Papa Benedetto XVI è atterrato nella notte (ora italiana) all’aeroporto internazionale di Guanajuato. Un viaggio pastorale di sei giorni che lo condurrà anche sull’isola di Fidel
Città Nuova - «Vado per incoraggiare e per imparare, per confortare nella fede, nella speranza e nella carità». Così papa Benedetto XVI racconta lo stato d’animo con cui si sta preparando a questo 23° viaggio pastorale che per i prossimi 6 giorni lo porterà prima in Messico e poi a Cuba. E’ in aereo e sta parlando ai 72 rappresentanti della stampa internazionale che lo stanno accompagnando sul volo papale. Un volo di 14 ore che lo sta conducendo in Messico dove arriverà a notte fonda (per l’Italia) e ad attenderlo all’aeroporto internazionale di Guanajuato c’è il presidente del Messico Felipe Calderon.
Dunque il Messico, paese tristemente conosciuto per la violenza distruttiva del narcotraffico. Sebbene il presidente Calderon abbia lanciato una vasta azione di lotta, dal 2006 a metà 2011 la piaga del narcotraffico ha causato 50.000 morti negli scontri tra cartelli della droga e tra narcotrafficanti e le forze di sicurezza. Il narcotraffico ha ridotto il paese come uno dei più violenti e pericolosi al mondo. E’ qui in Messico che si concentrano le mafie del narcotraffico di tutto il mondo per un giro di affari che coinvolge 20 milioni di consumatori. «La droga - ha detto il Pontefice - distrugge l’uomo, distrugge soprattutto i giovani”. “È perciò necessario continuare ad annunciare Dio per farlo conoscere al mondo. Se non ha questa conoscenza, infatti, l’uomo si costruisce i suoi paradisi artificiali e non scopre la via della salvezza».
A cuore del Santo Padre ci sono anche la povertà e il divario sociale. L’America Latina è infatti attraversata da un’economia che concentra le sue ricchezze nelle mani di pochi a scapito di un numero crescente di poveri. A porre la domanda è una giornalista messicana di Televisa: «A volte sembra che la Chiesa cattolica non sia sufficientemente incoraggiata ad impegnarsi in questo campo. Si può continuare a parlare di “teologia della liberazione” in un modo positivo, dopo che certi eccessi – sul marxismo o la violenza – sono stati corretti?». «Naturalmente – risponde il Papa - , la Chiesa deve sempre chiedere se si fa a sufficienza per la giustizia sociale». Ma La Chiesa – fa subito notare Benedetto XVI – «non è un potere politico, non è un partito, ma è una realtà morale». «Si vede, in America Latina e anche altrove, presso in non pochi cattolici, una certa schizofrenia tra morale individuale e pubblica: nella sfera individuale sono cattolici credenti, ma nella vita pubblica si seguono altre strade che non rispondono ai grandi valori del Vangelo che sono necessari per la fondazione di una società giusta. E’ bene educare a superare questa schizofrenia».
E poi la domanda sul viaggio del Papa a Cuba. Viaggio atteso, carico di speranze. Sono ancora impresse nella memoria le parole di Giovanni Paolo II: «Che Cuba si apra al mondo e che il mondo si apra a Cuba». Sono passati 14 anni da quella storica visita di papa Wojtyla nell’isola di Fidel. «Mi sento in assoluta continuità con le parole del Santo Padre Giovanni Paolo II, che sono ancora attualissime – confida ai giornalisti papa Benedetto -. Con questa visita è stata inaugurata una strada di collaborazione e di dialogo costruttivo; una strada che è lunga e che esige pazienza, ma che va avanti. Oggi è evidente che la ideologia marxista com’era concepita non risponde più alla realtà». Un processo dunque che esige pazienza ma anche decisione.
«Con alegria, jubilo y fe, le recibimos». La scritta campeggia a tutto campo sui cartelli di benvenuto sparsi nelle città messicane. I numeri di questo viaggio papale sono da capogiro: sono attesi 500 mila pellegrini, duemila giornalisti di 500 testate di tutto il mondo, per stampa, radio, televisioni e web. E ancora: 15 mila invitati speciali per la messa al Parco del Bicentenario di domenica prossima. Il tutto sotto il controllo di almeno tremila fra agenti della polizia federale e militari. Le parole del cardinale Javier Lozano Barragán, sono chiare: andando in Messico il Papa abbraccia tutta l’America Latina, «non soltanto al popolo messicano, perché lui va specificatamente per celebrare il bicentenario dell’indipendenza di tutti i nostri popoli – 22 nazioni – e va per confermarci nella nostra identità e aprirci verso il futuro».
