Iniziamo oggi, in esclusiva per La Perfetta Letizia, un ciclo di articoli su "grandi donne" che hanno contribuito a far crescere l'Italia nei più svariati campi. Partiamo con un omaggio a Maria Corti, l’intellettuale che scardinò il linguaggio accademico con l’intensità della scrittura creativa.
“Al di là degli eventi che passano, le carte durano, ciascuna con la minuscola storia, e vivono in quella che Borges chiama la nostra ‘quarta dimensione, la memoria’. E quando anche noi ce ne andremo, loro, le carte, resteranno lì e non sapranno mai che non ci saremo più”. Prima che il 22 febbraio del 2002 Maria Corti ci lasciasse, scriveva senza poter immaginare in quanti avrebbero letto le sue carte. È stata la prima italiana filologa ad ottenere un riconoscimento generale in un mondo dominato dai colleghi uomini. Ne “Il ballo dei sapienti” propone un ritratto del mondo universitario composto da “intellettuali narcisisti, esemplari di snobismo che consiste nel considerarsi giunti là dove altri non hanno accesso e di un altrettanto vago senso di superiorità nei rapporti umani”. La personalità atipica di Maria Corti le ha consentito di intrecciare le sue due vocazioni: il rigore accademico e la scrittura creativa. Il linguaggio e il metalinguaggio diventavano parti fondanti dei suoi tanti scritti (saggi, romanzi, articoli).
La questione del linguaggio è stata affrontata dalla scrittrice nel testo “Le pietre verbali”, dove ha raccontato il periodo cruciale del ’68 rivelando il problema linguistico delle nuove generazioni. Il gergo giovanile, infatti, si sovrapponeva alla pedanteria dell’espressione degli intellettuali, entrando così in conflitto con le nuove esigenze dei giovani. Si trattava di una protesta implicita alle contestazioni studentesche che Maria Corti ha saputo cogliere grazie ad una personalità simile a quella di una battagliera, dove l’unica “arma” da lei impiegata è la “curiositas”, il filo conduttore della sua missione culturale e umana. Durante la sua giovinezza ha avuto anche modo di esprimere una politica antifascista durante gli anni della Resistenza nella seconda Guerra Mondiale, quando fu arrestata per aver distribuito i manifesti che Antonio Banfi, il filosofo, le aveva consegnato.
Maria Corti, nata a Milano, ha vissuto a Pellio d’Intelvi, dove ha trasformato la sua casa in un centro studi creando il “Fondo manoscritti”. Da giovane insegnante dei licei è diventata un’austera docente di Storia della lingua italiana presso l’Università di Pavia e l’Università del Salento. Ha collaborato con “Il Giorno”, “La Repubblica”, con Umberto Eco ha pilotato “Alfabeta” per poi fondare “Autografo”, la sua rivista letteraria. È stata membro dell’Accademia dei Lincei e nel 1989 le fu consegnato il Premio speciale per la letteratura dalla Presidenza del Consiglio. Pochi anni prima della sua scomparsa si è soffermata sul pensiero filosofico e linguistico di Dante affrontando la questione delle fonti islamiche della “Divina Commedia”.
La notorietà dei romanzi di Maria Corti ha prevalso sull’importanza dei ruoli accademici che ha avuto. I numerosi lettori la ricordano per i romanzi come “L’ora di tutti”, l’esordio del 1962. Idrusa, la protagonista del romanzo, riveste il ruolo di un’eroina che sacrifica se stessa per non soccombere alla crudeltà degli attacchi dei turchi che nel 1480 invasero Otranto. A seguire ci sono “La felicità mentale”, “Cantare nel buio”, “Ombre sul fondo”, “Il treno della pazienza”, “Otranto allo specchio”, “La leggenda di domani”, “Il canto delle sirene” e molti altri ancora.
“L’ora di tutti”, il suo primo romanzo, è una sorta di regalo al Salento, la sua terra di adozione: il padre infatti, essendo un ingegnere stradale, lavorava in Puglia, dove in seguito alla morte prematura della prima moglie, una bravissima e bellissima pianista, si risposò con una donna di Maglie, paese in provincia di Lecce. Maria Corti ebbe modo così di frequentare l’ambiente culturale salentino aderendo alla fondazione della rivista “L’Albero” del barone Girolamo Comi, un giornale letterario espressione dei componenti dell’Accademia Salentina, alla quale parteciparono gli intellettuali Michele Pierri, Oreste Macrì, Mario Marti, Salvatore Toma, Vittorio Pagano.
