Nel 1990 il mondo era molto diverso. Esisteva ancora l’Urss, anche se stava per crollare, come il muro di Berlino l’anno prima. Saddam Hussein era ancora un alleato di Washington e le primavere del mondo arabo erano popolate di speranze soffocate. Lo Yemen era diviso in due stati: lo Yemen del Nord e quello del Sud.
E-ilmensile - Tutto era nato, nel 1971, con il processo di decolonizzazione britannica. Lo stato del Nord, filo occidentale, e quello del Sud, marxista e filo sovietico, si sono fatti anche la guerra, per procura, come accadeva in tante altre parti nel mondo della Guerra Fredda. Poi, nel 1990, tutto cambia, e attorno alla leadership di Abdullah Saleh, i paesi si riunificano. Oggi, ventidue anni dopo, c’è poco da festeggiare. Ieri, 23 maggio, i combattimenti nello Yemen meridionale tra esercito e miliziani integralisti vicini ad al-Qaeda hanno causato la morte di almeno 28 persone nella città di Zinjibar. L’esercito ha lanciato un’offensiva nel tentativo di riprendere le posizioni a nord-est della città, capitale della provincia di Abyan, caduta in mano ai combattenti di al-Qaeda da quasi un anno. Dall’inizio delle operazioni il 12 maggio sono morte 262 persone: 180 membri di al-Qaeda, 47 soldati, 18 ausiliari e 17 civili.
Un bel reportage di Ghaith Abdul-Ahad, pubblicato dal Guardian, racconta una realtà surreale. Alcune zone del Paese, bandiere nere al vento, sono nelle mani dei miliziani e dei predicatori di al-Qaeda nella Penisola Araba (Aqba), filiale del network di Osama bin Laden. La legge, i servizi pubblici, l’ordine: tutto gestito dalla sharia nella sua forma più aggressiva.
Un caos seguito alla caduta, dopo trenta anni, del regime di Saleh? No, non solo. Saleh è stato deposto, altro frutto maturo delle rivolte arabe, il 27 febbraio 2012, dopo un anno di proteste e una dura repressione costata la vita a migliaia di persone. Saleh, scampato a un attentato nel palazzo presidenziale il 2 giugno 2011, ha ottenuto la protezione degli Usa, l’immunità e ha passato i poteri a Abde Rabbo Mansur Hadi. Vecchio sodale di Saleh, Hadi è un uomo di garanzia per Washington e Riad, molto attenta a quello che accade nel Paese confinante.
La situazione, però, resta fuori controllo. Un elemento utile a capire quanto sia grave la condizione del Paese è l’attentato del 21 maggio scorso che ha colpito una parata militare nella capitale Sanaa : 96 morti e 300 feriti. Non nelle lontane periferie del Paese, ma nel cuore della capitale dello Yemen.
Il presidente Usa, Barack Obama, si è detto soddisfatto dei ”grandi progressi ottenuti negli ultimi anni nella lotta contro al-Qaeda in Afghanistan, ma sono molto preoccupato per l’attività del gruppo terroristico in Yemen”.
Paese nel quale gli Usa, dopo l’attentato alla nave militare statunitense Uss Cole, hanno investito milioni di dollari nella formazione dell’esercito, poi nel lavoro di intelligence, infine nella guerra con i droni. Ma ucciso Anwar al-Awlaki, eminenza grigia di al-Qaeda in Yemen, resta molto forte l’organizzazione in un Paese dove non si è investito in nulla altro.
La Commissione Ue, nel giorno dell’attentato a Sanaa, ha deciso di stanziare 5 milioni di euro di aiuti supplementari per combattere la sempre più grave crisi alimentare che ha colpito lo Yemen. ”La crisi in Yemen sta passando da brutta a disperata”, ha affermato la commissaria Ue alla gestione delle crisi, Kristalina Georgieva, sottolineando che la decisione di Bruxelles a favore della popolazione yemenita non è dovuta solo all’obiettivo di ”evitare la malnutrizione, ma anche perché la fame e la sofferenza possono solo destabilizzare la fragile transizione in corso. Quindi ignorare questo porterebbe a rischi tremendi per la regione e il mondo”.
L’Arabia Saudita ha convocato a Riad una conferenza internazionale per lo Yemen, preoccupata come è più degli sciiti – finanziati dall’Iran – che da al-Qaeda, con la quale i sauditi sono sempre ambigui.
Resta un dato: in Yemen il 44 per cento della popolazione – secondo le Nazioni Unite – vive con razioni alimentari insufficienti, mentre cresce il numero di sfollati in provenienza dal Corno d’Africa, aggravando così una già difficile situazione dovuta al peggiorare della crisi economica.
Lo Yemen, tra un po’, rischia di essere uno spettro. I fondi sono indirizzati alla lotta agli sciiti dei sauditi, alla lotta ad al-Qaeda degli Usa, la primavera yemenita ha scacciato Saleh, ma non è riuscita a farsi protagonista del suo futuro. Buon compleanno, Yemen, anche se c’è poco da festeggiare.
