Ancora violenze in Siria: cinque i civili rimasti uccisi stamattina; quattro, tre giovani e una donna, sono morte in una esplosione nella città di Banias, una bambina di sei anni ha invece perso la vita nella regione di Damasco. Intanto, il conflitto rischia di espandersi.
Radio Vaticana - L’esercito libanese presidia l’area di Tripoli, nel nord del Paese, dove ieri vi erano stati sei morti, in scontri tra sunniti e alawiti. Sui rischi di regionalizzazione del conflitto siriano, Stefano Lesczynski ha sentito Antonio Ferrari, esperto dell’area, già inviato speciale del Corriere della Sera: ascolta
R. - Sono mesi che sta avvenendo qualcosa di estremamente preoccupante, soprattutto nell’alto Libano, nella zona di Tripoli, dove è forte la componente sunnita e dove storicamente c’era sempre stato un rapporto di buon vicinato tra sunniti e alawiti (gli alawiti sono quella minoranza che ha il potere in Siria e che sostiene il presidente Assad e il suo entourage). Si sa di penetrazioni di gruppi radicali islamici - già da alcuni anni e più precisamente quando ci fu quella campagna spaventosa all’interno dei campi palestinesi, nei quali si erano inserite alcune correnti jihadiste vicine ad Al Qaeda - ed è proprio Al Qaeda, assieme a un certo tipo di propaganda salafita, che da tempo si sta muovendo in Libano, che potrebbe innescare questo parallelo pericolosissimo con quanto sta accadendo in Siria.
D. - Tutte le autorità siriane si sono dimostrate molto preoccupate per le ricadute sul Libano: hanno ragione?
R. - Purtroppo sì, la preoccupazione è fondata. Non dimentichiamo che per il Libano - al di là di tutti i problemi che ci sono stati nel passato - la Siria era comunque un polmone importante sia dal punto di vista economico che dal punto di vista commerciale. Non dimentichiamo poi che ci sono almeno un milione di libanesi imparentati con siriani e quindi è chiaro che c’è un legame molto stretto. Può essere un legame molto stretto anche quello tra estremisti che tentano di condizionare i sunniti libanesi e creare in Libano quella specie di retrovia per poter rifornire e condizionare anche gli estremisti che lavorano in Siria.
D. - Abbiamo visto che la comunità internazionale si sta rivelando del tutto inadeguata nel fronteggiare la crisi siriana. Questi incidenti in Libano possono essere considerati come un primo indizio di un possibile allargamento a livello regionale del conflitto?
R. - Purtroppo, i segnali ci sono tutti. Però, dobbiamo essere molto chiari e spiegare perché la comunità internazionale è molto scettica nell’affrontare la situazione siriana - e in prospettiva quella libanese - molto duramente e magari anche con un coinvolgimento di tipo non soltanto diplomatico ma anche militare. Siria significa Iran, significa Hezbollah in Libano, che sono sempre e comunque addirittura forze più potenti dell’esercito regolare libanese. Significa anche un certo legame con Hamas, anche se adesso si è abbastanza sbrecciato, e significa soprattutto che sta sulla testa di Israele. Io, anzi, nel silenzio di Israele sulla vicenda siriana, vedo una nota di cinico realismo perché, tutto sommato, Assad può riservare meno sgradite sorprese a Israele di quanto potrebbero provocare estremisti sunniti se un giorno andassero al potere.
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