La Cassazione annulla con rinvio la sentenza a carico del senatore Marcello Dell'Utri
Liberainformazione - Ignorando il peso delle proprie parole da Procuratore Generale che parla in Cassazione ed in uno dei processi più importanti degli ultimi 20 anni, il PG Francesco Mauro Iacoviello, ha chiesto l’annullamento della condanna d’appello per Marcello Dell’Utri affermando, tra le altre motivazioni, che il concorso esterno in associazione mafiosa è un reato “ al quale ormai non crede più nessuno”. Mettendo così una pietra, che temiamo possa essere tombale, su 20 anni di giurisprudenza antimafia in Italia.
E non a caso proprio nel ventennale della strage di Capaci: coincidenza vuole che chiuda il ciclo incominciato proprio con Falcone e Borsellino che di questo reato si erano spesi in molte occasioni, proprio perché rappresenta il modo per colpire le complicità delle mafie e soprattutto di Cosa Nostra che vive e si sviluppa nelle connivenze con la politica, il mondo degli affari e dell’economia. Cioè con quei settori di “colletti bianchi” (o grigi) che non si sporcano mai direttamente le mani negli affari sporchi ma li favoriscono con le coperture che offrono: potere in cambio di potere, cioè affari in cambio di voti, politica in cambio di controllo del territorio,appalti da un lato (con le devastazioni che ne conseguono quando i terreni ed i mari vengono mangiati solo per buttare cemento…),elezioni dall’altro, soldi sporchi in quantità dalle mafie e riciclaggio possibile da parte di banchieri e bancari. L’elenco potrebbe non finire presto: chi favorisce invece di isolare i mafiosi viene accusato di un reato di concorso esterno mafioso che ,come nel caso di Dell’Utri, si basa su dichiarazioni, riscontri documentali, intercettazioni telefoniche, incroci di testimonianze e prove.
Da oggi , per la Cassazione tutto questo non basta: perché, secondo il PG Iacoviello, non sono le prove a convincere i giudice di primo grado e d’appello , ma la credibilità di una stessa legge, visto che prima, evidentemente, ci si credeva a questo concorso esterno ed oggi, a suo dire, non ci crede più nessuno. Ma una legge non è una legge sempre, al di là delle credenze? Il pensiero sottinteso è chiaro e si rifà ad una antica avversione da parte di un settore della magistratura molto presente in Cassazione: alcune leggi, in tema di mafia soprattutto(ma non solo), sono fatte sull’onda della pressione dell’opinione pubblica , applicate spesso sulla scia di queste presunte pressioni; non sono leggi che rispecchiano il Diritto e la Prova. Facendo così un torto non solo alla memoria di Falcone e Borsellino, ma di tutte quelle Procure, a partire da Palermo e Caltanissetta, che sono in prima linea nella lotta alla mafia e che comunque,da tempo, affermano a suon di sentenze provate e passate in giudicato dalla stessa Cassazione, che frequentare e favorire gli affari dei boss anche solo con quella stessa frequentazione è un reato.
Ed allora Contrada è stato condannato per una credenza? Si chiedeva un magistrato che per ora non vuole far apparire il proprio nome; il PG Iacoviello, un eminente giurista ha anche citato la sentenza Mannino come un punto di riferimento della Cassazione,non tenuto in considerazione dalla Corte d’Appello di Palermo che ha condannato Dell’Utri. Proprio lì si diceva che sola la frequentazione dei boss non serve a far condannare una persona se non c’è la prova di quanto concretamente fatto per aiutare i mafiosi: Ma nel processo Dell’Utri la prova non era solo nelle parole di pentiti come Gaspare Spatuzza: era anche nelle parole intercettate dello stesso imputato e nelle ricostruzioni documentali dell’accusa. Comunque sia,per la Cassazione non c’è prova e non c’è dolo provato: le sentenze si rispettano sempre. Ora ci sarà un altro processo d’Appello a Palermo e speriamo che l’imputato Dell’Utri mantenga la sua parola d’onore e non accetti la prescrizione come annunciato subito dopo la sentenza della Cassazione.
E di più, su questo, non va detto. Ma stona quel “concorso esterno al quale non crede più nessuno” detto da un alto magistrato come il PG Iacoviello: perché a vent’anni da Capaci e da Via D’Amelio, sembra voler chiudere un ciclo tornando a prima di Falcone e Borsellino, come se questi anni di sentenze ed investigazioni fossero stati una parentesi emotiva del Diritto. Come se tornare a quando il giudice Carnevale annullava le sentenze di mafia in Cassazione per cavilli giuridici, fosse ritornare ai momenti veri della giurisprudenza in tema di mafia. Come se incontrare i boss come Mangano, trafficanti di droga e uomini d’onore della Cupola di Cosa Nostra, fosse normale attività di affari,magari di cavalli: quando frequentare i Bontade, i Cinà,i Calderone ed i Cancemi della cupola mafiosa, fosse vita dell’alta società per bene di Palermo o Milano, invece che una consistente copertura agli affari devastanti di droga e cemento che hanno insanguinato l’Italia e la Sicilia. Come se preparare un partito nuovo per dare prospettive ai mafiosi in galera col 41bis fosse una normale e nobile attività politica.
