Un camion, all’alba, si mette in coda con gli altri mezzi per sbarcare dalla motonave Ionian Queen al porto di Brindisi. Proveniente dalla Grecia, si appresta a passare il controllo doganale di Costa Morena. I controlli sono a campione. Tanti passano, quello viene controllato. L’autista, un cittadino rumeno, viene arrestato.
E-ilmensile - A bordo del suo camion i militari della Guardia di Finanza trovano 600 chilogrammi di tabacchi esteri di contrabbando. Il carico di copertura (confetture, frigoriferi e porte), come accertato dalla documentazione di trasporto, era destinato in varie parti d’Italia. Sembra una storia d’altri tempi, che per anni ha caratterizzato tanta Italia. Tempi lontani? Parrebbe di no. Dopo il crollo degli anni Duemila, i numeri dei sequestri di sigarette di contrabbando è tornato a salire. E – il mensile ha intervistato sull’argomento Alessandro Leogrande, scrittore e giornalista pugliese, vice direttore della rivista Lo Straniero e autore, tra gli altri, del libro Le Male Vite. Il libro, splendido reportage d’inchiesta sul mondo del contrabbando, è uscito per l’Ancora del Mediterraneo nel 2003, ma la casa editrice Fandango l’ha pubblicato di nuovo (con aggiunte e rivisto dall’autore), proprio perché il tema è tornato alla ribalta.
I sequestri raccontano solo una vecchia storia, o siamo di fronte al ritorno di un fenomeno criminale che si pensava finito? Si può delineare una nuova geografia del traffico di sigarette?
La mia idea, che in qualche modo spiega anche la ripubblicazione del libro, è che si è chiusa quella fase plateale del contrabbando di sigarette degli anni Novanta con l’Operazione Primavera (in sei mesi, nel 2000, vennero arrestate oltre sessanta persone con sequestro di mezzi e carichi di sigarette ndr), fase da Far West pugliese, caratterizzata dagli sbarchi – anche in pieno giorno – sulle coste della Puglia, i gipponi rostrati, un anti stato del traffico illecito compenetrato con la società e spesso con lo stesso Stato. Questa fase si è chiusa da una decina d’anni, ma se uno guarda le notizie sul tema e il numero dei sequestri si rende conto di come gli sbarchi e i carichi, soprattutto nei porti pugliesi, continuano a essere abbastanza elevati. Non si parla più di sigarette portate a bordo da scafi di contrabbando, ma di carichi nascosti all’interno di tir che viaggiano sui traghetti di linea dalla Turchia o dalla Grecia. Un traffico meno appariscente, ma non per questo meno importante nelle sue quantità. Si parla di tonnellate, intercettate in controlli a campione. C’è stato probabilmente un cambio di geografia del contrabbando di sigarette, ma non un suo azzeramento. Assieme a un cambio di strategia. In questo modo diventa molto più difficile leggere i passaggi, perché in qualche modo il mio libro è il risultato dei dati di quindici anni di studio del fenomeno, in primo luogo delle autorità inquirenti, che avevano studiato l’intreccio tra mafia pugliese e contrabbando di sigarette, che aveva chiarito quello che era uno scenario già abbastanza inquietante e paradossale. E i primi dieci anni del Duemila hanno permesso di capire ancora di più dello scenario del Montenegro, pur essendo quel passaggio ormai chiuso dal 2000 o 2001. Questo spiega come leggere i nuovi fenomeni sia molto complesso. Di sicuro, perché ce lo dicono i sequestri, c’è un traffico di sigarette dall’Ucraina e dalla Russia, o anche dalla Cina, ma ricostruire adesso una geografia delle tratte e dei nuovi gruppi che lo gestiscono non è facile. Potrei sbagliarmi, ma credo che non ci sia ancora una grande inchiesta in questo senso, nelle procure pugliesi o altrove.
In questo meccanismo, può avere un ruolo determinante la crisi economica?
