Le leggi dello Stato, ammonisce il Papa, "non possono riconoscere l'aborto e l'eutanasia" perché "lo Stato è a servizio e a tutela della persona e del suo 'ben essere' nei suoi molteplici aspetti, a cominciare dal diritto alla vita, di cui non può mai essere consentita la deliberata soppressione"
Benedetto XVI nel suo discorso alle autorità milanesi nella Sala del trono dell'Arcivescovado ha parlato della famiglia, dello Stato e dei diritti delle persone. Nella misura in cui viene superata la concezione di uno Stato confessionale - ha detto - appare chiaro, in ogni caso, che le sue leggi debbono trovare giustificazione e forza nella legge naturale, che è fondamento di un ordine adeguato alla dignità della persona umana, superando una concezione meramente positivista dalla quale non possono derivare indicazioni che siano, in qualche modo, di carattere etico. Lo Stato è a servizio e a tutela della persona e del suo 'ben essere' nei suoi molteplici aspetti, a cominciare dal diritto alla vita, di cui non può mai essere consentita la deliberata soppressione. Le leggi dello Stato «debbono trovare giustificazione e forza nella legge naturale», basando su di essa il loro fondamento etico è il richiamo fatto da Benedetto XVI in un passaggio del suo discorso.
La «laicità dello Stato ha uno dei principali elementi nell'assicurare la libertà affinché tutti possano proporre la loro visione della vita comune, sempre, però, nel rispetto dell'altro e nel contesto delle leggi che mirano al bene di tutti - ha proseguito il Papa Benedetto XVI - La libertà non è un privilegio per alcuni, ma un diritto per tutti, un diritto prezioso che il potere civile deve garantire». «Tuttavia - ha aggiunto - libertà non significa arbitrio del singolo, ma implica piuttosto la responsabilità di ciascuno».
Nel suo discorso, poi, Benedetto XVI ha aggiunto: "La prima qualità di chi governa è la giustizia, virtù pubblica per eccellenza, perché riguarda il bene della comunità intera. Eppure essa non basta. Ambrogio le accompagna un'altra qualità: l'amore per la libertà, che egli considera elemento discriminante tra i governanti buoni e quelli cattivi, poiché, come si legge in un'altra sua lettera, i buoni amano la libertà, i reprobi amano la servitù".
«Il tempo di crisi che stiamo attraversando ha bisogno, oltre che di coraggiose scelte tecnico-politiche, di gratuità» ha affermato poi Benedetto XVI. Ricordando l'opera della Chiesa in favore di poveri ed emarginati ha spiegato che «le comunità cristiane promuovono queste azioni non tanto per supplenza, ma piuttosto come gratuita sovrabbondanza della carità di Cristo e dell'esperienza totalizzante della loro fede».
«Possiamo raccogliere un ultimo prezioso invito da sant'Ambrogio - ha detto il Papa al termine del suo discorso - la cui figura solenne e ammonitrice è intessuta nel gonfalone della Città di Milano. A quanti vogliono collaborare al governo e all'amministrazione pubblica, egli richiede che si facciano amare. Nell'opera 'De officiis' egli afferma: 'Quello che fa l'amore, non potrà mai farlo la paura. Niente è così utile come farsi amare'». «D'altra parte - ha sottolineato Benedetto XVI - la ragione che, a sua volta, muove e stimola la vostra operosa e laboriosa presenza nei vari ambiti della vita pubblica non può che essere la volontà di dedicarvi al bene dei cittadini, e quindi una chiara espressione e un evidente segno di amore». Così, ha aggiunto, «la politica è profondamente nobilitata, diventando una elevata forma di carità». «La legislazione e l'opera delle istituzioni statuali devono 'essere in particolare a servizio della famiglia. Lo Stato è chiamato a riconoscere l'identità propria della famiglia fondata sul matrimonio e aperta alla vita e altresì il diritto primario dei genitori alla libera educazione e formazione dei figli, secondo il progetto educativo da loro giudicato valido e pertinente».
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