lunedì, marzo 26, 2012
“Siamo un po’ confusi, ora: perché eravamo qui? Siamo extracomunitari? Ma io mi sento un italiano che non ha potuto fare i documenti”.

Volontariatoggi - Così esordisce Andrea all’uscita del Cie di Modena. Rilasciati questa mattina dopo 50 giorni di detenzione Andrea e Senad, i due ragazzi di origine bosniaca -ma nati in Italia- rinchiusi nel Cie modenese. La decisione arriva a seguito di un pronunciamento del giudice di pace di Modena, che ha riconosciuto invalidi il trattenimento e il provvedimento di espulsione. Con questa sentenza si afferma un principio che potrà fare scuola anche in molti casi analoghi.

Aggiunge il fratello di Andrea, Senad: “c’è gente che sta proprio male, qua dentro. Visto che la mia famiglia non poteva entrare, ogni giorno aspettavo di uscire per vedere i miei figli. Siamo nati a Sassuolo, siamo italiani. E’ strano essere stati messi qui. Dicono che ho commesso reati, ma per quei reati ho già pagato: allora se è così anche gli italiani che hanno dei precedenti devono stare qui?”.

“Il pronunciamento ha dichiarato illegittimo il provvedimento di espulsione, sancendo un precedente importante nel diritto italiano in materia d’immigrazione poiché viene stabilito che la legge Bossi Fini non debba essere applicata a coloro che sono nati in Italia o presunti apolidi” ha commentato all’uscita dal Cie di via La Marmora il legale dei due ragazzi, Luca Lugari. “Lo snodo principale di questa situazione -ha aggiunto- è stato dato da un vuoto legislativo e dalla mancata richiesta di cittadinanza al compimento della maggiore età da parte dei due fratelli. I ragazzi non sono mai stati nel paese d’origine dei genitori e ritengo che non potessero essere riconosciuti dalla stessa ambasciata poiché privi di qualsiasi documento o passaporto. Ora, procederemo alla loro regolarizzazione per quanto ci consentirà la legge italiana: non avendo ancora uno ius solis l’unica disposizione percorribile è la richiesta per lo status di apolidi. Si potrebbe però profilare, entro 30 giorni, un ricorso in Cassazione perché il provvedimento è locale e non definitivo: da questo punto di vista sottolineo che la Corte di giustizia europea per i diritti umani ci ha comunicato in mattinata di aver avviato un procedimento d’’infrazione nei confronti dell’Italia proprio in merito a questo caso”.

Ad accogliere i due ragazzi all’uscita dal Cie, i genitori, uno dei fratelli, la società civile che si è mobilitata sul caso, i rappresentanti locali di LasciateCIEntrare e la rete Primo marzo.

Cèciel Kyenge, portavoce nazionale del primo marzo ha dichiarato: “È una sentenza storica che segna una vittoria dovuta al contributo di tante persone e associazioni del terzo settore che hanno creduto nel principio di una buona cittadinanza e che principalmente sottolinea quanto la legge Bossi-Fini metta in ginocchio molti migranti creando clandestinità. Ora dobbiamo fare chiarezza a livello nazionale su quali tipologie di persone vengano rinchiuse dentro ai Cie che sono all’oggi veri carceri etniche”.

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