lunedì, febbraio 20, 2012
L'ultimo atto del dramma Malév

E-ilmensile - Mentre a Dublino e Tel Aviv la richiesta da parte dei fornitori di saldare i debiti immediatamente impediva il decollo di due aerei, a Budapest i poliziotti chiudevano la biglietteria dell’aeroporto. È questo l’ultimo atto del dramma della Malév, compagnia di bandiera ungherese che il 3 febbraio ha cessato le operazioni, dopo 66 anni di attività, con il governo di Budapest che avviava la procedura di protezione dalla bancarotta, in quanto interesse strategico.

Se i 22 aerei della flotta, in leasing, nel futuro prossimo non si alzeranno più in volo, è colpa di un fardello da 60 miliardi di fiorini, pari a 205 milioni di euro. A tanto ammonta il debito che ha portato la Magyar Légiközlekedési Vállalat (Compagnia aerea ungherese, abbreviato in Malév) al crack, lasciando per strada 2600 dipendenti, cui vanno aggiunti quelli dell’indotto. Duemilaseicento persone che hanno appreso di aver perso il lavoro attraverso una mail. Un dramma umano prodotto da una gestione politico-economica che ha un nonsoché di farsesco. Meritano infatti di essere raccontati, gli ultimi capitoli di una vicenda che aiuta a capire come in Ungheria siano stati gestiti settori strategici negli ultimi anni e perché adesso il Paese sia nuovamente sull’orlo della bancarotta. L’anno in cui cominciano le tribolazioni è il 2007. Allora la ÀPV Rt, l’agenzia statale che gestiva le privatizzazioni e possedeva il 99,5 per cento della Malév, vendette la compagnia alla Airbridge Zrt, una joint venture russa tra i cui principali azionisti c’erano i proprietari di AIRUnion, Boris e Alexander Abramovich. La cedette davvero per il classico piatto di lenticchie: 200 milioni di fiorini, poco meno di 700 mila euro. Ma l’AirBridge, che sogna un’espansione della Malév soprattutto verso est, si accolla anche i 130 milioni di euro di debiti di quest’ultima. L’acquisizione del 99 per cento delle azioni della Malév venne finanziato dalla banca russa Vneshekonombank, che nel 2009, a causa della cessazione delle operazioni di AIRUnion, si ritrovò a prendere il posto di Air Bridge Zrt. Un’acquisizione subìta che durerà il tempo di uno sbadiglio: nel febbraio 2010, lo stato ungherese si vide costretto a ricomprarsi la compagnia (il 95 per cento delle quote) per circa dieci miliardi di fiorini, cinquanta volte la cifra che aveva incassato solo tre anni prima dai russi.

La Malév viene rinazionalizzata ma non cambia nulla. Soprattutto perché Budapest non aveva mai chiuso i rubinetti, nemmeno durante il tentativo di privatizzazione. Solo poco prima delle elezioni di quell’anno, il governo di Gordon Bajnai aveva iniettato nelle casse della compagnia qualcosa come 25 miliardi di fiorini (87 milioni di euro all’attuale tasso di cambio attuale). Non a tutti la prassi degli aiuti di stato versati dal governo alla compagnia aerea sta bene. Non piace, per esempio, alla Wizzair– capitale ungherese ma registrata in Svizzera, dove paga le tasse – una diretta concorrente della Malév, che inoltra un ricorso alle autorità europee per violazione delle leggi sulla concorrenza. Il 9 gennaio, la Commissione europea ordina alla Malév di restituire allo stato ungherese i cento miliardi di fiorini (350 milioni di euro) ricevuti tra i 2007 e il 2010. È a questo punto che la compagnia, incapace di far fronte alla spesa, collassa e fallisce. E questo fallimento rischia di produrre danni a cascata per le già disastrate finanze ungheresi. Una prima questione riguarda l’aereoporto della capitale, dato in gestione a una cordata guidata dal consorzio tedesco Hochtief AG (possiede il 50 per cento delle quote), cui si aggiungono altre quattro società che operano nei due terminal – quello vecchio, il numero 1, e il nuovo, quello pricipale, il numero 2 – del Liszt Ferenc International Airport. Nel T2, la cessazione delle operazioni della Malév si è fatto sentire: il flusso di passeggeri si è ridotto del 50 per cento e la struttura è ormai quasi deserta. Ma Hochtef Ag e gli altri quattro gestori non sono troppo preoccupati; si è scoperto di recente che, in virtù di un accordo segreto, il governo ungherese si era impegnato a risarcire le cinque società cui fu dato in gestione il Liszt Ferenc, con una somma pari a 1,5 miliardi di euro, nel caso in cui la Malév fosse fallita. Una grana non indifferente per Budapest che di fatto si trova a dovere 103 milioni di euro anche alla Vneshekonombank.

A tutto ciò si devono aggiungere i 108 miliardi di euro che l’Ungheria rischia di perdere da una contrazione delle presenze turistiche pari al 25 per cento e dalla rilocalizzazione delle sedi di alcuni gruppi stranieri che temono di subire danni operando in una capitale che rischia di finire esclusa dalle principali rotte aeree (che verranno ridisegnate visto che il Liszt Ferenc era un importante punto di transito: Delta, American Airlines e la cinese Hainan hanno già annunciato l’intenzione di non operare voli su Budapest). La stima è quella del comitato per il salvataggio della Malév; ex dipendenti e persone di buona volontà che si stanno attivando per rilanciare la compagnia. Un’impresa improba, soprattutto perché, secondo indiscrezioni non confermate, il governo ungherese potrebbe decidere di garantire finanziamenti a Ryanair, perché allarghi il raggio delle operazioni e colmi parte del vuoto lasciato dalla Malév. La low cost irlandese ha annunciato l’intenzione di spostare permanentemente quattro Boeing 737 su Budapest, e trasformare la capitale ungherese non più in una destinazione ma in un centro operativo, con buone ricadute sull’occupazione. L’obiettivo, dichiarano da Dublino, è di accaparrarsi due dei tre milioni di clienti della Malév. Anche l’altro concorrente diretto, Wizzair, sta pianificando un incremento del numero di voli da e per Budapest. Paradossalmente, al governo nazionalista di Orban conviene lasciare andare la Malév al suo destino, farla fallire in modo che con la compagnia affondino anche i relativi debiti, che invece ricadrebbero su un eventuale successore, sempre nazionalizzato, della Malév. Ed è quello che sta accadendo. Martedì 14 febbraio il Tribunale di Budapest ha disposto l’inizio della procedura di liquidazione. Il destino della compagnia è segnato.

di Alberto Tundo

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