Lo aspettano oggi, 13 aprile 2012, i vecchi compagni, al cimitero di el-Alia, quello degli Eroi, il più romantico e retorico di Algeri. Subito dopo la preghiera, al mattino. Così l’Algeria renderà omaggio ad Ahmed Ben Bella, deceduto ieri all’età di 95 anni, molti dei quali passati ad essere un mito.
E-ilmensile -Ieri il presidente algerino Abdelaziz Bouteflika, assieme a tutti i papaveri della politica, della cultura e dello sport algerini, ha accompagnato la salma al Palazzo del Popolo della capitale algerina, dove è stata allestita la camera ardente. I più vecchi, tra loro, hanno combattuto con Ben Bella, per liberare l’Algeria da 150 anni di dominio francese. Lui, l’ex presidente, sarà onorato con otto giorni di lutto, perché il governo di Bouteflika ha voluto fare le cose in grande. E si capisce perché.
La sensazione, per molti, è che proprio nel 50° anniversario dell’indipendenza la morte di Ben Bella sia simbolica.
Come se con lui, domani, venisse sepolta l’epoca dei ‘padri della patria’, quei partigiani fieri che innamorarono il mondo interno. Ma che in alcuni casi, sono morti prima della data che verrà scritta sulla loro tomba, avendo cominciato a morire quando il regime del partito unico fu trasformato in una prigione che soffoca i sogni degli algerini.
Ahmed Ben Bella, primo presidente dopo l’indipendenza, era nato il 25 dicembre 1916, a Maghnia, nell’Algeria occidentale, da una famiglia di contadini originari del Marocco. Il sogno di un’Algeria libera e indipendente l’aveva pagato con otto anni di carcere, nonostante fosse stato mandato a combattere in Italia, con la divisa francese, come migliaia di maghrebini, in nome della libertà. Sopravvissuto alla battaglia di Monte Cassino, aveva sognato la fine del colonialismo. Nel novembre 1954 diventa quindi uno dei 22 leader storici del Fronte di Liberazione Nazionale (Fln), due anni dopo finisce in prigione, ma viene scarcerato nel 1962 appena firmati gli accordi per l’indipendenza dell’Algeria ad Evian.
Nelle lunge giornate in carcere, assieme a migliaia di compagni, immaginò la ricetta del socialismo autogestito, dipinto dei colori del nasserismo in Egitto, imbevuto della lotta anti imperialista. Leader di un paese non allineato, Ben Bella si sentiva vicino a Castro, Nasser, Nehru e Tito. In un pantheon di uomini divisi tra sogni, realtà e delusioni, a volte incoerenti, ma di sicuro irripetibili.
Oggi Bouteflika sfila per lui, ma proprio lui quando era giovane seguì Houari Boumedienne nel golpe del 19 giugno 1965 che sovvertì l’esito delle elezioni del16 settembre 1963, privando Ben Bella della presidenza e incarcerato per oltre 16 anni. Tra il 1965 e il 1969 nessuno poteva rivolgergli la parola e per sentire almeno il suono della propria voce l’ex presidente recitava i versetti del Corano, come ha raccontato lui stesso. La sua famiglia era convinta che la tattica degli ex compagni fosse di spingerlo al suicido. Nel 1980, Ben Bella viene graziato dal nuovo presidente algerino, Chadli Benjedid, il successore di Boumediene, ma fino al 1990 vive in esilio in Francia, scegliendo il Paese combattuto per anni, ma che non si era mai finto amico.
Nel 1999 torna nel villaggio natale e appoggia la politica di riconciliazione nazionale con gli islamisti, dopo i fiumi di sangue della guerra civile degli anni Novanta, perché un’Algeria divisa non la può sopportare, anche se questo ha significato l’impunità per i crimini commessi sia dai fondamentalisti che dai militari.
Mentre tutti i potenti lo saluteranno, con quell’incoerenza nota alla ragion di Stato, Ben Bella si porterà con sé il sogno di un’Africa libera e padrona del proprio destino. La primavera araba, in Algeria, è stata una brezza leggera, spazzata via dal terrore ancora vivo dei ricordi della guerra civile. Guadandosi intorno oggi, da consumato istrione quale era, Ben Bella sarebbe stato con ogni probabilità in piazza, da qualche parte. Per quel padre e quel figlio che proprio ieri si sono dati fuoco in Algeria, per chiedere un futuro di pane e dignità. Per le parole criminali di Nicholas Sarkozy che ancora oggi, nel 2012, in campagna elettorale dichiara che la Francia non ha nulla da rimproverarsi per il colonialismo. I motivi per lottare e per sognare non mancano, ma mancano forse i Ben Bella, anime contraddittorie di una stagione che non c’è più.
