Un lottatore, un uomo della terra e di pensiero raffinato, di meditazione.
E-ilmensile - Gino Girolomoni è morto il 16 marzo. Il ‘padre’ del biologico italiano è stato il fondatore della Cooperativa Alce nero, che vendeva già pasta biologica integrale in Germania quando, anni ’80, in Italia Girolomoni veniva denunciato per detenzione e spaccio di sostanze vietate per legge. In un video che lo ritrae, Matteo Scanni e chi scrive si incontrarono per un giorno nella sua cooperativa nelle Marche. Un giorno di sole, era novembre del 2010. Arrivati alla sommità della collina, dove sorge il convento che lo stesso Girolomoni ha restaurato personalmente, il silenzio, la vecchia chiesa diroccata (aveva un progetto ambizioso di recupero che ci spiegò più avanti per diversi minuti, con passione) fu preludio all’incontro con questo uomo robusto e dall’aspetto antico, dai modi secchi e gentili , in cui la forza del pensiero si univa e si fondeva con quello del fare agricoltura. Biologica. Un’impresa eccellente, un ottimo fatturato, ma soprattutto una capacità di coniugare l’impegno personale con una battaglia di civiltà. Una voce di riferimento per molti intellettuali italiani.
Ci illustrava i campi, le lavorazioni e i macchinari con un lampo di profonda soddisfazione negli occhi. Andammo a pranzo, suoi ospiti. Un momento di grande cordialità, di ottima cucina e buon vino, un padrone di casa capace di affascinarci nel racconto. Ricordo la sua libreria, in una cella monastica recuperata. Lungo un vecchio corridoio, sulla sinistra, la porta. Dentro una serie di scatole di legno appoggiate una sull’altra a costruire un oggetto di design, autoproduzione chiodi e martello. E tanti libri e una rivista graficamente sorpassata, ma così densa di argomenti e di pensiero. Il suo sguardo, intenso, nel mostrarci la foto della moglie defunta, le foto che si vedono mel multimediale, di un giovane barbuto caparbio, con figli, in un rudere che oggi è un esempio di recupero rispettoso del passato.
Ci fu spazio anche per fantasticare di iniziative comuni, che coinvolgessero la sua comunità e la nostra fame di conoscere il mondo contadino.
Alla fine resta il suo esempio e le sue idee, il seme che ha gettato nei tanti incontri che lo hanno visto in molte città e paesi. La notizia della sua morte, un anno e mezzo dopo quel viaggio, è una nota triste. Anche per noi che lo abbiamo conosciuto così velocemente, in otto ore filate.
Caro Gino, che la tua terra ti sia lieve.
Angelo Miotto
E-ilmensile - Gino Girolomoni è morto il 16 marzo. Il ‘padre’ del biologico italiano è stato il fondatore della Cooperativa Alce nero, che vendeva già pasta biologica integrale in Germania quando, anni ’80, in Italia Girolomoni veniva denunciato per detenzione e spaccio di sostanze vietate per legge. In un video che lo ritrae, Matteo Scanni e chi scrive si incontrarono per un giorno nella sua cooperativa nelle Marche. Un giorno di sole, era novembre del 2010. Arrivati alla sommità della collina, dove sorge il convento che lo stesso Girolomoni ha restaurato personalmente, il silenzio, la vecchia chiesa diroccata (aveva un progetto ambizioso di recupero che ci spiegò più avanti per diversi minuti, con passione) fu preludio all’incontro con questo uomo robusto e dall’aspetto antico, dai modi secchi e gentili , in cui la forza del pensiero si univa e si fondeva con quello del fare agricoltura. Biologica. Un’impresa eccellente, un ottimo fatturato, ma soprattutto una capacità di coniugare l’impegno personale con una battaglia di civiltà. Una voce di riferimento per molti intellettuali italiani.
Ci illustrava i campi, le lavorazioni e i macchinari con un lampo di profonda soddisfazione negli occhi. Andammo a pranzo, suoi ospiti. Un momento di grande cordialità, di ottima cucina e buon vino, un padrone di casa capace di affascinarci nel racconto. Ricordo la sua libreria, in una cella monastica recuperata. Lungo un vecchio corridoio, sulla sinistra, la porta. Dentro una serie di scatole di legno appoggiate una sull’altra a costruire un oggetto di design, autoproduzione chiodi e martello. E tanti libri e una rivista graficamente sorpassata, ma così densa di argomenti e di pensiero. Il suo sguardo, intenso, nel mostrarci la foto della moglie defunta, le foto che si vedono mel multimediale, di un giovane barbuto caparbio, con figli, in un rudere che oggi è un esempio di recupero rispettoso del passato.
Ci fu spazio anche per fantasticare di iniziative comuni, che coinvolgessero la sua comunità e la nostra fame di conoscere il mondo contadino.
Alla fine resta il suo esempio e le sue idee, il seme che ha gettato nei tanti incontri che lo hanno visto in molte città e paesi. La notizia della sua morte, un anno e mezzo dopo quel viaggio, è una nota triste. Anche per noi che lo abbiamo conosciuto così velocemente, in otto ore filate.
Caro Gino, che la tua terra ti sia lieve.
Angelo Miotto
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