Benedetto XVI esce dal Vaticano per incontrare gli sfollati del terremoto in Emilia. Un atteggiamento simile a quello di Pio XII che nel 1943 visitò i quartieri di Roma bombardati con violenza
Il 19 luglio 1943 gli americani bombardarono Roma con 4.000 bombe sganciate in diversi quartieri della città: ci furono 3mila morti e 11mila feriti. Il Pontefice di allora, Pio XII, lasciò il Vaticano (evento rarissimo ed eccezionale per quei tempi) e si recò a visitare le zone colpite. Durante la visita a San Lorenzo, papa Pacelli spalancò le braccia alla folla recitando il salmo De profundis. Poi sul piazzale del Veranobenedì tutte le vittime. Dopo 69 anni l'attuale pontefice Benedetto XVI si reca da Roma in Emilia, dove il terremoto ha provocato 26 vittime, 350 feriti e un esercito di 15mila sfollati. Benedetto XVI con l'elicottero è andato nell'epicentro del sisma nella provincia di Modena e per due ore ha incontrato migliaia di persone, le ha incoraggiate, ha detto loro che non sono e non saranno mai sole e ha promesso che vigilerà sulla ricostruzione. Infine il Papa ha visitato la Chiesa di Santa Caterina a Rovereto di Novi (Modena), dove il parroco don Ivan Martini è morto per il crollo della chiesa dove era ritornato per mettere in salvo la statua della Madonna. E qui ha pregato per il sacerdote deceduto.
Sia Benedetto XVI che Pio XII lasciano il Vaticano per incoraggiare le famiglie delle vittime (del terremoto e quelle della guerra). Il Papa è in questi due casi il Pastore che non abbandona il gregge, non abbandona l'ovile, ma sta vicino alle sue pecore, lenisce i loro dolori e le loro sofferenze abbracciando tutta la Chiesa universale. In questa nostra epoca, con lo sviluppo dei mezzi e delle tecniche di comunicazione, è facile per il Papa, più che mai nel passato, rendersi presente in ogni parte del mondo, non solo con la parola, scritta o parlata, e con l’immagine, ma anche di persona: i viaggi apostolici (ai quali erano ricorsi già, con audace e felice decisione, Paolo VI e soprattutto Giovanni Paolo II, e che papa Benedetto XVI sta sviluppando con spirito così “vivacemente pastorale”), non sono forse un modo per avvicinare il Papa ai credenti?
Ma si tratta pur sempre di contatti non sufficienti ad assicurare una stabile presenza e per fare di questa un mezzo adeguato per il pieno e continuato esercizio del servizio pastorale, che è dovere del Papa nei riguardi di ogni porzione della Chiesa di Dio. Servizio che non è diretto a sostituire o a limitare quello dei Pastori delle chiese particolari, ma a sostenerlo e ad aiutarlo, conformemente alla missione del Papa di essere «servus servorum Dei», e ad assicurare l’unità dei Pastori delle Chiesa intera, come «visibile et perpetuum fundamentum unitatis».
Nota caratteristica del servizio pastorale del Papa – come, del resto, di ogni servizio pastorale nella Chiesa – è l'amore. Esso è stato affidato, infatti, a Pietro quasi in risposta alla triplice sua professione di amore, in risposta alla triplice domanda di Cristo: "Simone, figlio di Giovanni, mi ami tu?" (Gv 21,16). Anzi, il Cristo aveva chiesto ancora di più: «Mi ami tu più di questi altri?» E Pietro, trepidante nel ricordo della sua non lontana, pavida e triplice negazione e consapevole dell'amore che almeno uno dei suoi compagni di vocazione, Giovanni, aveva più di lui saputo manifestare nell'ora della Passione, non osa rispondere a questa così esigente e imbarazzante richiesta e si limita a mormorare, quasi disperato: «Signore tu sai tutto, tu io sai che ti amo». Ma l'esigenza del Signore aveva la sua ragione: avendo stabilito di affidare a Pietro una più grande, universale responsabilità pastorale, Egli voleva sottolineare che questa richiedeva una più grande, universale generosità di amore verso di Lui: se mi ami, e perché mi ami, guida i miei ai pascoli delle verità, della santità, della giustizia, della carità; confermarli, con l’autorità che ti è propria, a cominciare da quelli stessi che con te e sotto di te sarammo Pastori nella fedeltà a me e alla mia parola; difendili contro gli assalti dell'errore; sostienili, con la parola, la preghiera, l'esempio, l'azione, nelle prove e nelle persecuzioni che non mancheranno nei secoli.
Infatti oltre alle capacità e alla preparazione, dal successore di Pietro si attende l’«intelligenza dell'amore». Perché l'amore porta anche a comprendere: non solo, cioè, a vedere la realtà com'è, ma, insieme, a valutarla con oggettività, o meglio con ottimismo. Né si creda che ciò danneggi, facendo scambiare la bellezza di un sogno ispirato dal desiderio, figlio dell'amore, con le durezze di una realtà di fronte alla quale sarebbe pericoloso chiudere gli occhi.
L’amore porta ad agire. Un'azione che, nei due Pontefici, sia pure in epoche storiche diverse, è stata discreta e insieme efficace, grazie particolarmente al contatto vitale che essi hanno avuto con il Popolo di Dio, al cui servizio sono stati destinati essendo entrambi Vicari di Cristo in terra.
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