“Al di là degli eventi che passano, le carte durano, ciascuna con la minuscola storia, e vivono in quella che Borges chiama la nostra ‘quarta dimensione, la memoria’. E quando anche noi ce ne andremo, loro, le carte, resteranno lì e non sapranno mai che non ci saremo più”. Prima che il 22 febbraio del 2002 Maria Corti ci lasciasse, scriveva senza poter immaginare in quanti avrebbero letto le sue carte. È stata la prima italiana filologa ad ottenere un riconoscimento generale in un mondo dominato dai colleghi uomini. Ne “Il ballo dei sapienti” propone un ritratto del mondo universitario composto da “intellettuali narcisisti, esemplari di snobismo che consiste nel considerarsi giunti là dove altri non hanno accesso e di un altrettanto vago senso di superiorità nei rapporti umani”. La personalità atipica di Maria Corti le ha consentito di intrecciare le sue due vocazioni: il rigore accademico e la scrittura creativa. Il linguaggio e il metalinguaggio diventavano parti fondanti dei suoi tanti scritti (saggi, romanzi, articoli).
La questione del linguaggio è stata affrontata dalla scrittrice nel testo “Le pietre verbali”, dove ha raccontato il periodo cruciale del ’68 rivelando il problema linguistico delle nuove generazioni. Il gergo giovanile, infatti, si sovrapponeva alla pedanteria dell’espressione degli intellettuali, entrando così in conflitto con le nuove esigenze dei giovani. Si trattava di una protesta implicita alle contestazioni studentesche che Maria Corti ha saputo cogliere grazie ad una personalità simile a quella di una battagliera, dove l’unica “arma” da lei impiegata è la “curiositas”, il filo conduttore della sua missione culturale e umana. Durante la sua giovinezza ha avuto anche modo di esprimere una politica antifascista durante gli anni della Resistenza nella seconda Guerra Mondiale, quando fu arrestata per aver distribuito i manifesti che Antonio Banfi, il filosofo, le aveva consegnato.
Maria Corti, nata a Milano, ha vissuto a Pellio d’Intelvi, dove ha trasformato la sua casa in un centro studi creando il “Fondo manoscritti”. Da giovane insegnante dei licei è diventata un’austera docente di Storia della lingua italiana presso l’Università di Pavia e l’Università del Salento. Ha collaborato con “Il Giorno”, “La Repubblica”, con Umberto Eco ha pilotato “Alfabeta” per poi fondare “Autografo”, la sua rivista letteraria. È stata membro dell’Accademia dei Lincei e nel 1989 le fu consegnato il Premio speciale per la letteratura dalla Presidenza del Consiglio. Pochi anni prima della sua scomparsa si è soffermata sul pensiero filosofico e linguistico di Dante affrontando la questione delle fonti islamiche della “Divina Commedia”.
La notorietà dei romanzi di Maria Corti ha prevalso sull’importanza dei ruoli accademici che ha avuto. I numerosi lettori la ricordano per i romanzi come “L’ora di tutti”, l’esordio del 1962. Idrusa, la protagonista del romanzo, riveste il ruolo di un’eroina che sacrifica se stessa per non soccombere alla crudeltà degli attacchi dei turchi che nel 1480 invasero Otranto. A seguire ci sono “La felicità mentale”, “Cantare nel buio”, “Ombre sul fondo”, “Il treno della pazienza”, “Otranto allo specchio”, “La leggenda di domani”, “Il canto delle sirene” e molti altri ancora.
“L’ora di tutti”, il suo primo romanzo, è una sorta di regalo al Salento, la sua terra di adozione: il padre infatti, essendo un ingegnere stradale, lavorava in Puglia, dove in seguito alla morte prematura della prima moglie, una bravissima e bellissima pianista, si risposò con una donna di Maglie, paese in provincia di Lecce. Maria Corti ebbe modo così di frequentare l’ambiente culturale salentino aderendo alla fondazione della rivista “L’Albero” del barone Girolamo Comi, un giornale letterario espressione dei componenti dell’Accademia Salentina, alla quale parteciparono gli intellettuali Michele Pierri, Oreste Macrì, Mario Marti, Salvatore Toma, Vittorio Pagano.
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