Imparare dalla storia per costruire un futuro migliore.
Radio Vaticana - A 18 anni dal genocidio dei tutsi in Rwanda, è questo il messaggio che i sopravvissuti hanno voluto trasmettere, vista anche la coincidenza con la festività pasquale, nel corso di un incontro che si è svolto a Roma per ricordare le oltre 800.000 vittime. Un messaggio di rinascita e di speranza non solo per il popolo ruandese, ma per tutta la comunità internazionale. Il servizio di Irene Pugliese: ascolta
“Avevo 12, 13 anni mi sembrava un incubo. Mi sembra ieri che sia successo tutto. Il 7 aprile penso alla mia famiglia: in quel solo giorno ho perso 22 persone”.
Il ricordo di quel 6 aprile 1994, quando iniziò il genocidio dei tutsi in Rwanda, è ancora drammaticamente vivo per chi da quel massacro è sopravvissuto, come Betty e Honorine.
Sono passati 18 anni, la Pasqua allora era trascorsa da 3 giorni. Ed è proprio la vicinanza con la festività Pasquale a fornire l’occasione per riflettere su come da questa tragedia si sia riusciti comunque ad andare avanti, come spiega Michela Fusaschi, docente di Antropologia culturale presso la terza Università di Roma:
“Le iniziative locali delle donne o dei giovani che sono rimasti da soli, orfani, è quello di unirsi insieme. Sta rinascendo la vita, nel senso che 18 anni sono tanti per alcuni, sono pochi per altri, però 18 anni da questa tragedia significa trovare il modo di uscire da una tragedia. Se noi pensiamo alla modalità con cui è stata fatta, forse la ricostruzione, la riconciliazione, non sono vicinissime, ma ci si prova”.
Insieme a Betty e Honorine, molti altri bambini sono rimasti orfani e hanno dovuto fare i conti con le loro perdite. Ma non sono rimasti soli: Alcuni giovani studenti ed ex studenti scampati al Genocidio hanno creato due Associazioni a supporto dei sopravvissuti in Rwanda: l’AERG ed il GAERG: Famiglie artificiali composte da un padre, una madre, zii, e bambini; veri e propri neo-nuclei familiari, che sostituiscono le vecchie famiglie biologiche decimate nel 1994. Un modo dunque per incoraggiare i membri a darsi coraggio, per incitare allo spirito di compassione e di solidarietà in una società che sta tentando di risollevarsi.
Radio Vaticana - A 18 anni dal genocidio dei tutsi in Rwanda, è questo il messaggio che i sopravvissuti hanno voluto trasmettere, vista anche la coincidenza con la festività pasquale, nel corso di un incontro che si è svolto a Roma per ricordare le oltre 800.000 vittime. Un messaggio di rinascita e di speranza non solo per il popolo ruandese, ma per tutta la comunità internazionale. Il servizio di Irene Pugliese: ascolta
“Avevo 12, 13 anni mi sembrava un incubo. Mi sembra ieri che sia successo tutto. Il 7 aprile penso alla mia famiglia: in quel solo giorno ho perso 22 persone”.
Il ricordo di quel 6 aprile 1994, quando iniziò il genocidio dei tutsi in Rwanda, è ancora drammaticamente vivo per chi da quel massacro è sopravvissuto, come Betty e Honorine.
Sono passati 18 anni, la Pasqua allora era trascorsa da 3 giorni. Ed è proprio la vicinanza con la festività Pasquale a fornire l’occasione per riflettere su come da questa tragedia si sia riusciti comunque ad andare avanti, come spiega Michela Fusaschi, docente di Antropologia culturale presso la terza Università di Roma:
“Le iniziative locali delle donne o dei giovani che sono rimasti da soli, orfani, è quello di unirsi insieme. Sta rinascendo la vita, nel senso che 18 anni sono tanti per alcuni, sono pochi per altri, però 18 anni da questa tragedia significa trovare il modo di uscire da una tragedia. Se noi pensiamo alla modalità con cui è stata fatta, forse la ricostruzione, la riconciliazione, non sono vicinissime, ma ci si prova”.
Insieme a Betty e Honorine, molti altri bambini sono rimasti orfani e hanno dovuto fare i conti con le loro perdite. Ma non sono rimasti soli: Alcuni giovani studenti ed ex studenti scampati al Genocidio hanno creato due Associazioni a supporto dei sopravvissuti in Rwanda: l’AERG ed il GAERG: Famiglie artificiali composte da un padre, una madre, zii, e bambini; veri e propri neo-nuclei familiari, che sostituiscono le vecchie famiglie biologiche decimate nel 1994. Un modo dunque per incoraggiare i membri a darsi coraggio, per incitare allo spirito di compassione e di solidarietà in una società che sta tentando di risollevarsi.
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