Dilaga anche in Italia il fenomeno delle “latin gangs” composte dai numerosi adolescenti in cerca di un’identità
di Paola Bisconti
A vederli girovagare nella metropolitana di Milano sembrerebbero dei ragazzini solo un po’ stravaganti, vestiti in stile “ecuayorka”, con indosso catene, bracciali e croci, ma dai loro cappellini, dal tipo di saluto o dal tatuaggio si possono riconoscere e distinguere: appartengono alle “pandillas”, le latin gangs, hanno poco più di 16 anni, sanno maneggiare un machete e sono in grado di intimidire il nemico con il “muelà”, un coltello. Spesso vanno oltre minacce, furti e rapine: hanno infatti compiuto anche degli omicidi.
Solo nel capoluogo lombardo si contano 15 “pandillas” attive che vedono 2500 affiliati, ma il fenomeno è dilagato anche a Genova, Roma e Napoli. Tutti fanno riferimento al “Rey”, il capo supremo, e alla “Queen”, la compagna del capo: i due leader selezionano i loro collaboratori che compilano persino un modulo di iscrizione e vengono poi sottoposti a dei veri e propri riti di iniziazione che prevedono delle cinghiate per le donne e delle violenti percosse al ragazzo di turno che deve saper dimostrare di resistere al dolore.
La vera sofferenza che accomuna questi ragazzi è lo stato di abbandono che avvertono da parte della propria famiglia d’origine: vivono disadattati a causa dell’assenza dei genitori che lavorano tutto il giorno lasciandoli allo sbando, così a costo di identificarsi in un gruppo scelgono quello sbagliato. Le cosiddette cattive compagnie esaltano l’adepto fino a farlo sentire invincibile propinandogli dell’alcool e garantendogli sesso durante le numerose feste organizzate dal “rey”, che stabilisce anche il costo d’ingresso: ogni party prevede per i 200 membri una quota di 4 euro che consente l’accesso a due incontri settimanali. L’incasso è abbastanza alto se si aggiunge anche l’introito dei furti, dello spaccio di cocaina e del traffico di armi che il leader intasca. Le latin gang sono composte soprattutto dai figli degli immigrati sudamericani, ma sono presenti anche filippini, nordafricani e italiani: per loro la “pandilla” è una famiglia, l’unione con le gang è superiore al legame di sangue.
A Milano si distinguono in “Flow”, “Luzbel” e “Forever”, tutte gang ecuadoriane che controllano la zona di Sesto San Giovanni, Monza e il parco Trotter; insieme ai “Trinitarios”, che provengono dalla Repubblica Domenicana, fanno parte della “Latin King New York”, che con la collaborazione della “Latin King Chicago” sorveglia il Duomo di Milano, conteso però anche dagli “MS 13” e gli “MS 18”. In realtà i “Mara Salvatrucha” già si occupano della zona nord che va da Certosa a Maciachini, ma il centro è senza dubbio il luogo più ambito. I “Blood Revolution”, ossia coloro che “hanno la rivoluzione nel sangue”, si riconoscono con il simbolo del trifoglio e si chiamano “Los Brothers” o “Trebol” e gestiscono l’area sud, ovvero Corsico e Rozzano, mentre i “Neta” circolano nel Largo Marinai d’Italia.
Tutto è studiato e nulla è lasciato al caso: gli appartenenti alle “pandillas” ostentano sicurezza perché ingeriscono sostanze stupefacenti, sniffano la colla, si ubriacano; si paragonano ai piranhas, i pesci di acqua dolce che sembrano innocui e invece sono molto feroci; chi osa abbandonare la gang rischia la morte, chi prova a disubbidire alle regole interne viene punito; sono dei combattenti abituati a farsi giustizia da sé, credono di essere invincibili.
A peggiorare la situazione è il numero ridotto delle denunce verso tali gruppi, forse per paura di ritorsioni, che non consentono alle forze dell’ordine di bloccare tempestivamente le azioni illecite dei criminali. Tuttavia dopo il 7 giugno del 2009, data in cui è stato assassinato davanti ad un locale di Milano David Betancourt, un ventiseienne ecuadoriano, è scattata un’inchiesta che ha permesso di debellare già due gang, quelle dei “Commando” e dei “Danger”.
di Paola Bisconti
A vederli girovagare nella metropolitana di Milano sembrerebbero dei ragazzini solo un po’ stravaganti, vestiti in stile “ecuayorka”, con indosso catene, bracciali e croci, ma dai loro cappellini, dal tipo di saluto o dal tatuaggio si possono riconoscere e distinguere: appartengono alle “pandillas”, le latin gangs, hanno poco più di 16 anni, sanno maneggiare un machete e sono in grado di intimidire il nemico con il “muelà”, un coltello. Spesso vanno oltre minacce, furti e rapine: hanno infatti compiuto anche degli omicidi.
