Il progetto di Claudia Farallo, giovane giornalista freelance, coinvolge alcuni detenuti della III Casa circondariale di Rebibbia, per superare chiusure e disagi
Cittanuova - Ho incontrato Claudia Farallo, giovanissima freelance romana, per uno di quei bellissimi casi fortuiti della vita. Grazie al sostegno del Garante dei diritti dei detenuti del Lazio, ha creato dal nulla un progetto editoriale chiamato “Beccati a scrivere”, insieme ai ragazzi della III Casa circondariale di Rebibbia, un Icatt, ovvero uno dei tre istituto a custodia attenuata, presenti su tutto il territorio nazionale. Ritrovo in lei e nel suo lavoro, con questi giovani carcerati, la passione per il vero giornalismo, quello con la G maiuscola, che nasce dalla sensibilità di una persona, per arrivare all’intelletto e al cuore di un’altra. Quel giornalismo senza tempo che ha fatto grande questa professione, che vuole far riflettere, che vuole indagare, aiutare e contribuire a livello sociale e umano. Quel giornalismo che non è lavoro, ma vocazione vera da, con e per l’altro.
Chi è Claudia Farallo? Raccontaci brevemente qualcosa di te. «Mi sono specializzata in media education all’università La Sapienza di Roma, proprio con una tesi sull’utilizzo dei mezzi di informazione in carcere e sulle possibili attività formative che potevano ruotarvi intorno. Già lavoravo come ufficio stampa e giornalista, soprattutto su temi sociali e mondo no profit. Oggi sono riuscita a coniugare queste due anime: quella educativa e quella giornalistica».
Chi sono i "Beccati a scrivere"? Da dove viene questo progetto e soprattutto dove vuole arrivare? «I Beccati a scrivere sono un gruppo di giovani detenuti che un giorno di ormai quasi un anno e mezzo fa hanno reagito all’indolenza e si sono riuniti nella biblioteca della III Casa. Con un solo scopo: creare un giornalino dove potersi esprimere liberamente e dove poter approfondire le loro passioni. Può sembrare poca cosa, ma in realtà dietro c’è un presupposto straordinario che implica anche un grande cammino da percorrere: voler costruire qualcosa durante la detenzione, un tempo che troppo spesso è dedito all’inattività, mentre secondo la nostra Costituzione dovrebbe puntare alla rieducazione e al reinserimento. E in questo senso dico “straordinario”, con tutta l’amarezza determinata dal pensare alla tragica situazione in cui versa il carcere oggi. Questi giovani hanno invece pensato a un’attività che li portasse, appunto, a pensare. E ad esprimersi come persone, non solo come persone detenute. Perché la detenzione, ovviamente, è una condizione, non un destino né uno stato permanente di diversità. Oggi abbiamo una rivista di 32 pagine che periodicamente esce dalle mura del carcere ed è presente non solo negli altri istituti penitenziari del Lazio, ma anche nei luoghi di aggregazione di Roma, tra i banchi dell’università La Sapienza che ci ha dato il suo patrocinio e tra i singoli interessati che continuano a fare richiesta di riceverla. Il giornale Beccati a scrivere è gratuito, anche se non disdegna le donazioni, che chiaramente sono fondamentali per continuare le attività dell’associazione Express onlus, costituita appositamente per portare avanti questo progetto. Ma non vogliamo fermarci qui. Nel futuro speriamo di aumentare la periodicità della rivista e di arricchirci di nuovi collaboratori, sia dentro il carcere che fuori. A questo proposito ricordo che una cosa molto importante per noi, come per qualunque altra redazione, è avere il feedback dei lettori, che possono scrivere suggerimenti e commenti a beccati@expressonlus.it, anche per rimanere in contatto con l’associazione ed essere aggiornati sui prossimi appuntamenti o sulle novità di questa nostra avventura».
