domenica, maggio 27, 2012
L’Associazione Antigone ha stilato una proposta di legge che prevede l’introduzione del crimine nel codice penale. Per sostenerla aderiamo all’appello “Chiamamola tortura”

di Paola Bisconti

Ne avevamo già parlato ma non è stato sufficiente denunciare quello che da sempre accade all’interno dei penitenziari in Italia. Questa volta però c’è la possibilità reale che qualcosa possa cambiare grazie all’intervento attivo dell’Associazione Antigone, che offre l’opportunità di aderire a una campagna politica e culturale attraverso l’appello “Chiamamola tortura”, che chiede che sia introdotto il reato nel codice penale italiano. Quanto è avvenuto il 21 maggio ad Asti è decisamente inaccettabile: Riccardo Crucioli, giudice di Asti, deve giudicare le violenze compiute da 5 agenti di polizia nei confronti di due detenuti. Gli abusi sono dettagliatamente elencati dal giudice che durante l’udienza utilizza esplicitamente il termine “tortura” ma i poliziotti colpevoli di reato vengono assolti perché il codice penale non prevede il reato. La notizia ha suscitato indignazione in particolare per i parenti delle vittime che hanno subito questo genere di violenze e che non riusciranno ad avere giustizia finché il crimine non sarà riconosciuto come tale. E’ indispensabile che l’appello venga accolto, anche se già il 4 aprile del 1989 Nereo Battello, senatore del PCI, depositò a Palazzo Madama il primo disegno di legge diretto a introdurre il reato, ddl che però non fu accettato, così come il 17 aprile scorso con quello di Pietro Mercenaro, senatore del PD.

Sarebbe sufficiente un’ora di lavoro per discutere e approvare la legge, ma che cosa in realtà frena la richiesta? Le preoccupazioni politiche, i timori della polizia pronta a difendere il proprio onore e l’indifferenza del popolo, che hanno così trascurato una lacuna imperdonabile nel nostro codice penale.

Eppure la storia della tortura in Italia è antica e i numerosi episodi dimostrano l’utilizzo di tecniche sadiche, sistematiche e ben articolate. Sono in pochi a non ricordare i fatti avvenuti nel 2001 a Genova, ricostruiti dettagliatamente dal film “Diaz” e che una democrazia come quella italiana non avrebbe mai dovuto consentire. Occorre inoltre conoscere quello che accade tutti i giorni all’interno delle numerose prigioni e nei Cie, i “campi di concentramento per i colpevoli di viaggio” (Erri De Luca, su Il Manifesto del 18 maggio), dove vengono rinchiusi gli immigrati costretti a subire sistematiche torture di massa. Una pratica diffusa fra l’altro sin dai tempi degli “incriminati per banda armata” degli anni ’80: chiunque fosse anche solamente sospettato di appartenere alle BR subiva un interrogatorio da parte di Nicola Ciocia, il professore De Tormentis, che abusava della propria divisa nonché del suo potere per infliggere sevizie e violenze inammissibili a chiunque fosse sottoposto alle sue domande.

Secondo il diritto internazionale, tuttavia, la tortura è un crimine contro l’umanità ma l’Italia non la ritiene un reato, compiendo in questo modo un’adempienza rispetto a quanto richiesto dalla Commissione delle Nazioni Unite. L’Italia, inoltre, dovrebbe attenersi alle norme di apertura del trattato di Lisbona della Unione Europea che proibisce categoricamente e senza eccezioni la tortura. Infine dovrebbe istituire un organismo nazionale indipendente con il compito di controllare i luoghi di detenzione, come prevede il Protocollo Opzionale alla Convenzione Onu contro la tortura.

In attesa della risposta da parte del Parlamento italiano, il 28 maggio si terrà un convegno sui diritti dell’uomo e il divieto della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti. A Roma, presso la Sala Europa della Corte di Appello, si incontreranno le associazioni Antigone, Progetto Diritti, Europa Levante, Giuristi Democratici, A buon diritto, Associazione per gli Studi Giuridici dell’Immigrazione. L’incontro sarà introdotto da Mauro Palma, presidente del Comitato per la Prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa, e interverrà anche Essa Mousa, difensore “storico” di Nelson Mandela.

