La frase del giorno è “gli investigatori brancolano nel buio” e l’inchiesta sulla bomba esplosa nella mattina di sabato davanti alla scuola Morvillo-Falcone di Brindisi procede a piccoli passi, in attesa di trovare una direzione da intraprendere
E-il mensile - Mentre si vaglia anche una – improbabile – pista passionale e si controllano sempre più da vicino i traffici sull’asse Cosa Nostra-Sacra Corona Unita, gli inquirenti starebbero pensando anche, con un occhio al passato dell’Italia, all’ipotesi più inquietante di tutte, quella che porta dritta alle frange deviate dello Stato, interessate a costruire un clima di tensione crescente nel paese. Un ritorno in grande stile della Strategia della tensione? Secondo gli investigatori è presto per dirlo, anche se gli elementi che portano lì, alla parte più paludosa della storia repubblicana, sono molti e aumentano di ora in ora. La prima spia è data dalle dichiarazioni del ministro degli Interni Cancellieri e del pm Motta, che dubitano si tratti di un attentato mafioso.
Poi, va considerato seriamente lo scenario della strage: una scuola piena di ragazzi. Una bomba in un posto del genere può causare una sola reazione tra la gente: lo sdegno. Non c’è logica politica che tenga, non si vede interesse strategico da parte di una qualche associazione criminale o terrorista, non c’è motivo per uccidere dei minorenni che vanno a scuola. E questo sentimento diffuso di orrore per quanto successo – politicamente – aiuta chi sta al potere a consolidare il suo consenso. La paura è il migliore strumento di propaganda, questa è una delle lezioni degli Anni di piombo. Una lezione che sembra tornare tremendamente di attualità in queste ore.
Altra circostanza che gli investigatori ritengono ben strana riguarda lo sfondo della vicenda: a Brindisi stava arrivando la Carovana Antimafia e a breve verrà celebrata proprio la giornata delle vittime di mafia, in concomitanza con l’anniversario della Strage di Capaci. Uno scenario ‘perfetto’ per indirizzare i sospetti verso la criminalità organizzata. Per fare un parallelo, anche a Genova – con la gambizzazione di Roberto Adinolfi - tutti gli elementi riportavano talmente bene che la pista anarcoinsurrezionalista è emersa già dalle prime ore. Una scenografia quasi cinematografica, perfetta perché si cominci subito a guardare verso una direzione ben precisa. In effetti, è curioso notare come dopo anni di sostanziale inattività, nel giro di dieci giorni siano tornate a farsi sentire in modo così rumoroso gli anarcoinsurrezionalisti e la mafia, i due nemici pubblici per definizione.
Così, per il momento, chi indaga si limita a parlare di “analogie”, di “circostanze che ricordano il passato”, senza ancora sbilanciarsi troppo. Ma l’ipotesi che in maniera incredibilmente veloce e inquietante che si sta facendo spazio tra i pensieri degli inquirenti, conduce ai territori di confine dello Stato, quella sottile linea tratteggiata nei decenni che coinvolge servizi segreti deviati, terroristi neri, massoneria e mafia. Una zona al limite, fatta di trattative, di accordi sottobanco, di strategie segrete e di – tanto, tantissimo – terrore.
di Mario Di Vito
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