Dalla relazione di Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, al Convegno delle Presidenze diocesane di AC "Esperti in umanità"
«Quando si parla di “profezia del Concilio”, si parla di un evento capace di esprimere la Parola di Dio. Nulla di più. Il Concilio è essenzialmente questo, il Vangelo ridetto, un’Epifania del Vangelo voluto dallo Spirito Santo e dai pastori che ne sono stati protagonisti. La Parola di Dio è sempre Parola, non c’è rottura o discontinuità. Ma ciò che il Concilio aveva capito è che la Parola ci chiede dialogo, dialogos. È una parola che ci attraversa. Dialogo con Dio, con l’uomo, con i cristiani, con le altre religioni, con i non credenti».«Il Concilio ha aperto l’orizzonto sull’uomo. Da una Chiesa arroccata e intransigente, a una Chiesa che guarda all’uomo con estrema simpatia. I veri tradimenti nel post-Concilio si dovrebbero misurare su ciò: nella incapacità di vedere l’uomo così come lo ha voluto vedere il Concilio. Se noi avessimo questa visione neo testamentaria capiremo l’uomo come parte di Dio; perché Dio aveva bisogno di un uomo con il quale partecipare l’amore al di fuori di sé. Insomma, il Concilio è un bagno dentro le acque calde del dialogo, del sorriso, della speranza, dell’umanità partecipe delle difficoltà e delle bellezze del mondo».
«Il Concilio è un’eredità da vivere nella storia, con gli uomini di ogni mondo e latitudine. Perché, come dice mons. Simon Ntamwana, “Dio non conosce solo il latino”, ma per fortuna, conosce le nostre lingue, le lingue del mondo. Dialogare e incontrare questo mondo è compito dei laici e di una Chiesa istituzione che guarda al futuro con speranza e sorriso».
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