Quali i problemi quotidiani e quali invece le soddisfazioni di questo progetto? Puoi raccontarci un piccolo aneddoto? «I problemi sono all’ordine del giorno, come in tutti i progetti sperimentali. Certo è che all’interno di un carcere la cosa si fa più complessa: i ragazzi reclusi, come potete immaginare, vivono condizioni di forte pressione e devono affrontare quotidianamente la condizione di reclusione che le loro azioni gli hanno determinato, ma soprattutto il pensiero di dove andare, che scelte fare. Quindi capita che un giorno una persona è giù di morale o magari ha ricevuto una brutta notizia, allora in redazione possiamo rallentare il ritmo di lavoro o fare una cosa più “leggera”. Ma l’atmosfera è sempre dinamica e, ve lo assicuro, in redazione dominano i sorrisi, quando non proprio delle sonore risate. Nei limiti di una situazione così particolare e difficile, c’è tanta positività. Questa è la grande soddisfazione: guardare avanti, ricordando sì da dove si viene, ma dandosi la possibilità di un futuro diverso. In questo dobbiamo ricordare che la III Casa di Rebibbia è un istituto a custodia attenuata, che sotto la direzione di Annunziata Passannante e con il valido contributo di educatori attenti, come Roberto De Filippis, referente del nostro laboratorio, punta veramente sulle attività di recupero e sulla comunicazione con l’esterno. Di aneddoti ce ne sarebbero molti da raccontare, ma la vera ricchezza è rappresentata dalle soddisfazioni, dalle vittorie, dai “ce l’abbiamo fatta” e dai cambiamenti personali che si realizzano attorno a quel tavolo».
Cos’è il giornalismo e la scrittura per te e per questi tuoi ragazzi? «Offrire a chi non può accedervi uno spaccato di realtà. Evitare di lamentarsi o di attaccare indiscriminatamente, ma descrivere eventi e storie cercando di farlo nel modo più corretto possibile».
E se uno dei tuoi ragazzi ti dicesse: «Ho scoperto questo lavoro, ne sono innamorato e quando esco voglio continuare a scrivere»? «Mi impegnerei a trovare nuovi fondi per inserirlo in pianta stabile nella redazione del giornale “Beccati a scrivere”, ma ovviamente quest’attività non può offrire economicamente ciò che serve per essere indipendenti. Gli consiglierei di non fermarsi mai: fare ricerche su web, carta, conoscenze personali, per trovare occasioni di inserimento anche non retribuito, farsi conoscere, ritagliarsi tutti i giorni un momento per creare qualcosa, per inventarsi qualcosa. Studiare costantemente, anche a costo zero, utilizzando le infinite possibilità del web. Interrogare amici, parenti e conoscenti. E contemporaneamente trovarsi anche un lavoro con cui mantenersi. A parte le battute, è un settore che richiede molti sacrifici. Storpiando una nota canzone, più che “per bere e per fumare” oggi ci serve “un fisico bestiale” per inseguire i nostri sani e sacrosanti sogni».
Cittanuova - Ho incontrato Claudia Farallo, giovanissima freelance romana, per uno di quei bellissimi casi fortuiti della vita. Grazie al sostegno del Garante dei diritti dei detenuti del Lazio, ha creato dal nulla un progetto editoriale chiamato “Beccati a scrivere”, insieme ai ragazzi della III Casa circondariale di Rebibbia, un Icatt, ovvero uno dei tre istituto a custodia attenuata, presenti su tutto il territorio nazionale. Ritrovo in lei e nel suo lavoro, con questi giovani carcerati, la passione per il vero giornalismo, quello con la G maiuscola, che nasce dalla sensibilità di una persona, per arrivare all’intelletto e al cuore di un’altra. Quel giornalismo senza tempo che ha fatto grande questa professione, che vuole far riflettere, che vuole indagare, aiutare e contribuire a livello sociale e umano. Quel giornalismo che non è lavoro, ma vocazione vera da, con e per l’altro.
Chi è Claudia Farallo? Raccontaci brevemente qualcosa di te. «Mi sono specializzata in media education all’università La Sapienza di Roma, proprio con una tesi sull’utilizzo dei mezzi di informazione in carcere e sulle possibili attività formative che potevano ruotarvi intorno. Già lavoravo come ufficio stampa e giornalista, soprattutto su temi sociali e mondo no profit. Oggi sono riuscita a coniugare queste due anime: quella educativa e quella giornalistica».