Credo di sì, anche perché mi pare abbastanza evidente che questo sta avvenendo. La mia esperienza è quella di aver rivisto negli ultimi mesi, negli ultimi anni, le sigarette di contrabbando vendute anche nel centro storico di Taranto. Un fenomeno che negli ultimi dieci anni era scomparso. E credo che questo accada anche in altre città del meridione. Oggi, come ieri, le sigarette che sbarcano in Puglia, dagli scafi come in passato o dai tir oggi, non sono solo per il mercato italiano. La Puglia è un punto di transito per il contrabbando europeo. Detto questo, esiste di sicuro una quota (per quanto non sono in possesso di dati) di contrabbando al dettaglio che è in aumento, fenomeno che va letto in relazione stretta con la crisi economica. In fondo cosa è il contrabbando di sigarette? La possibilità di fumare spendendo meno, come era anche negli anni Ottanta e Novanta, sia a Napoli che in Puglia. Una parte era un fumare risparmiando, una parte per i dettaglianti era una attività illecita ma non percepita come attività prettamente delinquenziale. ‘Meglio quello che spacciare’ era una filosofia largamente diffusa in tutta l’Italia meridionale. Con il libro, fermo restando che non vanno criminalizzati i pesci piccoli, ho voluto raccontare quella piramide che si è strutturata attorno al contrabbando, dove c’erano i proletari ma anche i colletti bianchi più o meno criminali, più o meno internazionali, che muovevano interessi enormi. Questo diventava uno specchio dell’economia illegale e di una borghesia mafiosa o para mafiosa transnazionale che è una componente determinante della modernità. Una piramide che arriva molto in alto, come dimostra sia l’indagine dell’Unione europea che il processo presso la corte penale di New York, nel quale alcune multinazionali del tabacco hanno chiesto il patteggiamento, rendendo evidente il coinvolgimento dei produttori di sigarette nel contrabbando. Perché queste sigarette non le producevano certo i contrabbandieri di Bari o di Brindisi, ne tanto meno il trafficante del Montenegro o il broker internazionale, ma le producevano le stesse multinazionali per il mercato parallelo. Una strategia precisa. Raccontare questo sembra un film, ma è storia, come racconta anche Misha Glenny nel suo libro McMafia. Quanto di tutto questo, studiato in passati, esiste oggi? La mia idea è che nonostante tutto le sigarette di contrabbando, nella stragrande dei casi, vengono prodotte ancora dalle grandi multinazionali.
La Sacra Corona Unita era percepita come una mafia differente dalle altre reti del crimine organizzato in Italia. La mafia in Puglia è ancora un fenomeno altro? E quanto è in relazione con quella zona grigia che pervade la società?
Il modus operandi è simile a quello delle altre mafie italiane. Bisogna fare un’analisi sociologica e storica molto laica. Credo che la Sacra Corona Unita fosse mafia, o volesse esserlo, come confermano autorevoli studiosi del fenomeno. C’erano elementi di affiliazione, gerarchia e tenuta dei gruppi che erano strutturati attorno a un modello mafioso ed erano auto rappresentati così. Detto questo, però, è innegabile che la Scu non ha avuto un insediamento storico secolare come le altre mafie. Quando non è stata più in grado di gestire tensioni e sommovimenti derivanti anche da scenari internazionali sui quali si basava questo traffico, è implosa. Credo che questo sia stato determinato dall’assenza di una sedimentazione storica di lungo periodo, come in Calabria, Sicilia e Campania. Ci sono però da fare alcune osservazioni. In primo luogo non è vero che la Puglia è un territorio immacolato, visto che ci sono periodici tentativi di organizzarsi su un modello classico o nuovo di criminalità organizzata, come mostra anche la cronaca degli ultimi giorni, e poi non dobbiamo mai perdere di vista la capacità dei gruppi criminali di infiltrare la politica e le istituzioni. La vita della Scu è stata legata al contrabbando di sigarette, finendo per rovesciare il paradigma della mafia che blocca lo sviluppo e produce povertà. Perché a volte la mafia può produrre uno sviluppo sregolato, in violazione di qualsiasi principio di legalità, ma che i soldi li fa girare. E questo che va combattuto, evitando un doppio effetto di seduzione: da una parte l’effetto di seduzione a valle, con il mafioso come mito positivo per il ragazzino di sedici anni che cresce in periferia senza prospettive, dall’altra a monte, con l’effetto seduttivo che può avere su quella borghesia grigia che si arricchisce con situazioni d’illegalità.