Insomma come se la legalità non esistesse in sé, in nome della Legge, della Costituzione e della collettività, ma solo se non disturba gli amici degli amici.
Forse una sola considerazione resta a magra consolazione: nessuno potrà più parlare di magistratura schierata in Italia. O forse se ne potrà parlare,in futuro ed a mente fredda, guardando chi sono i beneficiari delle prescrizioni, delle sentenze riscritte, delle assoluzioni con il beneficio del dubbio. Potenti veri;quelli sì, veri potenti. Per tutti gli altri la legge funziona in modo diverso.
La storia ,quella scritta e non scritta nelle sentenze, metterà in connessione il resto di queste vicende mafiose e giudiziarie italiane. Ma forse, il Pg Iacoviello non era inconsapevole, non ignorava il peso delle proprie parole. Forse ha semplicemente descritto l’evoluzione di questi ultimi anni di sentenze della magistratura.
Nell’antimafia sociale, di giovani e meno giovani che si apprestano a ricordare le vittime di Mafia a Genova il 17 marzo con Libera e con l’impegno quotidiano, la richiesta di tagliare le collusioni e le frequentazioni del mondo degli affari, della politica e dell’economia con la mafia resta invece forte ed ancora più convinta. Una voce collettiva rivolta a chi oggi guida le istituzioni ,le associazioni imprenditoriali e commerciali, ai magistrati ed ai giornalisti, agli insegnanti ed ai comunicatori. Ma che peccato che una parte della magistratura giudichi convenienze e frequentazioni mafiose solo sulla base di credenze ad una legge dello Stato...
Liberainformazione - Ignorando il peso delle proprie parole da Procuratore Generale che parla in Cassazione ed in uno dei processi più importanti degli ultimi 20 anni, il PG Francesco Mauro Iacoviello, ha chiesto l’annullamento della condanna d’appello per Marcello Dell’Utri affermando, tra le altre motivazioni, che il concorso esterno in associazione mafiosa è un reato “ al quale ormai non crede più nessuno”. Mettendo così una pietra, che temiamo possa essere tombale, su 20 anni di giurisprudenza antimafia in Italia.
E non a caso proprio nel ventennale della strage di Capaci: coincidenza vuole che chiuda il ciclo incominciato proprio con Falcone e Borsellino che di questo reato si erano spesi in molte occasioni, proprio perché rappresenta il modo per colpire le complicità delle mafie e soprattutto di Cosa Nostra che vive e si sviluppa nelle connivenze con la politica, il mondo degli affari e dell’economia. Cioè con quei settori di “colletti bianchi” (o grigi) che non si sporcano mai direttamente le mani negli affari sporchi ma li favoriscono con le coperture che offrono: potere in cambio di potere, cioè affari in cambio di voti, politica in cambio di controllo del territorio,appalti da un lato (con le devastazioni che ne conseguono quando i terreni ed i mari vengono mangiati solo per buttare cemento…),elezioni dall’altro, soldi sporchi in quantità dalle mafie e riciclaggio possibile da parte di banchieri e bancari. L’elenco potrebbe non finire presto: chi favorisce invece di isolare i mafiosi viene accusato di un reato di concorso esterno mafioso che ,come nel caso di Dell’Utri, si basa su dichiarazioni, riscontri documentali, intercettazioni telefoniche, incroci di testimonianze e prove.
Da oggi , per la Cassazione tutto questo non basta: perché, secondo il PG Iacoviello, non sono le prove a convincere i giudice di primo grado e d’appello , ma la credibilità di una stessa legge, visto che prima, evidentemente, ci si credeva a questo concorso esterno ed oggi, a suo dire, non ci crede più nessuno. Ma una legge non è una legge sempre, al di là delle credenze? Il pensiero sottinteso è chiaro e si rifà ad una antica avversione da parte di un settore della magistratura molto presente in Cassazione: alcune leggi, in tema di mafia soprattutto(ma non solo), sono fatte sull’onda della pressione dell’opinione pubblica , applicate spesso sulla scia di queste presunte pressioni; non sono leggi che rispecchiano il Diritto e la Prova. Facendo così un torto non solo alla memoria di Falcone e Borsellino, ma di tutte quelle Procure, a partire da Palermo e Caltanissetta, che sono in prima linea nella lotta alla mafia e che comunque,da tempo, affermano a suon di sentenze provate e passate in giudicato dalla stessa Cassazione, che frequentare e favorire gli affari dei boss anche solo con quella stessa frequentazione è un reato.