di Christian Elia
E-ilmensile -Ieri il presidente algerino Abdelaziz Bouteflika, assieme a tutti i papaveri della politica, della cultura e dello sport algerini, ha accompagnato la salma al Palazzo del Popolo della capitale algerina, dove è stata allestita la camera ardente. I più vecchi, tra loro, hanno combattuto con Ben Bella, per liberare l’Algeria da 150 anni di dominio francese. Lui, l’ex presidente, sarà onorato con otto giorni di lutto, perché il governo di Bouteflika ha voluto fare le cose in grande. E si capisce perché.
La sensazione, per molti, è che proprio nel 50° anniversario dell’indipendenza la morte di Ben Bella sia simbolica.
Come se con lui, domani, venisse sepolta l’epoca dei ‘padri della patria’, quei partigiani fieri che innamorarono il mondo interno. Ma che in alcuni casi, sono morti prima della data che verrà scritta sulla loro tomba, avendo cominciato a morire quando il regime del partito unico fu trasformato in una prigione che soffoca i sogni degli algerini.
Ahmed Ben Bella, primo presidente dopo l’indipendenza, era nato il 25 dicembre 1916, a Maghnia, nell’Algeria occidentale, da una famiglia di contadini originari del Marocco. Il sogno di un’Algeria libera e indipendente l’aveva pagato con otto anni di carcere, nonostante fosse stato mandato a combattere in Italia, con la divisa francese, come migliaia di maghrebini, in nome della libertà. Sopravvissuto alla battaglia di Monte Cassino, aveva sognato la fine del colonialismo. Nel novembre 1954 diventa quindi uno dei 22 leader storici del Fronte di Liberazione Nazionale (Fln), due anni dopo finisce in prigione, ma viene scarcerato nel 1962 appena firmati gli accordi per l’indipendenza dell’Algeria ad Evian.
Nelle lunge giornate in carcere, assieme a migliaia di compagni, immaginò la ricetta del socialismo autogestito, dipinto dei colori del nasserismo in Egitto, imbevuto della lotta anti imperialista. Leader di un paese non allineato, Ben Bella si sentiva vicino a Castro, Nasser, Nehru e Tito. In un pantheon di uomini divisi tra sogni, realtà e delusioni, a volte incoerenti, ma di sicuro irripetibili.
Oggi Bouteflika sfila per lui, ma proprio lui quando era giovane seguì Houari Boumedienne nel golpe del 19 giugno 1965 che sovvertì l’esito delle elezioni del16 settembre 1963, privando Ben Bella della presidenza e incarcerato per oltre 16 anni. Tra il 1965 e il 1969 nessuno poteva rivolgergli la parola e per sentire almeno il suono della propria voce l’ex presidente recitava i versetti del Corano, come ha raccontato lui stesso. La sua famiglia era convinta che la tattica degli ex compagni fosse di spingerlo al suicido. Nel 1980, Ben Bella viene graziato dal nuovo presidente algerino, Chadli Benjedid, il successore di Boumediene, ma fino al 1990 vive in esilio in Francia, scegliendo il Paese combattuto per anni, ma che non si era mai finto amico.
Nel 1999 torna nel villaggio natale e appoggia la politica di riconciliazione nazionale con gli islamisti, dopo i fiumi di sangue della guerra civile degli anni Novanta, perché un’Algeria divisa non la può sopportare, anche se questo ha significato l’impunità per i crimini commessi sia dai fondamentalisti che dai militari.
Mentre tutti i potenti lo saluteranno, con quell’incoerenza nota alla ragion di Stato, Ben Bella si porterà con sé il sogno di un’Africa libera e padrona del proprio destino. La primavera araba, in Algeria, è stata una brezza leggera, spazzata via dal terrore ancora vivo dei ricordi della guerra civile. Guadandosi intorno oggi, da consumato istrione quale era, Ben Bella sarebbe stato con ogni probabilità in piazza, da qualche parte. Per quel padre e quel figlio che proprio ieri si sono dati fuoco in Algeria, per chiedere un futuro di pane e dignità. Per le parole criminali di Nicholas Sarkozy che ancora oggi, nel 2012, in campagna elettorale dichiara che la Francia non ha nulla da rimproverarsi per il colonialismo. I motivi per lottare e per sognare non mancano, ma mancano forse i Ben Bella, anime contraddittorie di una stagione che non c’è più.
di Christian Elia
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