Solo nel capoluogo lombardo si contano 15 “pandillas” attive che vedono 2500 affiliati, ma il fenomeno è dilagato anche a Genova, Roma e Napoli. Tutti fanno riferimento al “Rey”, il capo supremo, e alla “Queen”, la compagna del capo: i due leader selezionano i loro collaboratori che compilano persino un modulo di iscrizione e vengono poi sottoposti a dei veri e propri riti di iniziazione che prevedono delle cinghiate per le donne e delle violenti percosse al ragazzo di turno che deve saper dimostrare di resistere al dolore.
La vera sofferenza che accomuna questi ragazzi è lo stato di abbandono che avvertono da parte della propria famiglia d’origine: vivono disadattati a causa dell’assenza dei genitori che lavorano tutto il giorno lasciandoli allo sbando, così a costo di identificarsi in un gruppo scelgono quello sbagliato. Le cosiddette cattive compagnie esaltano l’adepto fino a farlo sentire invincibile propinandogli dell’alcool e garantendogli sesso durante le numerose feste organizzate dal “rey”, che stabilisce anche il costo d’ingresso: ogni party prevede per i 200 membri una quota di 4 euro che consente l’accesso a due incontri settimanali. L’incasso è abbastanza alto se si aggiunge anche l’introito dei furti, dello spaccio di cocaina e del traffico di armi che il leader intasca. Le latin gang sono composte soprattutto dai figli degli immigrati sudamericani, ma sono presenti anche filippini, nordafricani e italiani: per loro la “pandilla” è una famiglia, l’unione con le gang è superiore al legame di sangue.
A Milano si distinguono in “Flow”, “Luzbel” e “Forever”, tutte gang ecuadoriane che controllano la zona di Sesto San Giovanni, Monza e il parco Trotter; insieme ai “Trinitarios”, che provengono dalla Repubblica Domenicana, fanno parte della “Latin King New York”, che con la collaborazione della “Latin King Chicago” sorveglia il Duomo di Milano, conteso però anche dagli “MS 13” e gli “MS 18”. In realtà i “Mara Salvatrucha” già si occupano della zona nord che va da Certosa a Maciachini, ma il centro è senza dubbio il luogo più ambito. I “Blood Revolution”, ossia coloro che “hanno la rivoluzione nel sangue”, si riconoscono con il simbolo del trifoglio e si chiamano “Los Brothers” o “Trebol” e gestiscono l’area sud, ovvero Corsico e Rozzano, mentre i “Neta” circolano nel Largo Marinai d’Italia.
Tutto è studiato e nulla è lasciato al caso: gli appartenenti alle “pandillas” ostentano sicurezza perché ingeriscono sostanze stupefacenti, sniffano la colla, si ubriacano; si paragonano ai piranhas, i pesci di acqua dolce che sembrano innocui e invece sono molto feroci; chi osa abbandonare la gang rischia la morte, chi prova a disubbidire alle regole interne viene punito; sono dei combattenti abituati a farsi giustizia da sé, credono di essere invincibili.
A peggiorare la situazione è il numero ridotto delle denunce verso tali gruppi, forse per paura di ritorsioni, che non consentono alle forze dell’ordine di bloccare tempestivamente le azioni illecite dei criminali. Tuttavia dopo il 7 giugno del 2009, data in cui è stato assassinato davanti ad un locale di Milano David Betancourt, un ventiseienne ecuadoriano, è scattata un’inchiesta che ha permesso di debellare già due gang, quelle dei “Commando” e dei “Danger”.
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Sono presenti 2 commenti
funzionano quindi come le sette...
se lafamiglia non fosse assente, forse queste gang violente non si formerebbero......
di zona non ne avete azzeccata una i king i 18 e i danger (che ora non ci sono piu') stanno in via padova dove c'e il trotter gli MS-13 a macciachini e in centro non ci sta un cazzo di nessuno
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