Gli egiziani voteranno per le presidenziali il 23 e 24 maggio, ma il clima è di forte indecisione
Cittanuova - Ritrovarsi a scegliere il meno peggio, dopo che piazza Tahrir è diventata l'emblema dei vari sommovimenti nel mondo arabo, ha quantomeno dell'ironico; eppure è questa, a sentire le nostre fonti al Cairo, la sensazione che si respira in Egitto alla vigilia delle presidenziali del 23 e 24 maggio. «Non pochi sono gli indecisi – ci riferiscono –: il candidato più conosciuto sia in patria che fuori è Amr Moussa, ministro degli Esteri con Mubarak, che dice peraltro di voler coinvolgere anche i Fratelli musulmani, pur sostenendo una linea che in occidente verrebbe definita “laica”». La differenza, nei fatti, sta soprattutto tra i candidati di ispirazione religiosa e “civile”: «A raccogliere i voti del fronte religioso potrebbe essere soprattutto Morsy – proseguono –, esponente dei Fratelli musulmani; ma non è un personaggio molto carismatico, per cui molti consensi dovrebbero piuttosto concentrarsi su Fotouh, ex membro dello stesso partito». Il quale, pur presentandosi come moderato, «ha stretto un accordo con i salafiti: per cui dovrà comunque far loro delle concessioni, se verrà eletto». In campo “civile”, oltre a Moussa, c'è il nasseriano Sabahi, che con il suo programma incentrato sui più poveri ha una certa presa sui giovani, e l'ex generale Shafiq, che però conta molti oppositori: l'unica cosa che appare evidente, infatti, è il discredito di cui godono l'esercito e il governo dei generali. E proprio nella relazione tra i militari e il futuro presidente si annida il pericolo più grave: «Se verrà eletto Morsy, i Fratelli musulmani e i salafiti avranno un peso enorme nella vita politicva egiziana – ci riferiscono –, e vorranno cambiare diverse teste all'interno dell'esercito: il quale, però, non tollererà ingerenze, se non altro per non perdere il controllo su quel 40 per cento dell'economia che ha tuttora in mano». Le nostre fonti non escludono la possibilità di brogli, nel caso in cui apparisse essere in vantaggio un candidato non gradito ai militari, approfittando del fatto che è l'esercito a presidiare i seggi: «Già alle scorse elezioni pare ci siano state urne gettate nel Nilo», confermano le nostre fonti. D'altra parte un'eventuale vittoria di Shafiq, che dell'esercito è la longa manus, rischierebbe di provocare una rivolta popolare contro i generali: i quali, probabilmente, «ne approfitterebbero per dire che il Paese non è ancora stabile e non lasciare allora il potere il 30 giugno come previsto». Ma la tentazione dei brogli non sta certo da una parte sola, nonostante la fatwa (condanna religiosa) contro la compravendita di voti emessa dal Darul Iftaa: «Molte persone hanno ricevuto chiamate da gente che diceva di essere della compagnia telefonica – ci raccontano – con la richiesta di fornire il proprio numero di carta d'identità per aggiornare il database dei clienti: peccato che sia sufficiente questo dato per votare al posto di qualcun altro. Stanno perciò girando email che invitano a non dare queste informazioni a nessuno». Al di là delle criticità, la gente è comunque meno agitata rispetto ai mesi scorsi: «Si respira una certa tranquillità anche tra i cristiani, per quanto molti in passato se ne siano andati per paura». Anche tra i giovani sembra non esserci troppo fermento: «Davanti alle urne, non esistono “i giovani di piazza Tahrir”: è un gruppo variegato e i loro voti prenderanno direzioni diverse, così come quelli dei cristiani. All'idealismo è subentrato il pragmatismo: molti considerano sprecato un voto dato ad un candidato che non ha possibilità, anche se è quello che sceglierebbero». Pragmatismo o idealismo che sia, l'interesse per la politica è comunque in crescita: il dibattito televisivo tra Moussa e Fotouh è stato seguito oltre ogni aspettativa. «Alle presidenziali – sostengono dal Cairo – la partecipazione sarà probabilmente più alta perché si vota una persona, più che un partito: e in un Paese patriarcale come l'Egitto, scegliere “il capo” ha il suo peso». di Chiara Andreola
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