E-ilmensile - A bordo del suo camion i militari della Guardia di Finanza trovano 600 chilogrammi di tabacchi esteri di contrabbando. Il carico di copertura (confetture, frigoriferi e porte), come accertato dalla documentazione di trasporto, era destinato in varie parti d’Italia. Sembra una storia d’altri tempi, che per anni ha caratterizzato tanta Italia. Tempi lontani? Parrebbe di no. Dopo il crollo degli anni Duemila, i numeri dei sequestri di sigarette di contrabbando è tornato a salire. E – il mensile ha intervistato sull’argomento Alessandro Leogrande, scrittore e giornalista pugliese, vice direttore della rivista Lo Straniero e autore, tra gli altri, del libro Le Male Vite. Il libro, splendido reportage d’inchiesta sul mondo del contrabbando, è uscito per l’Ancora del Mediterraneo nel 2003, ma la casa editrice Fandango l’ha pubblicato di nuovo (con aggiunte e rivisto dall’autore), proprio perché il tema è tornato alla ribalta.
I sequestri raccontano solo una vecchia storia, o siamo di fronte al ritorno di un fenomeno criminale che si pensava finito? Si può delineare una nuova geografia del traffico di sigarette?
La mia idea, che in qualche modo spiega anche la ripubblicazione del libro, è che si è chiusa quella fase plateale del contrabbando di sigarette degli anni Novanta con l’Operazione Primavera (in sei mesi, nel 2000, vennero arrestate oltre sessanta persone con sequestro di mezzi e carichi di sigarette ndr), fase da Far West pugliese, caratterizzata dagli sbarchi – anche in pieno giorno – sulle coste della Puglia, i gipponi rostrati, un anti stato del traffico illecito compenetrato con la società e spesso con lo stesso Stato. Questa fase si è chiusa da una decina d’anni, ma se uno guarda le notizie sul tema e il numero dei sequestri si rende conto di come gli sbarchi e i carichi, soprattutto nei porti pugliesi, continuano a essere abbastanza elevati. Non si parla più di sigarette portate a bordo da scafi di contrabbando, ma di carichi nascosti all’interno di tir che viaggiano sui traghetti di linea dalla Turchia o dalla Grecia. Un traffico meno appariscente, ma non per questo meno importante nelle sue quantità. Si parla di tonnellate, intercettate in controlli a campione. C’è stato probabilmente un cambio di geografia del contrabbando di sigarette, ma non un suo azzeramento. Assieme a un cambio di strategia. In questo modo diventa molto più difficile leggere i passaggi, perché in qualche modo il mio libro è il risultato dei dati di quindici anni di studio del fenomeno, in primo luogo delle autorità inquirenti, che avevano studiato l’intreccio tra mafia pugliese e contrabbando di sigarette, che aveva chiarito quello che era uno scenario già abbastanza inquietante e paradossale. E i primi dieci anni del Duemila hanno permesso di capire ancora di più dello scenario del Montenegro, pur essendo quel passaggio ormai chiuso dal 2000 o 2001. Questo spiega come leggere i nuovi fenomeni sia molto complesso. Di sicuro, perché ce lo dicono i sequestri, c’è un traffico di sigarette dall’Ucraina e dalla Russia, o anche dalla Cina, ma ricostruire adesso una geografia delle tratte e dei nuovi gruppi che lo gestiscono non è facile. Potrei sbagliarmi, ma credo che non ci sia ancora una grande inchiesta in questo senso, nelle procure pugliesi o altrove.
In questo meccanismo, può avere un ruolo determinante la crisi economica?
