente colpito dall’esempio di Gino: “Stando vicino a Gino ho potuto capire la sua ricchezza interiore nell’accettare serenamente e con un coraggio straordinario la sua completa infermità e cecità. Tutto questo per me era dovuto a una grande fede in Dio. Da lui non ho mai sentito un lamento e ciò mi ha colpito profondamente” (Djibo).
Questa serenità gli dava “la capacità di cogliere gli aspetti promettenti e favorevoli di ogni situazione, senza nascondersi le difficoltà e i punti negativi Egli “sentiva” che, in ogni evento, passava una strada che porta a Dio e che “grazie all’abbandono semplice, concreto e forte in Lui, tutto coopera al bene” (Alfredo Gusmini).
Mons. Capovilla: Gino Frigerio onora la chiesa di Bergamo
L’arcivescovo mons. Loris Francesco Capovilla coglie nella vita di Gino Frigerio un respiro ecclesiale: «Gino ha onorato e arricchito la Comunità ecclesiale bergamasca. La luce da lui accesa ridesta le coscienze, incoraggia nobili imprese, sprona a osare l’avventura cristiana e ad essere quei discepoli di Gesù che al dire di San Bernardo, niente e nessuno temono, tranne Iddio; in niente e nessuno pongono fiducia se non in Dio (De Considerazione, Lib. IV c. IV). Il cammino che ci sta innanzi è accidentato. Incombono seduzioni, allarmismi, arroganze, indifferenze. Nessuna paura. Gesù ha promesso: “Ecco io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo”. (Mt 28,30). Gli ambasciatori più qualificati del Vangelo sono i poveri, i senza parola, i macerati dal dolore. A redimere un secolo basta un uomo di tal fatta, come accade ai tempi del Poverelle d’Assisi.
Io non esito ad affermare che basta un crocifisso, inchiodato ad un letto per anni interi – come Gino – e ciononostante impavido e insaziabile di virtù, perchè la diocesi prenda vigore, generi vocazioni, semini armonia e pace, profetizzi all’umanità l’avvento della stella lucente del mattino, Cristo Gesù (Ap. 22,17)».
La storia di Gino Frigerio conferma che c’è un eroico quotidiano della fede che segna il cammino dei cristiani. Di solito è come un fiume carsico. Irriga i deserti stando nascosto. Nessuno o pochi se ne accorgono. Ma quando l’acqua affiora in superficie allora genera stupore. Gli uomini che fanno a meno di Dio, in realtà ne sentono una grande e insopprimibile nostalgia che si accende proprio quando scoprono persone che lo rendono visibile nella letizia e nella bellezza del loro stile di vita.
Verdello, 10 febbraio 2012.
Don Arturo Bellini
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Ma un giorno, verso il termine della seconda elementare avverte una di diminuzione della vista e un disturbo all’arto inferiore. Una lussazione, pensano i genitori. Il malessere non è però passeggero. Gli accertamenti rivelano una emiparesi spastica progressiva. Il lieve handicap alla gamba non gli toglie la serenità e la vivacità. Finite le elementari il male pare arrestarsi: si sposta in modo autonomo con la bicicletta, è pieno di voglia di vivere, coltiva simpatia per una ragazza della sua età, gioca coi ragazzi delle case vicine, è pieno di voglia di vivere, ama le cose belle e il vestire elegante. I genitori pensano a un intervento per correggere la malformazione al piede. Ma non ce n’è bisogno. Dopo una visita di controllo a Milano, Gino torna a casa tra le braccia dei genitori: incapace di stare in piedi da solo. Da allora la carrozzella diviene sua inseparabile compagna di vita. A 18 anni, dopo un intervento agli occhi, diviene cieco, a 23 anni dopo una rovinosa caduta, totalmente infermo e a 55 anni perde anche la parola ed è costretto a rimanere immobile a letto. Muore il 18 febbraio 2004.
Gino Frigerio: un fiore di santità sbocciato nel dono di ogni giorno
“La santità non è prerogativa di qualcuno, ma è invito per tutti. Il luogo dove Dio ci ha posto è il terreno della santità, il solco dove il seme della nostra vita può fiorire. Non ci manca nulla: lo Spirito Santo riversato nei nostri cuori opera sempre, arriva prima di noi, lavora più di noi e meglio di noi, nella Chiesa, in ogni persona e nella società e allo Spirito sta cuore che ciascuno fiorisca e diffonda nel mondo la bontà e la bellezza del creatore”
E’ un passaggio scritto dal Vescovo Roberto Amadei nella prefazione alla biografia di Gino Frigerio, un disabile che ha saputo accogliere la propria grave disabilità con grande fede e con spirito di francescana letizia. Il Vescovo Amadei, pastore sensibile e attento alle persone colpite da gravi infermità, incoraggiò e sostenne la pubblicazione della eroica testimonianza di vita di Gino Frigerio. Non sapeva allora che egli stesso avrebbe condiviso, per qualche tempo, una forma diversa e galoppante di disabilità, che lo avrebbe portato alla morte in brevissimo tempo.