Chi sono i "Beccati a scrivere"? Da dove viene questo progetto e soprattutto dove vuole arrivare? «I Beccati a scrivere sono un gruppo di giovani detenuti che un giorno di ormai quasi un anno e mezzo fa hanno reagito all’indolenza e si sono riuniti nella biblioteca della III Casa. Con un solo scopo: creare un giornalino dove potersi esprimere liberamente e dove poter approfondire le loro passioni. Può sembrare poca cosa, ma in realtà dietro c’è un presupposto straordinario che implica anche un grande cammino da percorrere: voler costruire qualcosa durante la detenzione, un tempo che troppo spesso è dedito all’inattività, mentre secondo la nostra Costituzione dovrebbe puntare alla rieducazione e al reinserimento. E in questo senso dico “straordinario”, con tutta l’amarezza determinata dal pensare alla tragica situazione in cui versa il carcere oggi. Questi giovani hanno invece pensato a un’attività che li portasse, appunto, a pensare. E ad esprimersi come persone, non solo come persone detenute. Perché la detenzione, ovviamente, è una condizione, non un destino né uno stato permanente di diversità. Oggi abbiamo una rivista di 32 pagine che periodicamente esce dalle mura del carcere ed è presente non solo negli altri istituti penitenziari del Lazio, ma anche nei luoghi di aggregazione di Roma, tra i banchi dell’università La Sapienza che ci ha dato il suo patrocinio e tra i singoli interessati che continuano a fare richiesta di riceverla. Il giornale Beccati a scrivere è gratuito, anche se non disdegna le donazioni, che chiaramente sono fondamentali per continuare le attività dell’associazione Express onlus, costituita appositamente per portare avanti questo progetto. Ma non vogliamo fermarci qui. Nel futuro speriamo di aumentare la periodicità della rivista e di arricchirci di nuovi collaboratori, sia dentro il carcere che fuori. A questo proposito ricordo che una cosa molto importante per noi, come per qualunque altra redazione, è avere il feedback dei lettori, che possono scrivere suggerimenti e commenti a beccati@expressonlus.it, anche per rimanere in contatto con l’associazione ed essere aggiornati sui prossimi appuntamenti o sulle novità di questa nostra avventura».
Quali i problemi quotidiani e quali invece le soddisfazioni di questo progetto? Puoi raccontarci un piccolo aneddoto? «I problemi sono all’ordine del giorno, come in tutti i progetti sperimentali. Certo è che all’interno di un carcere la cosa si fa più complessa: i ragazzi reclusi, come potete immaginare, vivono condizioni di forte pressione e devono affrontare quotidianamente la condizione di reclusione che le loro azioni gli hanno determinato, ma soprattutto il pensiero di dove andare, che scelte fare. Quindi capita che un giorno una persona è giù di morale o magari ha ricevuto una brutta notizia, allora in redazione possiamo rallentare il ritmo di lavoro o fare una cosa più “leggera”. Ma l’atmosfera è sempre dinamica e, ve lo assicuro, in redazione dominano i sorrisi, quando non proprio delle sonore risate. Nei limiti di una situazione così particolare e difficile, c’è tanta positività. Questa è la grande soddisfazione: guardare avanti, ricordando sì da dove si viene, ma dandosi la possibilità di un futuro diverso. In questo dobbiamo ricordare che la III Casa di Rebibbia è un istituto a custodia attenuata, che sotto la direzione di Annunziata Passannante e con il valido contributo di educatori attenti, come Roberto De Filippis, referente del nostro laboratorio, punta veramente sulle attività di recupero e sulla comunicazione con l’esterno. Di aneddoti ce ne sarebbero molti da raccontare, ma la vera ricchezza è rappresentata dalle soddisfazioni, dalle vittorie, dai “ce l’abbiamo fatta” e dai cambiamenti personali che si realizzano attorno a quel tavolo».
Cos’è il giornalismo e la scrittura per te e per questi tuoi ragazzi? «Offrire a chi non può accedervi uno spaccato di realtà. Evitare di lamentarsi o di attaccare indiscriminatamente, ma descrivere eventi e storie cercando di farlo nel modo più corretto possibile».
E se uno dei tuoi ragazzi ti dicesse: «Ho scoperto questo lavoro, ne sono innamorato e quando esco voglio continuare a scrivere»? «Mi impegnerei a trovare nuovi fondi per inserirlo in pianta stabile nella redazione del giornale “Beccati a scrivere”, ma ovviamente quest’attività non può offrire economicamente ciò che serve per essere indipendenti. Gli consiglierei di non fermarsi mai: fare ricerche su web, carta, conoscenze personali, per trovare occasioni di inserimento anche non retribuito, farsi conoscere, ritagliarsi tutti i giorni un momento per creare qualcosa, per inventarsi qualcosa. Studiare costantemente, anche a costo zero, utilizzando le infinite possibilità del web. Interrogare amici, parenti e conoscenti. E contemporaneamente trovarsi anche un lavoro con cui mantenersi. A parte le battute, è un settore che richiede molti sacrifici. Storpiando una nota canzone, più che “per bere e per fumare” oggi ci serve “un fisico bestiale” per inseguire i nostri sani e sacrosanti sogni».
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