Città Nuova - «Vado per incoraggiare e per imparare, per confortare nella fede, nella speranza e nella carità». Così papa Benedetto XVI racconta lo stato d’animo con cui si sta preparando a questo 23° viaggio pastorale che per i prossimi 6 giorni lo porterà prima in Messico e poi a Cuba. E’ in aereo e sta parlando ai 72 rappresentanti della stampa internazionale che lo stanno accompagnando sul volo papale. Un volo di 14 ore che lo sta conducendo in Messico dove arriverà a notte fonda (per l’Italia) e ad attenderlo all’aeroporto internazionale di Guanajuato c’è il presidente del Messico Felipe Calderon.
Dunque il Messico, paese tristemente conosciuto per la violenza distruttiva del narcotraffico. Sebbene il presidente Calderon abbia lanciato una vasta azione di lotta, dal 2006 a metà 2011 la piaga del narcotraffico ha causato 50.000 morti negli scontri tra cartelli della droga e tra narcotrafficanti e le forze di sicurezza. Il narcotraffico ha ridotto il paese come uno dei più violenti e pericolosi al mondo. E’ qui in Messico che si concentrano le mafie del narcotraffico di tutto il mondo per un giro di affari che coinvolge 20 milioni di consumatori. «La droga - ha detto il Pontefice - distrugge l’uomo, distrugge soprattutto i giovani”. “È perciò necessario continuare ad annunciare Dio per farlo conoscere al mondo. Se non ha questa conoscenza, infatti, l’uomo si costruisce i suoi paradisi artificiali e non scopre la via della salvezza».
A cuore del Santo Padre ci sono anche la povertà e il divario sociale. L’America Latina è infatti attraversata da un’economia che concentra le sue ricchezze nelle mani di pochi a scapito di un numero crescente di poveri. A porre la domanda è una giornalista messicana di Televisa: «A volte sembra che la Chiesa cattolica non sia sufficientemente incoraggiata ad impegnarsi in questo campo. Si può continuare a parlare di “teologia della liberazione” in un modo positivo, dopo che certi eccessi – sul marxismo o la violenza – sono stati corretti?». «Naturalmente – risponde il Papa - , la Chiesa deve sempre chiedere se si fa a sufficienza per la giustizia sociale». Ma La Chiesa – fa subito notare Benedetto XVI – «non è un potere politico, non è un partito, ma è una realtà morale». «Si vede, in America Latina e anche altrove, presso in non pochi cattolici, una certa schizofrenia tra morale individuale e pubblica: nella sfera individuale sono cattolici credenti, ma nella vita pubblica si seguono altre strade che non rispondono ai grandi valori del Vangelo che sono necessari per la fondazione di una società giusta. E’ bene educare a superare questa schizofrenia».
E poi la domanda sul viaggio del Papa a Cuba. Viaggio atteso, carico di speranze. Sono ancora impresse nella memoria le parole di Giovanni Paolo II: «Che Cuba si apra al mondo e che il mondo si apra a Cuba». Sono passati 14 anni da quella storica visita di papa Wojtyla nell’isola di Fidel. «Mi sento in assoluta continuità con le parole del Santo Padre Giovanni Paolo II, che sono ancora attualissime – confida ai giornalisti papa Benedetto -. Con questa visita è stata inaugurata una strada di collaborazione e di dialogo costruttivo; una strada che è lunga e che esige pazienza, ma che va avanti. Oggi è evidente che la ideologia marxista com’era concepita non risponde più alla realtà». Un processo dunque che esige pazienza ma anche decisione.
«Con alegria, jubilo y fe, le recibimos». La scritta campeggia a tutto campo sui cartelli di benvenuto sparsi nelle città messicane. I numeri di questo viaggio papale sono da capogiro: sono attesi 500 mila pellegrini, duemila giornalisti di 500 testate di tutto il mondo, per stampa, radio, televisioni e web. E ancora: 15 mila invitati speciali per la messa al Parco del Bicentenario di domenica prossima. Il tutto sotto il controllo di almeno tremila fra agenti della polizia federale e militari. Le parole del cardinale Javier Lozano Barragán, sono chiare: andando in Messico il Papa abbraccia tutta l’America Latina, «non soltanto al popolo messicano, perché lui va specificatamente per celebrare il bicentenario dell’indipendenza di tutti i nostri popoli – 22 nazioni – e va per confermarci nella nostra identità e aprirci verso il futuro».
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