mercoledì, maggio 30, 2012
Egitto nel caos. Piazza Tahrir, al Cairo, è tornata a ripopolarsi di migliaia di manifestanti, dopo l’annuncio dei risultati delle presidenziali, che hanno visto la vittoria del leader dei "Fratelli Musulmani", Morsi, e dell’ex premier di Mubarak.  

Radio Vaticana - Shafiq, il cui ufficio elettorale è stato incendiato nella notte. Saranno loro a contendersi il ballottaggio. Chiunque sarà il vincitore, dunque, non rappresenterà le istanze di tutti coloro che nei mesi scorsi hanno manifestato fino a determinare la caduta di Mubarak. Salvatore Sabatino ha chiesto a Vincenzo Strika, direttore dell’Istituto per l’Oriente, se c’è il rischio, a questo punto, che l’Egitto possa davvero infiammarsi: ascolta

R. – Speriamo di no, anche perchè l'Egitto è un Paese che ha già tanti problemi. La comunità internazionale dovrebbe intervenire per mantenere buoni rapporti, incoraggiare l’economia, perché poi tutte queste rivolte sono incominciate come “rivolte del pane”: quando si tocca l’essenziale degli alimenti, la gente protesta, se la prende con chi è al governo. La periferia del Cairo, ad esempio, è una cosa tremenda: molti anni fa, il quartiere di Embaba, che è un quartiere periferico, praticamente fu sedato con l’intervento di 15 mila militari. Sono in quartieri come questi che i problemi economici sono enormi ed hanno un gran peso per la stabilità.


D. – I generali che in principio erano visti come i modernizzatori dell’Egitto, oggi sono una casta ricchissima di privilegiati che detiene tutto il potere politico ed economico di questo Paese …


R. – E' vero. Rilanciano anche l’industria militare, in collaborazione con gli Stati Uniti … Gli Stati Uniti hanno cercato di guidare questi cambiamenti politici. Qualcuno ha detto: sostituiamo i vecchi generali con quelli più giovani. La politica americana tende alla democrazia e la democrazia dovrebbe – teoricamente – mantenere stabilità, e questa è una cosa bella. Però, la stabilità della democrazia c’è fino a quando non c’è forte disoccupazione.


D. – L’Egitto è stato da sempre l’ago della bilancia per l’intera area mediorientale. Questi cambiamenti potranno influire sugli equilibri già fragili dei Paesi che lo circondano?


R. – Certamente sì. Naturalmente, non bisogna dimenticare che esistono anche altri Paesi importanti nell'area, come l’Arabia Saudita, che – insomma – ha un suo peso, un peso economico, non indifferente, e che tra l'altro ha legami con i "Fratelli musulmani" anche egiziani, che ricevono fondi da quella parte …


D. – Invece, sul fronte israelo-palestinese?


R. – Non esistono le condizioni per una nuova guerra; esistono le condizioni per situazioni di attrito. Probabilmente sono già incominciate le prime tensioni, tipo gli attentati al gasdotto che viene dal Sinai verso la Giordania e Israele: lì ci sono stati, mi sembra, tre attentati. E’ una pace non-pace.


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