Credo di sì, anche perché mi pare abbastanza evidente che questo sta avvenendo. La mia esperienza è quella di aver rivisto negli ultimi mesi, negli ultimi anni, le sigarette di contrabbando vendute anche nel centro storico di Taranto. Un fenomeno che negli ultimi dieci anni era scomparso. E credo che questo accada anche in altre città del meridione. Oggi, come ieri, le sigarette che sbarcano in Puglia, dagli scafi come in passato o dai tir oggi, non sono solo per il mercato italiano. La Puglia è un punto di transito per il contrabbando europeo. Detto questo, esiste di sicuro una quota (per quanto non sono in possesso di dati) di contrabbando al dettaglio che è in aumento, fenomeno che va letto in relazione stretta con la crisi economica. In fondo cosa è il contrabbando di sigarette? La possibilità di fumare spendendo meno, come era anche negli anni Ottanta e Novanta, sia a Napoli che in Puglia. Una parte era un fumare risparmiando, una parte per i dettaglianti era una attività illecita ma non percepita come attività prettamente delinquenziale. ‘Meglio quello che spacciare’ era una filosofia largamente diffusa in tutta l’Italia meridionale. Con il libro, fermo restando che non vanno criminalizzati i pesci piccoli, ho voluto raccontare quella piramide che si è strutturata attorno al contrabbando, dove c’erano i proletari ma anche i colletti bianchi più o meno criminali, più o meno internazionali, che muovevano interessi enormi. Questo diventava uno specchio dell’economia illegale e di una borghesia mafiosa o para mafiosa transnazionale che è una componente determinante della modernità. Una piramide che arriva molto in alto, come dimostra sia l’indagine dell’Unione europea che il processo presso la corte penale di New York, nel quale alcune multinazionali del tabacco hanno chiesto il patteggiamento, rendendo evidente il coinvolgimento dei produttori di sigarette nel contrabbando. Perché queste sigarette non le producevano certo i contrabbandieri di Bari o di Brindisi, ne tanto meno il trafficante del Montenegro o il broker internazionale, ma le producevano le stesse multinazionali per il mercato parallelo. Una strategia precisa. Raccontare questo sembra un film, ma è storia, come racconta anche Misha Glenny nel suo libro McMafia. Quanto di tutto questo, studiato in passati, esiste oggi? La mia idea è che nonostante tutto le sigarette di contrabbando, nella stragrande dei casi, vengono prodotte ancora dalle grandi multinazionali.
La Sacra Corona Unita era percepita come una mafia differente dalle altre reti del crimine organizzato in Italia. La mafia in Puglia è ancora un fenomeno altro? E quanto è in relazione con quella zona grigia che pervade la società?
Il modus operandi è simile a quello delle altre mafie italiane. Bisogna fare un’analisi sociologica e storica molto laica. Credo che la Sacra Corona Unita fosse mafia, o volesse esserlo, come confermano autorevoli studiosi del fenomeno. C’erano elementi di affiliazione, gerarchia e tenuta dei gruppi che erano strutturati attorno a un modello mafioso ed erano auto rappresentati così. Detto questo, però, è innegabile che la Scu non ha avuto un insediamento storico secolare come le altre mafie. Quando non è stata più in grado di gestire tensioni e sommovimenti derivanti anche da scenari internazionali sui quali si basava questo traffico, è implosa. Credo che questo sia stato determinato dall’assenza di una sedimentazione storica di lungo periodo, come in Calabria, Sicilia e Campania. Ci sono però da fare alcune osservazioni. In primo luogo non è vero che la Puglia è un territorio immacolato, visto che ci sono periodici tentativi di organizzarsi su un modello classico o nuovo di criminalità organizzata, come mostra anche la cronaca degli ultimi giorni, e poi non dobbiamo mai perdere di vista la capacità dei gruppi criminali di infiltrare la politica e le istituzioni. La vita della Scu è stata legata al contrabbando di sigarette, finendo per rovesciare il paradigma della mafia che blocca lo sviluppo e produce povertà. Perché a volte la mafia può produrre uno sviluppo sregolato, in violazione di qualsiasi principio di legalità, ma che i soldi li fa girare. E questo che va combattuto, evitando un doppio effetto di seduzione: da una parte l’effetto di seduzione a valle, con il mafioso come mito positivo per il ragazzino di sedici anni che cresce in periferia senza prospettive, dall’altra a monte, con l’effetto seduttivo che può avere su quella borghesia grigia che si arricchisce con situazioni d’illegalità.
Christian Elia
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