Mentre tutti sono lì a fissare il telefono, in attesa di una qualche rivendicazione, ecco che una nuova pista si apre davanti agli occhi degli investigatori che seguono la vicenda della gambizzazione di Roberto Adinolfi, amministratore delegato di Ansaldo Nucleare.
E-ilmensile - E’ la cosiddetta “pista commerciale” che scarta ogni ipotesi di ritorno di un terrorismo ‘interno’ per puntare dritto verso l’est europeo. Dopo la bocciatura dei referendum di un anno fa, la Ansaldo Nucleare ha portato i suoi affari in Romania, in Ucraina, in Estonia e in Russia, vendendo bene le proprie competenze in materia di componenti speciali, di trattamento di rifiuti radioattivi. Un mercato che in Italia non esiste e – probabilmente – non esisterà mai, che si estende nei territori dell’ex impero sovietico, in balìa spesso di mecenati collusi con la mala, ex papaveri scampati chissà come al dissolversi dell’Urss e gente che si occupa di rifornire l’Africa (e non solo) con quello che rimane dell’arsenale che un tempo fece gloriosa l’Armata Rossa. Sabbie mobili, in pratica, con il rischio altissimo di pestare piedi importanti e pericolosi. E’ così che la firma degli attentatori potrebbe essere da ricercarsi nella stessa pistola usata per gambizzare Adinolfi: una Tokarev 7.62, arma in dotazione all’esercito sovietico fino alla Seconda Guerra Mondiale e poi utilizzata da terroristi e mafie di mezzo mondo nei decenni successi. Questa ipotesi – che vedrebbe l’inchiesta virare verso le paludi della criminalità internazionali – sta prendendo piede tra gli investigatori ogni ora di più, anche perché l’ipotetica rivendicazione tarda ad arrivare e l’Ansaldo Nucleare non sembrerebbe un bersaglio interessante per gruppi eversivi nostrtani. Si tratta, infatti, di un’azienda tutto sommato piccola: 200 dipendenti, 50 milioni di fatturato e un’attività che va avanti soprattutto all’estero, senza l’appeal che potrebbe avere una Fincantieri o una Fiat. Insomma, un obiettivo che difficilmente potrebbe ‘scaldare il cuore’ dei nostalgici della lotta operaia. Forse ci si sta facendo influenzare troppo dalla città in cui è avvenuto l’attentato (Genova) e dal nome pesante dell’azienda (la Ansaldo): particolari che sì rimandano agli Anni di piombo, ma che – oggi come oggi – non hanno più il valore che potevano avere una trentina di anni fa. I dubbi degli investigatori sulla pista neobrigatista riguardano anche il modus operandi dell’attentato, lontanissimo da quello in voga quando il terrorismo rosso faceva paura davvero. Ci sono buchi enormi nell’organizzazione del gesto, dal motorino abbandonato ai pochi colpi esplosi per la gambizzazione, fino – come detto – all’Ansaldo Nucleare stessa, che tutto sembra fuorché un obiettivo sensibile. Elementi che porterebbero dritti all’avvertimento di stampo mafioso più che al gesto politico. Mario Di Vito @delniente
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