sabato, giugno 23, 2012
Sofferenza e trauma come opportunità di crescita: all’Ateneo Salesiano di Roma si sono rievocati i temi più significativi della logoterapia di Victor Frankl

di Carlo Mafera

A distanza di quindici anni dal precedente incontro sul tema su indicato, avvenuto sempre nella sede dell’Università Salesiana di Roma, si è svolto sabato 16 giugno un convegno che ha sviluppato le varie dimensioni in cui il pensiero del grande psicoterapeuta viennese si è radicato. Innanzi tutto già allora, in occasione del seminario del 1997, venne illustrato il libro di Frankl “La vita come compito. Appunti autobiografici”, e in particolare nella prefazione del libro vennero riassunte sostanzialmente le conclusioni del convegno e in definitiva la buona salute della logoterapia. Infatti estrapolando si legge: “La logoterapia [...] "gode di buona salute" non solo perché le sue tecniche di intervento psicoterapeutico dimostrano ogni giorno di più di avere efficacia e validità, ma anche perché offre continue sollecitazioni in chiave preventiva a quanti hanno a cuore lo sviluppo e la crescita della persona, e dei giovani in modo particolare. Sempre maggiore, infatti, è il numero di genitori, insegnanti, educatori, operatori sociali che chiedono di essere formati alla scuola della logoterapia perché ritengono che essa sia in grado di offrire una visione positiva dell'esistenza umana grazie alla quale favorire la ricerca di senso in un contesto socio-culturale, quale quello contemporaneo, segnato inesorabilmente dal vuoto e dalla delusione".

Dopo tanti anni la logoterapia è diventata una delle forme di psicoterapia più in uso e le altre non possono non tener conto dei principi che animano la terapia inventata da Victor Frankl, dovendo prendere coscienza che l’uomo contemporaneo soffre sempre più per problemi esistenziali e sempre meno per quelli psichici o per quelli legati alla sfera dell’eros.

Per comprendere il pensiero di Frankl, occorre fare un passo indietro e citare almeno il suo “decalogo”, che scaturì dalle riflessioni fatte quando fu internato ad Auschiwitz, dove scrisse "Uno psicologo nei Lager" (Ares, Milano, 1967): è il racconto toccante non solo di una pagina di storia ma del percorso dell’autore, dall’annullamento totale del lager verso una pienezza significativa, grazie a una fede incrollabile in un senso, comunque, dell’esistenza umana. Quando la vita è ridotta ai minimi termini e tutto appare ormai perduto, rimane ancora una libertà fondamentale: quella di scegliere con quale atteggiamento affrontare il proprio destino. Tale scelta forse non cambia il destino, ma certamente la persona. Ecco allora alcune “acquisizioni”, intraviste prima e maturate poi, attraverso la prova dell’olocausto: ogni realtà ha un senso; la vita non cessa mai d’aver un senso, per nessuno; il "senso" è una cosa molto specifica e cambia da individuo a individuo e, per ogni individuo, da momento a momento; ogni individuo è unico, irripetibile, insostituibile e ogni vita contiene compiti e incarichi unici che vanno scoperti e a cui si deve rispondere; è la ricerca dei propri incarichi, e la risposta che si dà loro, che crea un senso; la felicità, l’appagamento, la pace della coscienza, sono il risultato di questa ricerca (non il fine, e quindi non quello che va cercato primariamente); il senso di vuoto e di inutilità è inevitabile se non si trascende se stessi, se non ci si consacra a qualcosa (creatività) o a qualcuno (amore); la sorte avversa non ci impedisce di affrontare il dolore come una prova, un compito, una sfida: l’atteggiamento dipende da noi.

Premesso questo “decalogo”, forse si possono capire meglio gli interventi dei relatori del convegno del 16 giugno all’UPS. Nel primo si è parlato di “Lutto e crescita post-traumatica alla luce del pensiero di Frankl”. Aureliano Paciolla, psicologo forense, ha fatto riferimento alla “triade tragica” (colpa, sofferenza, morte) mettendo in evidenza però che queste possono essere trasformate in positivo e stimolo per un arricchimento esistenziale. Citando Frankl, Paciolla ha detto che “gli stessi elementi che apparentemente sembrano segnati dalla negatività … possono essere trasformati in una conquista, in un’autentica prestazione”.

Altro intervento significativo è stato quello del prof. Franco Poterzio, docente di Igiene Mentale presso la scuola di Specializzazione in Psichiatria dell’Università di Milano, che ha parlato del recupero della progettualità nelle vittime dell’abuso: “Chi subisce un abuso – ha esordito il docente – vive una grave frattura nel proprio “continuum esistenziale”. La ferita inferta nel corpo oltre che nella mente produce una scossa tellurica a livello del Sé corporeo così da destrutturare la stessa identità personologica, con la conseguente perdita di ogni valida progettualità”. Poterzio ha concluso dicendo che “l’analisi dell’esperienza traumatica viene operata con i migliori risultati mediante l’appello ai valori spirituali presenti consciamente o inconsciamente nello spazio psicologico dell’interessato sino ad una sorta di interna pacificazione che, restituendo al soggetto la sua libera volontà di conferire senso alle cose e di riaprirsi ai valori, lo conduca ad una nuova dimensione esistenziale sorretta da una realistica progettualità”.

Senza citare gli interessantissimi interventi del pomeriggio per quanto riguarda l’area clinica e quella psico-pedagogica (per i quali si rimanda al sito dell’Associazione di Logoterapia e Analisi Esistenziale Frankliana), è significativo chiudere, per il tema toccato (Terminalità e senso della vita: oltre il paradosso), con l’intervento di Maurizio Cianfarini, esperto psicongologo presso il Policlinico Umberto I di Roma. Egli ha esordito dicendo che bisogna mettere il paziente al centro dell’intervento e che non bisogna operare una scissione, vedere cioè solo la parte malata del paziente e non quella sana. Questo è un meccanismo di difesa degli operatori. “Troppo spesso – ha detto Cianfarini – si pensa a torto che non ci sia più nulla da sperare da un periodo che viene vissuto solo come attesa della morte. L’esperienza – ha continuato il relatore – ci ha mostrato invece che possono avvenire molte cose sul piano dell’affettività”. Parlare della vita nel momento della morte è un vero paradosso, ma l’essere umano ha le risorse psicologiche, spirituali per andare oltre il paradosso? “L’uomo – dice Victor Frankl - può essere nel suo intimo più forte del destino che gli viene imposto dall’esterno”. Nonostante la patologia oncologica ed il fine vita alterino la relazione con la temporalità, e quindi con la possibilità di esperire la vita in modo autentico, la logoterapia in cui il terapeuta si pone come facilitatore favorendo il “qui” e “ora” e le capacità prettamente umane di auto-trascendenza e di auto-distanziamento permetteranno alla persona di cogliere significati che prenderanno di sorpresa, in maniera piacevole, anche la famiglia e il curante. Cianfarini così ha concluso citando un’esperienza in una famiglia di un morente: “Eravamo nella speranza della vita più che nella certezza della morte”. Quindi si può morire restando vivi.

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