venerdì, giugno 08, 2012
La Spagna dovrebbe presentare una richiesta di aiuti all'Ue nel corso del fine settimana. E' quanto scrive l'agenzia Reuters citando fonti europee.  

Radio Vaticana - Ieri sera era arrivata per Madrid la doccia fredda del declassamento da parte dell’agenzia di rating Fitch di ben tre livelli. La necessità della Spagna di ricorrere ad aiuti Ue è legata alla crisi del settore bancario e all'esigenza di ricapitalizzare diversi istituti, tra cui Bankia, per un fabbisogno totale stimato tra i 50 e i 100 miliardi di euro. Proprio del ruolo delle banche nella crisi Fausta Speranza ha parlato con l’economista Paolo Guerrieri, docente di Economia internazionale all’Università La Sapienza di Roma: ascolta

R. – La crisi europea è nata dalle banche. La crisi europea è nata con un enorme indebitamento dei privati che le banche - tutte le banche, quelle della Germania, della Francia, della Spagna – in qualche modo hanno favorito. Il dissesto bancario si è poi tramutato in un dissesto dei conti pubblici e lì è nata questa crisi gemella, nel senso che la crisi dei debiti sovrani aggrava quella delle banche e quella delle banche aggrava quella dei debiti sovrani. Bisogna intervenire, naturalmente, facendo in modo che i costi del dissesto bancario non siano addossati ai contribuenti, siano essi spagnoli o siano essi europei. Ma per questo ci vorrebbe in qualche modo un meccanismo europeo che ripartisse costi e, quindi, anche un aggiustamento. Da quello che si capisce, l’intervento che si metterà in piedi per la Spagna sarà il solito, quello di dare dei soldi ad un Paese - la Spagna in questo caso e si parla di 50, 80 miliardi di euro – e alla fine sarà il Paese a doversi far carico in qualche modo di questa ristrutturazione, addossandola ai contribuenti. Non si va da nessuna parte in questo modo: si guadagna un altro po’ di tempo, per ritrovarsi con i problemi di sempre.


D. – Con uno sguardo proprio più a lungo termine, si dice da più parti che ci vuole un’unione che sia più forte politicamente e poi un’unione bancaria e finanziaria. Finora abbiamo avuto solo moneta unica senza politiche comuni. Cosa farebbe un’unione bancaria concretamente?


R. – Un’unione bancaria innanzitutto significa guardare ai problemi delle banche oggi in Europa, dei gruppi bancari, come ad un problema europeo. La dimensione di questi gruppi va ben oltre le dimensioni di un singolo Paese; significa in qualche modo intervenire nelle banche che sono praticamente, di fatto, fallite, non addossando i costi ai contribuenti, ma facendoli poi pagare a chi quei debiti ha permesso che si accumulassero e fossero soprattutto dei debiti inesigibili. Significherebbe quindi la possibilità di avere tempo di una ristrutturazione fatta non per salvare la lobby finanziaria di un Paese, ma per rimettere in piedi un efficiente sistema bancario europeo. E’ difficilissimo perché le gelosie nazionali, ma soprattutto gli interessi delle lobby nazionali, finanziarie, hanno di fatto finora impedito e continuano a impedire che si faccia questo passo verso una maggiore integrazione sul piano del sistema bancario, che è fondamentale però, perché siamo arrivati ormai all’ultima fase di una crisi che è peggiorata a vista d’occhio e non troverà a breve una soluzione nei soliti modi di rimandare la soluzione dei problemi.


D. – Di fronte a questa richiesta di un’unione bancaria, il premier italiano Monti spinge; però, ha sottolineato: “definiamola unione finanziaria”. Qual è la differenza?


R. – Innanzitutto c’è da stabilire un fatto: l’unione bancaria non si realizza in una settimana. Qui è importante che ci sia una volontà politica espressa, dichiarata, di voler arrivare ad un vero e proprio sistema bancario e finanziario integrato. Il che significa naturalmente che il sistema bancario in Europa fa parte dell’intermediazione finanziaria. E’ una parte importante, ma non tutta. Allora significa sempre di più: abbiamo creato l’euro, abbiamo creato una sola moneta, l’euro ha creato questo mercato finanziario europeo, che era molto integrato fino alla crisi, e dobbiamo non solo salvaguardarlo, ma rafforzarlo. Parlare oggi di un’unione finanziaria significa ad esempio evitare quello che sta succedendo: la rinazionalizzazione dei mercati finanziari. Le banche italiane prestano i soldi ad imprenditori italiani e così avviene in Germania e così avviene in Spagna e poi vengono salvate. Quindi, il richiamo ad un’unione bancaria, ma in realtà ad un’unione finanziaria, è questo: fermiamo questa rinazionalizzazione, dandoci naturalmente degli strumenti di governo nel mercato finanziario europeo, altrimenti è un semplice auspicio che lascerà il tempo che trova.


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