venerdì, marzo 23, 2012
Viaggio nel mondo dei rigger, degli scarf holder e dei facchini

di Paola Bisconti

Cinque miliardi di euro all’anno è il ricavato dei megaconcerti delle più grandi star della musica. Il lavoro nero di coloro che, invece, montano e smontano le impalcature è retribuito con 6-7 € all’ora: le due morti avvenute in soli tre mesi stanno svelando i retroscena di un mondo che sembra arricchirsi sulle spalle degli altri. Francesco Pinna aveva 20 anni ed è morto a Trieste mentre allestiva il palco dove si sarebbe dovuto esibire Jovanotti (nell’incidente sono rimasti feriti anche altri 8 ragazzi); Matteo Armellini, 31 anni, tecnico specializzato professionista, è deceduto a Reggio Calabria a causa del crollo del palco montato per lo spettacolo canoro di Laura Pausini.

La megalomania delle cattedrali di ferro mette a rischio la vita di coloro che lavorano senza avere delle tutele. Già, perché la sicurezza costa e a pagarla sono le morti bianche, anzi invisibili, dato che avvengono a causa della mancanza di un riconoscimento professionale delle categorie. Silvano Conti, coordinatore nazionale della Slc/Cgil, ha espresso la sua solidarietà nei confronti di chi è vittima dello “showbiz del live”. Si tratta di un fenomeno che nonostante la crisi ha visto l’aumento degli incassi del 6%, ma non offre ancora una regolarizzazione dei turni di riposo, degli orari, delle retribuzioni e delle norme di sicurezza per questo tipo di maestranza. Alcuni ragazzi sono alle prime esperienze e a fine serata se la cavano con un panino e una birra gratis, i più fortunati, invece, ricevono circa 6-7 euro all’ora e mettono in piedi un intero padiglione. Molti preferiscono selezionare manodopera in nero anziché retribuire correttamente il lavoratore in proporzione alla mansione svolta. La concorrenza che si è creata fra le società di multiserivizi è altissima, per questo si ricorre facilmente ad azioni sleali. Con un budget che oscilla dai 40 ai 70mila euro si ottiene il lavoro completo che prevede il noleggio del palco, delle torri, delle travi a soffitto e del ring che regge le luci e l’apparecchiatura audio (quando è impossibile appenderla al soffitto).

Il peso complessivo dell’attrezzatura completa per il tour di Laura Pausini era di 45 tonnellate, di cui l’80% di acciaio e di alluminio; sono impiegati 16 tir per trasportare 130 motori e 2 ascensori; 250 persone allestiscono un palco largo 24 m e profondo 12 corredato di 4 colonne che racchiudono 3 mega schermi. L’attività dei rigger, gli operai arrampicatori, degli scarf holder che si occupano del montaggio dello scheletro del palco, dei facchini che scaricano i bauli con il materiale prevede 12-14 ore al giorno, oppure, se ci sono per esempio 20 date in 30 giorni, si lavora due notti su tre. Il lavoro nero nasce da un vero e proprio caporalato nato all’interno della catena di appalti e sub-appalti che specula sulla manodopera. All’estero, invece, esistono le doppie squadre proprio per evitare i doppi turni agli operai.

La procedura corretta per consentire la buona riuscita dell’evento prevede la presenza di una commissione di vigilanza, composta dai vigili del fuoco, dagli ingegneri e dalla Asl, che dovrebbe effettuare un collaudo in grado di garantire la coerenza tra ciò che è stato progettato e ciò che è stato costruito. Le verifiche, tuttavia, sono solo formali. Una formalità che però viene regolarmente retribuita. E l’incasso dei concerti giunge direttamente nelle tasche delle star e delle aziende come la F&P, la Trident Management, la Live Nation, la Italstage, l’Agorà, la EsseEmme. Mentre la buona riuscita tecnica dell’evento dipende esclusivamente da una forza lavoro spesso vittima di un vero e proprio sistema di sfruttamento.

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