Per commemorare il 34° anniversario della morte di Aldo Moro e gli avvenimenti legati a quel periodo è opportuno ricordare il giornalista Carlo Rivolta, che con uno stile personalissimo ha raccontato alcune delle pagine più importanti della storia d’Italia
Quando il 20 ottobre del 1949 Lilli Chidichimo diede alla luce Carlo Rivolta non avrebbe potuto immaginare che suo figlio sarebbe stato un personaggio indimenticabile nella storia del giornalismo italiano, né tantomeno avrebbe potuto prevedere la morte precoce di Carlo avvenuta a soli 30 anni, il 16 febbraio del 1982, in seguito ad una crisi di astinenza dovuta alla dipendenza dall’eroina.
Nonostante Carlo Rivolta sia nato e vissuto a Roma, nelle sue vene scorreva sangue calabrese, come quello della madre, originaria di Trebisacce. E forse proprio le origini meridionali hanno permesso a Carlo di osservare dal “basso” i fatti che si susseguirono nel decennio degli “anni di piombo” e per questo di scrivere le cronache della strada schierandosi dalla parte dei più deboli. Rivolta fu una delle prime penne del quotidiano la “Repubblica”, appena fondato da Eugenio Scalfari, e si distinse per le sue doti di eccellente giornalista d’inchiesta e abile cronista d’assalto.
Enrico Deaglio, Gad Lerner, Miriam Mafai, Bruno Manfellotto e molti altri lo ricordano magro e con i capelli neri e lunghi fin sulle spalle che incorniciavano un viso dal profilo affilato. A bordo della sua Honda 350 Carlo raccoglieva le notizie tuffandosi dentro gli eventi; mischiandosi per esempio fra gli studenti che il 17 febbraio del 1977 protestavano dinanzi all’università La Sapienza di Roma causando la celebre cacciata di Luciano Lama; raccogliendo le testimonianze dei sopravvissuti del terremoto che il 23 novembre del 1980 sbriciolò l’Irpinia; descrivendo la tragedia del piccolo Alfredino Rampi che il 13 giugno del 1981 cadde nel pozzo a Vermicino; denunciando le corruzioni che portarono allo scandalo Lockeed riguardo agli aerei da trasporto C-130 ricevuti dall’Aereonautica Militare a partire dal 1972, con le mazzette miliardarie ai rappresentanti del Ministero della Difesa (scandalo che portò alle elezioni del 20 giugno del 1976 che videro il sorpasso del PCI sulla DC e quindi la nomina di Pietro Ingrao, il primo comunista, a rivestire l’incarico di Presidente dei Deputati).
Ma proprio negli anni in cui Carlo Rivolta debutta sul nuovo quotidiano la “Repubblica” accade il tragico evento di Aldo Moro: il rapimento e poi la morte del presidente ritrovato in via Fani rivelarono però una linea editoriale del giornale che non piacque a Rivolta, che così lascio il giornale e decise di collaborare con “Lotta Continua”, un giornale-laboratorio diretto da Enrico Deaglio. Con l’obiettivo di scrivere senza nascondersi dietro il fantasma ipocrita della mentalità dell’epoca e consentire al lettore di partecipare agli avvenimenti con la stessa passione che muoveva l’autore stesso, Carlo cercava di essere critico anche verso la sua stessa area di appartenenza. Per questa scelta subì critiche da parte dell’ala violenta del movimento studentesco che gli diede del “borghese” nel senso dispregiativo del termine, dai colleghi moderati di “Repubblica” che lo considerano un’estremista nonché dall’autonomia operaia perché per il partito armato i suoi articoli erano troppo rigorosi e informati. Ma furono soprattutto le Brigate Rosse ad intimorire Carlo, che nell’agosto del 1979 ricevette un comunicato proveniente dall’Asinara, in Sardegna, firmata da Renato Curcio, leader delle BR, che si rivolgeva anche a Enrico Deaglio, direttore di “Lotta Continua”, e a Mario Scajola, oggi responsabile della lega musulmana in Italia.
In questi anni Carlo Rivolta decide di occuparsi di un altro evento, la guerra nell’Afghanistan governato da Massoud contro i russi (1979-1989). Tuttavia le pagine più toccanti scritte da Claudio Rivolta sono quelle in cui descrive la periferia di Roma invasa dal traffico di droga: fra le righe di questi articoli si racconta, in uno stile decisamente pasoliniano, la crisi esistenziale dei giovani che cadevano nel bunker della dipendenza. Con un metodo giornalistico così indipendente e coinvolto scrisse di cronaca e vita reale tracciando un profilo dei consumatori e indagando sul sistema dello spaccio, stilando anche dei reportage che univano le storie degli altri con la sua. Carlo, infatti, incontrò la droga e a causa di una crisi d’astinenza cadde dal cornicione della sua casa in via Prestinari, a Roma, e dopo 5 giorni di coma morì.
Carlo Rivolta è ricordato in due celebri libri: “Travolto dal riflusso. L’Italia nella vita e negli articoli del giornalista Carlo Rivolta” di Andrea Monti, scritto nel 2010, e il più recente “L’aspra stagione” di Mauro Favale e Tommaso De Lorenzis, appena pubblicato da Einaudi. I testi riportano nero su bianco la vita di Rivolta, riportando alcuni degli aneddoti che ben ritraggono la sua personalità, anche grazie alle interviste fatte ai colleghi e alle donne che lo hanno amato, come Emanuela Forti, e che ora lo fanno sentire meno solo di quando era in vita.
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