Ascoltando la vicenda di Gino Frigerio, il vescovo Roberto intuì con immediatezza che “l’eroico quotidiano” della sua fede scaturiva dal Crocifisso Risorto e dalla Comunione che desiderava ricevere ogni giorno.
Ha amato, non col fare, ma lasciandosi amare dal Signore
Fu proprio la croce di Gesù il punto fermo della esperienza spirituale di Gino Frigerio: “Mi ha colpito – scrive una religiosa che lo ha conosciuto bene - il suo modo di affrontare la vita, così provata, l’offerta di se stesso per tutti e il suo grande desiderio di partecipare alla Croce di Gesù” (Sr. Costanza). Gino Frigerio non amava la croce in se stessa. Non andava cercando sofferenze da offrire. Semplicemente rimetteva, ogni giorno, la propria storia nelle mani di Dio e così sperimentava il senso di pienezza e di pace che l’opera discreta, ma efficace di Dio stava compiendo in lui.
Offrire le proprie privazioni – come diceva lui – era per Gino lasciare libero campo allo Spirito di Dio di compiere l’opera di scavo, necessaria a riempire la sua vita di serenità e di pace interiore.
Don Giuseppe Milani, scrivendo in questi giorni a Rina Frigerio, sorella di Gino, si è chiesto: “Tu Gesù, cosa scrivi per me, su questo mio fratello che Ti ha amato, non col fare, ma lasciandosi amare da Te, nel silenzio e nella sofferenza?”.
La domanda riporta al caso serio della vita cristiana. L’interrogativo che don Milani pone a se stesso conduce al senso cristiano dell’offerta. Un senso che ci è svelato dall'eucaristia. L'eucaristia è forse un' offerta che l'uomo fa a Dio?
La risposta è negli scritti del card. Joseph Ratzinger: Nell'eucaristia non si offrono a Dio tributi umani, ma si porta l'uomo a lasciarsi inondare di doni; noi non glorifichiamo Dio offrendogli qualcosa di presumibilmente nostro -quasi che ciò non fosse già per principio suo -, bensì facendoci regalare qualcosa di suo, e riconoscendolo così come unico Signore ... Permettere a Dio di operare su di noi: ecco la quintessenza del sacrificio cristiano.
Il proposito di tutta la sua vita: “Offrirmi al Signore”
Gino Frigerio aveva 28 anni quando rivelò alla sua guida spirituale (mons. Piccardi) che nell’intimo era pronto a dire sì alla domanda se voleva andare in Paradiso. Gli confidò anche che dalla lettera che aveva ricevuto si era sentito infervorato maggiormente nel suo proposito di offrirsi al Signore. Un proposto tenuto fermo per tutta la vita. Don Benedetto Manzoni che gli fu accanto nei mesi prima della morte lo ha potuto attestare: “Anche Gino olocausto di Cristo, vittima con la vittima, vero servo di Dio”.
Attraverso vie che solo la Provvidenza conosce, Gino Frigerio ha accolto l'invito di Gesù a conformare la propria volontà a quella divina. Ha saputo accogliere la volontà di Dio sulla propria vita e in questo modo la “terra” è diventata per lui “cielo”, luogo della presenza dell’amore, della bontà, della verità, della bellezza divina.
Unito alla croce di Cristo non ha ceduto al pessimismo, ma tutto ha offerto senza lamentarsi” (cfr. Angela Angerame); ha presentato a Dio se stesso, le fatiche dei giorni con la dipendenza che la disabilità gli causava, la sua attenzione per i volti dei giovani a rischio di smarrimento, i carcerati, le persone più svantaggiate e provate dal dolore, l’impegno quotidiano di essere cristiani coerenti per portare riconciliazione nel mondo pieno di conflitti, violenze e ingiustizie.
Proprio grazie a questo affidamento, Gino Frigerio ha portato nel suo ambiente un po’ del «cielo» di Dio e ha comunicato la gioia e la pace che tracimava della sua anima abbandonata in Dio.
La strada che porta a Dio
Alcune persone che gli sono state vicine testimoniano della gioia che irradiava dal suo volto (don Nino Lazzari); gioia che “scaturiva da un cuore aperto verso la sorgente dell’Amore che costantemente ci ama e ci nutre…” (Luisa Poli).
