venerdì, marzo 23, 2012
Aumentano i timori di un peggioramento dei diritti umani nel Paese del Sol Levante

di Patrizio Ricci

Liu Xiaobo, professore di letteratura, Nobel per la pace 2010, si è battuto per due decenni per la fine del regime a partito unico e l’instaurazione di un sistema pienamente democratico in Cina. Aveva partecipato ad una dichiarazione di intellettuali che chiedeva al governo “di camminare su due piedi anziché su uno solo, portando avanti tanto le riforme politiche quanto quelle economiche”. Un parere legittimo e non violento, ciononostante è stato ritenuto colpevole di ‘sovversione’ e punito con una pena durissima di 11 anni di carcere. Non è stato riservato un trattamento migliore neanche a chi non ha espresso un’opinione ‘politica’, ma si è limitato a riferire la verità: Tan Zuoren, un avvocato cinese, aveva semplicemente fatto ricerche per stabilire con veridicità il numero esatto dei bambini morti sotto il crollo delle scuole durante il terremoto del Sichuan nel 2008; è ancora in carcere con una condanna di 5 anni.

Sono solo due esempi che dimostrano come in Cina per il potere tutto sia subordinato al buon funzionamento della macchina statale, e come la libertà di avere un pensiero indipendente, che è la prima e la più importante forma di libertà, sia ritenuto un pericolo destabilizzante. Non è un caso che all’interno del sistema carcerario cinese di ‘rieducazione’ (i laogai), dove sono rinchiusi milioni di persone, sia vietato definirsi una ‘persona’ e sia proibito pregare.

A peggiorare questo quadro non felice, nei giorni scorsi Asia News ha diffuso la notizia che un emendamento introdotto nel mese di agosto al Codice penale cinese è stata convertito in legge (il Congresso del Popolo ha approvato la norma con 2.639 voti favorevoli, 170 contrarie e 57 astensioni ): esso consente alla polizia di effettuare arresti segreti senza avvisare i famigliari e a detenere il ‘sospetto’ fino a 6 mesi, senza possibilità di difesa. La discrezionalità della polizia sull’arresto è totale e non vi è alcuna tutela per l’arrestato. E’ come se questi a un certo punto non esistesse più, anche il luogo di detenzione è tenuto segreto, lontano dai normali centri di custodia. La legge è rivolta ai soli sospettati di crimini contro la sicurezza nazionale o di atti terroristici, ma in realtà la quasi totalità di questi arresti mira a reprimere ogni dissenso e non ha alcun fondamento giuridico, giacché la polizia è esonerata dal fornire veri capi d’accusa. La preoccupazione è che chiunque rappresenti un pericolo per il partito comunista possa essere ‘arrestato segretamente’ e che possano aumentare così le incarcerazioni dei dissidenti, cioè verso tutti coloro che mettono al primo posto il loro diritto alla libertà di espressione e di associazione.

Che speranze abbiamo che le cose cambino? Assai scarse. Le uniche leve potrebbero essere quelle economiche e diplomatiche, ma nel mondo non si sta certo alimentando un clima di fiducia tra gli stati e la crisi economia globale non fa propendere i governi occidentali a inimicarsi troppo la Cina, che ha acquistato gran parte del debito statunitense e si prepara a penetrare anche l’economia europea in difficoltà.

Anche se la svolta capitalista ha aperto la Cina al mercato globale, essa ne ha sfruttato solo le potenzialità di guadagno, ma la fiducia reciproca con il resto del mondo ha toccato minimi storici. In questo contesto, si è riaccesa la millenaria diffidenza per i complotti e le sedizioni esterne. I dirigenti cinesi poi non si sono sentiti rassicurati dall’aiuto dato alle rivoluzioni interne arabe da parte dei paesi occidentali, che in alcuni casi hanno direttamente provocato le rivoluzioni. Infine il recente cambiamento di strategia USA, che ha spostato il suo interesse strategico dal Mediterraneo al Pacifico, ha messo in mostra una strategia di lungo periodo certamente non amichevole.

Come sempre l’influenza “esterna” sulla libertà di un popolo ha effetti lievi; il rispetto per la dignità umana e per i diritti fondamentali è efficace solo se diventa un fatto culturale vissuto e alimentato nella coscienza di un popolo. E noi paesi occidentali potremo chiedere che ciò avvenga nella misura in cui ci faremo autentici costruttori di pace, che guardano all’uomo e alla sua dignità non come una concessione statale o come la somma dei propri fattori storici e biologici.

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