sabato, marzo 24, 2012
Passa al parlamento l’esame della riforma del mercato del lavoro approvata ieri, “salvo intese”, dal Consiglio dei ministri. All’interno dell’attuale maggioranza, valutazioni differenti soprattutto sulle modifiche all’articolo 18, condivise da Pdl e Terzo Polo, non dal Pd. I sindacati chiedono modifiche. E la Cgil ha già proclamato un pacchetto di scioperi.

Radio Vaticana - Contratti, sussidi, flessibilità in uscita. Sono i tre cardini della riforma del mercato del lavoro messa a punto dal governo Monti. Il contratto a tempo indeterminato sarà la tipologia dominante per le assunzioni. Quelle a termine costeranno di più alle aziende in termini di contribuzione: una misura destinata a combattere il precariato. La principale porta di ingresso dei giovani nel mercato del lavoro sarà l’apprendistato. Le nuove norme obbligano di fatto le aziende ad assumere una certa percentuale di apprendisti se vorranno utilizzarne di nuovi. Novità anche per chi perde il posto di lavoro. La riforma introduce l’Aspi, l’Assicurazione sociale per l’impiego. Sarà estesa a tutti i lavoratori e sostituirà l’attuale indennità di disoccupazione. Durerà 12 mesi, 18 per chi ha più di 55 anni. Per il sussidio è previsto un tetto massimo di 1.119 euro. Il nuovo sistema di ammortizzatori sociali entrerà a regime nel 2017. Il terzo capitolo, quello riguardante la flessibilità in uscita, è certamente il più spinoso. Al centro c’è infatti la riscrittura dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, da sempre una bandiera del sindacato. Bisogna distinguere tra licenziamenti discriminatori, disciplinari ed economici. Nulla cambia per i licenziamenti discriminatori (per fede religiosa, credo politico, appartenenza ad un sindacato): sono nulli ed è previsto il reintegro sul posto di lavoro. I licenziamenti disciplinari sono quelli intimati per giusta causa: ad esempio furto o rissa; oppure per giustificato motivo soggettivo: ad esempio grave inadempimento degli obblighi contrattuali. Sta al giudice decidere se procedere con il reintegro oppure con l’indennizzo tra le 15 e le 27 mensilità. Infine, il punto più controverso: i licenziamenti economici per giustificato motivo oggettivo: ragioni inerenti all’attività produttiva o all’organizzazione del lavoro. Il giudice potrà eventualmente condannare il datore di lavoro non al reintegro, come chiedono sindacati e Pd, ma solo al pagamento di un indennizzo, sempre tra le 15 e le 27 mensilità. Previsti interventi per evitare in questo caso abusi di tipo discriminatorio. E ci sono anche norme per velocizzare i processi sui licenziamenti. Tra le altre novità: l’introduzione del congedo di paternità obbligatorio per tre giorni e le norme di contrasto alle dimissioni in bianco delle lavoratrici madri.

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