A meno di un cambiamento repentino nell’approccio dei governi dei due Sudan, i pozzi di petrolio dell’area contesa di Heglig rischiano di innescare un nuovo conflitto su larga scala: lo dice alla MISNA Andrew Asamoah, esperto dell’Istituto per gli studi sulla sicurezza, uno dei think tank più noti a sud del Sahara.
Misna - Asamoah parla con la MISNA da Nairobi, mentre le agenzie di stampa rilanciano le ultime dichiarazioni dei presidenti Omar Hassan al Bashir e Salva Kiir Mayardit. Entrambi sostengono di volere la pace ma ribadiscono che i loro eserciti non faranno passi indietro. Poche ore fa l’aviazione di Khartoum ha effettuato bombardamenti alla periferia di Bentiu, il capoluogo di una delle dieci regioni del Sud Sudan.
Dottor Asamoah, l’Unione Africana ha chiesto a Juba di ritirare i suoi soldati dai pozzi di Heglig. Come andrà a finire?
“Il Sud Sudan si trova tra l’incudine e il martello. Si rifà alla demarcazione delle frontiere del 1956, lasciata in eredità dai colonizzatori inglesi. Quelle mappe dicono che Heglig fa parte del Sud e ora Juba ha difficoltà a fare marcia indietro. Le ultime dichiarazioni del presidente Kiir si spiegano anche con l’incertezza per ciò che accadrebbe nell’area una volta ritirate le truppe. Il Sudan controlla Heglig dagli anni ’70, quando furono scoperti i giacimenti di petrolio. Il ritorno a quello status quo sarebbe doloroso per Juba”.
Ieri però l’Unione Africana ha denunciato l’occupazione di Heglig…
“È vero, e la posizione di Addis Abeba ha un suo peso. Finora il Sud Sudan aveva sempre avuto il sostegno dell’Unione Africana e di gran parte della comunità internazionale. Non era mai stato accusato di non rispettare gli accordi. Per questo dico che Juba si trova tra l’incudine e il martello: o perde i pozzi o rischia di perdere un appoggio esterno del quale non può fare a meno”.
E il Sudan? Cosa farà?
“Dopo il luglio scorso, con l’indipendenza del Sud, Khartoum ha perso il 75% dei suoi proventi petroliferi. Se non dovesse riprendere il controllo di Heglig direbbe addio anche a una buona parte di quel restante 25%. Per l’economia e il governo sudanese sarebbe un colpo durissimo, l’ennesimo”.
Come può essere scongiurato il ritorno a un conflitto su vasta scala, solo sette anni dopo la fine della guerra civile?
“La comunità internazionale e l’Unione Africana devono spingere affinché Heglig, proprio come la vicina regione di Abyei, sia dichiarata zona contesa. Su queste basi dovrebbe essere avviata una trattativa o un arbitrato. Si potrebbe arrivare all’invio di una forza di peacekeeping internazionale. Ma perché questo avvenga le pressioni dall’esterno non bastano. A decidere sono i governi dei due Sudan. Finora hanno fatto scelte pericolose, senza rendersi conto che destabilizzare il paese vicino significa destabilizzare se stessi”.
Misna - Asamoah parla con la MISNA da Nairobi, mentre le agenzie di stampa rilanciano le ultime dichiarazioni dei presidenti Omar Hassan al Bashir e Salva Kiir Mayardit. Entrambi sostengono di volere la pace ma ribadiscono che i loro eserciti non faranno passi indietro. Poche ore fa l’aviazione di Khartoum ha effettuato bombardamenti alla periferia di Bentiu, il capoluogo di una delle dieci regioni del Sud Sudan.
Dottor Asamoah, l’Unione Africana ha chiesto a Juba di ritirare i suoi soldati dai pozzi di Heglig. Come andrà a finire?
“Il Sud Sudan si trova tra l’incudine e il martello. Si rifà alla demarcazione delle frontiere del 1956, lasciata in eredità dai colonizzatori inglesi. Quelle mappe dicono che Heglig fa parte del Sud e ora Juba ha difficoltà a fare marcia indietro. Le ultime dichiarazioni del presidente Kiir si spiegano anche con l’incertezza per ciò che accadrebbe nell’area una volta ritirate le truppe. Il Sudan controlla Heglig dagli anni ’70, quando furono scoperti i giacimenti di petrolio. Il ritorno a quello status quo sarebbe doloroso per Juba”.
Ieri però l’Unione Africana ha denunciato l’occupazione di Heglig…
“È vero, e la posizione di Addis Abeba ha un suo peso. Finora il Sud Sudan aveva sempre avuto il sostegno dell’Unione Africana e di gran parte della comunità internazionale. Non era mai stato accusato di non rispettare gli accordi. Per questo dico che Juba si trova tra l’incudine e il martello: o perde i pozzi o rischia di perdere un appoggio esterno del quale non può fare a meno”.
E il Sudan? Cosa farà?
“Dopo il luglio scorso, con l’indipendenza del Sud, Khartoum ha perso il 75% dei suoi proventi petroliferi. Se non dovesse riprendere il controllo di Heglig direbbe addio anche a una buona parte di quel restante 25%. Per l’economia e il governo sudanese sarebbe un colpo durissimo, l’ennesimo”.
Come può essere scongiurato il ritorno a un conflitto su vasta scala, solo sette anni dopo la fine della guerra civile?
“La comunità internazionale e l’Unione Africana devono spingere affinché Heglig, proprio come la vicina regione di Abyei, sia dichiarata zona contesa. Su queste basi dovrebbe essere avviata una trattativa o un arbitrato. Si potrebbe arrivare all’invio di una forza di peacekeeping internazionale. Ma perché questo avvenga le pressioni dall’esterno non bastano. A decidere sono i governi dei due Sudan. Finora hanno fatto scelte pericolose, senza rendersi conto che destabilizzare il paese vicino significa destabilizzare se stessi”.
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