“Era per me – aggiunge Lucio Magri che gli è stato sempre molto vicino - come una sorgente d’acqua fresca e inesauribile a cui dissetarsi. Il suo messaggio mi parla di fiducia incondizionata, di speranza incrollabile, di gioia piena che solo in apparenza sembra stridere con la storia di una vita davvero così poco comune e non a caso così simile a quella di molti Santi” (Lucio Magri).
Anche un musulmano del Burkina Faso, che gli fece da badante, rimase profondamente colpito dall’esempio di Gino: “Stando vicino a Gino ho potuto capire la sua ricchezza interiore nell’accettare serenamente e con un coraggio straordinario la sua completa infermità e cecità. Tutto questo per me era dovuto a una grande fede in Dio. Da lui non ho mai sentito un lamento e ciò mi ha colpito profondamente” (Djibo).
Questa serenità gli dava “la capacità di cogliere gli aspetti promettenti e favorevoli di ogni situazione, senza nascondersi le difficoltà e i punti negativi Egli “sentiva” che, in ogni evento, passava una strada che porta a Dio e che “grazie all’abbandono semplice, concreto e forte in Lui, tutto coopera al bene” (Alfredo Gusmini).
Mons. Capovilla: Gino Frigerio onora la chiesa di Bergamo
L’arcivescovo mons. Loris Francesco Capovilla coglie nella vita di Gino Frigerio un respiro ecclesiale: «Gino ha onorato e arricchito la Comunità ecclesiale bergamasca. La luce da lui accesa ridesta le coscienze, incoraggia nobili imprese, sprona a osare l’avventura cristiana e ad essere quei discepoli di Gesù che al dire di San Bernardo, niente e nessuno temono, tranne Iddio; in niente e nessuno pongono fiducia se non in Dio (De Considerazione, Lib. IV c. IV). Il cammino che ci sta innanzi è accidentato. Incombono seduzioni, allarmismi, arroganze, indifferenze. Nessuna paura. Gesù ha promesso: “Ecco io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo”. (Mt 28,30). Gli ambasciatori più qualificati del Vangelo sono i poveri, i senza parola, i macerati dal dolore. A redimere un secolo basta un uomo di tal fatta, come accade ai tempi del Poverelle d’Assisi.
Io non esito ad affermare che basta un crocifisso, inchiodato ad un letto per anni interi – come Gino – e ciononostante impavido e insaziabile di virtù, perchè la diocesi prenda vigore, generi vocazioni, semini armonia e pace, profetizzi all’umanità l’avvento della stella lucente del mattino, Cristo Gesù (Ap. 22,17)».
La storia di Gino Frigerio conferma che c’è un eroico quotidiano della fede che segna il cammino dei cristiani. Di solito è come un fiume carsico. Irriga i deserti stando nascosto. Nessuno o pochi se ne accorgono. Ma quando l’acqua affiora in superficie allora genera stupore. Gli uomini che fanno a meno di Dio, in realtà ne sentono una grande e insopprimibile nostalgia che si accende proprio quando scoprono persone che lo rendono visibile nella letizia e nella bellezza del loro stile di vita.
Verdello, 10 febbraio 2012.
Don Arturo Bellini
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Sono presenti 4 commenti
Bellissima dimostrazione d'amore verso il Creatore che porta ad accettare tutto con la certezza del Paradiso per sempre.
Ringraziamo il Signore per averci dato GIno Frigerio quale testimone della sofferenza offerta per la conversione dei giovani. Speriamo che vengano riconosciute le sue virtù per vederlo presto Beato.
Anche io l'ho conosciuto personalmente, in quanto mi recavo da lui, come volontario, una volta alla settimana.
Subito mi colpiva il suo attaccamento alla vita, nonostante il suo handicap fosse molto evidente.
Sapeva donarti la sua allegria, il suo ottimismo. Non l'ho mai visto lamentarsi, anzi, rideva sempre, aveva la "battuta pronta", sapeva come farti passare quei momenti in cui eri "giù di tono".
Una cosa bella era vedere lui che ascoltava "devotamente" Radio Maria.
CIAO GINO. Conoscerti è stato molto bello e molto determinante per il mio "cammino di Fede". Da lassù continua ad illuminare il cammino di tutti noi.
Anch'io ho conosciuto e ammirato commossa la sua fede granitica, il suo desiderio di donare ogni giorno le sue sofferenze per la gioventù, per i peccatori: quando lo andavo a trovare, non potevo uscire dalla sua cameretta senza aver recitato con lui, almeno una decina del Rosario. Non ho mai sentito uscire dalla sua bocca un lamento, anzi diceva sempre che "quello che il Signore vuole non è mai troppo".
Spero che la sua santità sia premiata e di pregarlo presto su gli altari!
GRAZIE GINO, PREPARA ANCHE PER ME UN POSTO IN PARADISO!
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