Ed allora Contrada è stato condannato per una credenza? Si chiedeva un magistrato che per ora non vuole far apparire il proprio nome; il PG Iacoviello, un eminente giurista ha anche citato la sentenza Mannino come un punto di riferimento della Cassazione,non tenuto in considerazione dalla Corte d’Appello di Palermo che ha condannato Dell’Utri. Proprio lì si diceva che sola la frequentazione dei boss non serve a far condannare una persona se non c’è la prova di quanto concretamente fatto per aiutare i mafiosi: Ma nel processo Dell’Utri la prova non era solo nelle parole di pentiti come Gaspare Spatuzza: era anche nelle parole intercettate dello stesso imputato e nelle ricostruzioni documentali dell’accusa. Comunque sia,per la Cassazione non c’è prova e non c’è dolo provato: le sentenze si rispettano sempre. Ora ci sarà un altro processo d’Appello a Palermo e speriamo che l’imputato Dell’Utri mantenga la sua parola d’onore e non accetti la prescrizione come annunciato subito dopo la sentenza della Cassazione.
E di più, su questo, non va detto. Ma stona quel “concorso esterno al quale non crede più nessuno” detto da un alto magistrato come il PG Iacoviello: perché a vent’anni da Capaci e da Via D’Amelio, sembra voler chiudere un ciclo tornando a prima di Falcone e Borsellino, come se questi anni di sentenze ed investigazioni fossero stati una parentesi emotiva del Diritto. Come se tornare a quando il giudice Carnevale annullava le sentenze di mafia in Cassazione per cavilli giuridici, fosse ritornare ai momenti veri della giurisprudenza in tema di mafia. Come se incontrare i boss come Mangano, trafficanti di droga e uomini d’onore della Cupola di Cosa Nostra, fosse normale attività di affari,magari di cavalli: quando frequentare i Bontade, i Cinà,i Calderone ed i Cancemi della cupola mafiosa, fosse vita dell’alta società per bene di Palermo o Milano, invece che una consistente copertura agli affari devastanti di droga e cemento che hanno insanguinato l’Italia e la Sicilia. Come se preparare un partito nuovo per dare prospettive ai mafiosi in galera col 41bis fosse una normale e nobile attività politica.
Insomma come se la legalità non esistesse in sé, in nome della Legge, della Costituzione e della collettività, ma solo se non disturba gli amici degli amici.
Forse una sola considerazione resta a magra consolazione: nessuno potrà più parlare di magistratura schierata in Italia. O forse se ne potrà parlare,in futuro ed a mente fredda, guardando chi sono i beneficiari delle prescrizioni, delle sentenze riscritte, delle assoluzioni con il beneficio del dubbio. Potenti veri;quelli sì, veri potenti. Per tutti gli altri la legge funziona in modo diverso.
La storia ,quella scritta e non scritta nelle sentenze, metterà in connessione il resto di queste vicende mafiose e giudiziarie italiane. Ma forse, il Pg Iacoviello non era inconsapevole, non ignorava il peso delle proprie parole. Forse ha semplicemente descritto l’evoluzione di questi ultimi anni di sentenze della magistratura.
Nell’antimafia sociale, di giovani e meno giovani che si apprestano a ricordare le vittime di Mafia a Genova il 17 marzo con Libera e con l’impegno quotidiano, la richiesta di tagliare le collusioni e le frequentazioni del mondo degli affari, della politica e dell’economia con la mafia resta invece forte ed ancora più convinta. Una voce collettiva rivolta a chi oggi guida le istituzioni ,le associazioni imprenditoriali e commerciali, ai magistrati ed ai giornalisti, agli insegnanti ed ai comunicatori. Ma che peccato che una parte della magistratura giudichi convenienze e frequentazioni mafiose solo sulla base di credenze ad una legge dello Stato...
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Sono presenti 2 commenti
Le esternazioni di Queso giudice Iacoviello in merito al reato di"Concorso esterno in associazione mafiosa"non nel merto del processo,sono un atto di violenza inaudita,un atto di terrorismo. Ci auguriamo che chi di competenza prenda gli opportuni provvedimenti sanzionatori. In assenza di questo reato,che sancisce la comunione tra potere politico e criminalità da strada,non nascerebbe la figlia Mafia.
Negazionismo all'italiana
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