Sono presenti 3 commenti

Anonimo ha detto...

E il Vaticano riconosce la tortura come reato ?

Anonimo ha detto...

Non condivido affatto la proposta di introdurre un reato di tortura ad hoc per ragioni sia tecniche che di opportunità. Dal punto di vista tecnico, diverse sono le figure di reato già esistenti capaci di colpire abusi e violenze perpetrate da pubblici ufficiali contro detenuti (lesioni personali, violenza privata, sequestro di persona, per non parlare del reato di cui all'art. 608 c. p. che punisce proprio l'abuso di autorità contro arrestati e detenuti). Dal punto di vista dell'opportunità politica, non credo sia un buon metodo introdurre nuove figure di reato dettate da una logica più repressiva che preventiva a fronte di singoli episodi che scuotono le emozioni dell'opinione pubblica. Quando si ha a che fare col penale, è bene andarci cauti e usare più la ragione che il sentimento. Piuttosto, lancio una controproposta: se gli abusi e le violenze contro detenuti sono un fenomeno in crescita, perché non prevedere una apposita circostanza aggravante?

Ufficio Stampa Mediacontact.it ha detto...

Trattata da cittadina di serie B non ha potuto godere di quanto, per legge, le spettava. Attualmente Michela non vive né di serate nei locali e neppure di vendite di calendari. Come già più volte ribadito si sta lavorando affinché si consolidi una carriera artistica che le permetta di lavorare, grazie soprattutto all’enorme simpatia che gode in tutto il mondo. Spero che il messaggio sia chiaro questa volta! Battutine da osteria lasciano il tempo che trovano.
Laddove Michela Roth venga debitamente risarcita e le venga dato quanto le spetta, lei sarà in grado di poter pagare quanto effettivamente dovuto. Sarebbe proprio il Comune di Castello di Serravalle, secondo quanto dichiarato da Michela, a dover versare del denaro a lei spettante. Per il momento si trova in condizioni che non le permettono di pagare nulla.
L’Ufficio Stampa, da me coordinato, lavora gratuitamente per Michela nella progettazione di una carriera artistica che pare parta con i migliori auspici. Quando sarà effettivamente operante, la signora Roth potrà far fronte a qualsiasi spesa.
Intanto si deve tutelare l’incolumità di tutti, compreso quella di Michela e non permettere che nessuno possa ostruire il passaggio per entrare e uscire dalla propria abitazione. Siamo certi che le Forze dell’Ordine sapranno garantire questa sicurezza personale, anche perché insieme a lei c’è sempre la bambina di soli tre anni. Fino alla fine dell’anno 2012, alla fine di novembre, quando probabilmente dovrà viaggiare per lavoro, Michela Roth deve poter vivere serenamente senza rischiare aggressioni che, alcuni giorni fa, sono già avvenute e per le quali ha tentato, invano, di presentare una querela presso alcuni rappresentanti delle Forze dell’Ordine.
Per concludere ci auguriamo che dietro a queste “protestucce” non ci sia un’altra regia, di terze persone, di uffici amministrativi compiacenti e che non sia tutto riconducibile, anche, a uno squallido razzismo che proprio non accetteremmo e che non vorremmo, mai, dover segnalare ai media nazionali. L’ombra del razzismo sorge per via di alcuni interventi a tenore antisemita che, seppur espressi in maniera sgrammaticata e volgari da parte di certiutenti, non meglio identificati, nei social network, non possono e non devono essere tollerati nel 2012. Verranno, in ogni caso, segnalati legalmente. Vi invito a cliccare sul link che includo per rinfrescarvi la memoria attraverso la Guida contro il Razzismo. (clicca e leggi)


A danno di Michela un MOBBING,...
www.michelaroth.com

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