E-ilmensile - Tutto era nato, nel 1971, con il processo di decolonizzazione britannica. Lo stato del Nord, filo occidentale, e quello del Sud, marxista e filo sovietico, si sono fatti anche la guerra, per procura, come accadeva in tante altre parti nel mondo della Guerra Fredda. Poi, nel 1990, tutto cambia, e attorno alla leadership di Abdullah Saleh, i paesi si riunificano. Oggi, ventidue anni dopo, c’è poco da festeggiare. Ieri, 23 maggio, i combattimenti nello Yemen meridionale tra esercito e miliziani integralisti vicini ad al-Qaeda hanno causato la morte di almeno 28 persone nella città di Zinjibar. L’esercito ha lanciato un’offensiva nel tentativo di riprendere le posizioni a nord-est della città, capitale della provincia di Abyan, caduta in mano ai combattenti di al-Qaeda da quasi un anno. Dall’inizio delle operazioni il 12 maggio sono morte 262 persone: 180 membri di al-Qaeda, 47 soldati, 18 ausiliari e 17 civili.
Un bel reportage di Ghaith Abdul-Ahad, pubblicato dal Guardian, racconta una realtà surreale. Alcune zone del Paese, bandiere nere al vento, sono nelle mani dei miliziani e dei predicatori di al-Qaeda nella Penisola Araba (Aqba), filiale del network di Osama bin Laden. La legge, i servizi pubblici, l’ordine: tutto gestito dalla sharia nella sua forma più aggressiva.
Un caos seguito alla caduta, dopo trenta anni, del regime di Saleh? No, non solo. Saleh è stato deposto, altro frutto maturo delle rivolte arabe, il 27 febbraio 2012, dopo un anno di proteste e una dura repressione costata la vita a migliaia di persone. Saleh, scampato a un attentato nel palazzo presidenziale il 2 giugno 2011, ha ottenuto la protezione degli Usa, l’immunità e ha passato i poteri a Abde Rabbo Mansur Hadi. Vecchio sodale di Saleh, Hadi è un uomo di garanzia per Washington e Riad, molto attenta a quello che accade nel Paese confinante.
La situazione, però, resta fuori controllo. Un elemento utile a capire quanto sia grave la condizione del Paese è l’attentato del 21 maggio scorso che ha colpito una parata militare nella capitale Sanaa : 96 morti e 300 feriti. Non nelle lontane periferie del Paese, ma nel cuore della capitale dello Yemen.
Il presidente Usa, Barack Obama, si è detto soddisfatto dei ”grandi progressi ottenuti negli ultimi anni nella lotta contro al-Qaeda in Afghanistan, ma sono molto preoccupato per l’attività del gruppo terroristico in Yemen”.
Paese nel quale gli Usa, dopo l’attentato alla nave militare statunitense Uss Cole, hanno investito milioni di dollari nella formazione dell’esercito, poi nel lavoro di intelligence, infine nella guerra con i droni. Ma ucciso Anwar al-Awlaki, eminenza grigia di al-Qaeda in Yemen, resta molto forte l’organizzazione in un Paese dove non si è investito in nulla altro.
La Commissione Ue, nel giorno dell’attentato a Sanaa, ha deciso di stanziare 5 milioni di euro di aiuti supplementari per combattere la sempre più grave crisi alimentare che ha colpito lo Yemen. ”La crisi in Yemen sta passando da brutta a disperata”, ha affermato la commissaria Ue alla gestione delle crisi, Kristalina Georgieva, sottolineando che la decisione di Bruxelles a favore della popolazione yemenita non è dovuta solo all’obiettivo di ”evitare la malnutrizione, ma anche perché la fame e la sofferenza possono solo destabilizzare la fragile transizione in corso. Quindi ignorare questo porterebbe a rischi tremendi per la regione e il mondo”.
L’Arabia Saudita ha convocato a Riad una conferenza internazionale per lo Yemen, preoccupata come è più degli sciiti – finanziati dall’Iran – che da al-Qaeda, con la quale i sauditi sono sempre ambigui.
Resta un dato: in Yemen il 44 per cento della popolazione – secondo le Nazioni Unite – vive con razioni alimentari insufficienti, mentre cresce il numero di sfollati in provenienza dal Corno d’Africa, aggravando così una già difficile situazione dovuta al peggiorare della crisi economica.
Lo Yemen, tra un po’, rischia di essere uno spettro. I fondi sono indirizzati alla lotta agli sciiti dei sauditi, alla lotta ad al-Qaeda degli Usa, la primavera yemenita ha scacciato Saleh, ma non è riuscita a farsi protagonista del suo futuro. Buon compleanno, Yemen, anche se c’è poco da festeggiare.
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