Nuovo traguardo per gli amanti della bicicletta, che saranno tutelati da una legge che riconosce e garantisce i loro diritti in caso di incidente
Decidere di recarsi sul posto di lavoro in bicicletta non è solo una libera scelta ma una vera e propria necessità dettata dal rincaro dei prezzi della benzina e dalle entrate familiari che scarseggiano a causa di una crisi profonda che sta lacerando il paese. E chi può scegliere la bicicletta invece dell’automobile ne trae solo benefici sia per la propria salute che per l’ambiente. Su questo tutti sono d’accordo, peccato però che fino a poco tempo fa la tutela del ciclista-lavoratore non era pari a quella di un dipendente che raggiunge l’ufficio con l’autovettura: il cosiddetto incidente in-itinere non garantiva la stessa assistenza riservata agli automobilisti, finché il 16 febbraio dell’anno in corso è stato approvato il progetto di legge intitolato “Interventi per lo sviluppo e la tutela della mobilità ciclistica” elaborato da Francesco Ferrante, senatore del Pd, che ha partecipato attivamente alla campagna lanciata da “Repubblica”. Il quotidiano italiano ha a sua volta sostenuto la proposta “Cities for cycling” stilata dal “Times” nata in seguito ad un grave incidente stradale che ha visto coinvolta una giornalista dell’autorevole testata britannica mentre stava andando in redazione con la bicicletta.
L’idea di sensibilizzare l’opinione pubblica sui diritti del ciclista lavoratore ha preso il sopravvento grazie al passaparola di Facebook e Twitter. La rete si è così mobilitata mettendo in atto l’8 febbraio la prima critical mass, che è la versione digitale della modalità tipica dei ciclisti per rendersi visibili al traffico: 38 blogger hanno riprodotto la stessa logica sul web pubblicando simultaneamente lo stesso testo. Il 23 febbraio si è svolta la seconda critical mass digitale che ha visto il sostegno di molti sindaci e autorità politiche pronte ad intervenire concretamente nei propri comuni. Una serie di manifestazioni legate alla campagna “Cities for cycling” si sono svolte il 28 aprile in contemporanea a Londra e a Roma mentre solo pochi giorni fa, il 14 giugno, ben 200 blogger, i sostenitori dell’associazione “Salvaiciclisti” e della Fiab (Federazione italiana amici della bicicletta) hanno messo in atto la terza critical mass digitale diffondendo una lettera indirizzata al premier Mario Monti con l’intento di chiedere una modifica della normativa Inail (in particolare dell’articolo 12 del decreto legislativo 38 del 2000) che regola l’infortunio in itinere del lavoratore dipendente che utilizza la vettura ma non la estende a chi predilige la bicicletta.
Antonio Dalla Venezia, direttore della Fiab, dichiara che l’Italia è l’unica nazione dove esiste il discrimine della bicicletta, perché il nostro paese ha sempre privilegiato la mobilità a motore al contrario degli altri stati dove la bicicletta viene incentivata e riconosciuta come valore sociale. Nel Regno Unito, infatti, è attivo un progetto che si chiama “Cycle Scheme” e prevede una triangolazione tra il ministero dei trasporti, i datori di lavoro e i dipendenti che considerano la bicicletta un benefit aziendale; in Germania un concorso a premi incentiva i lavoratori ad utilizzare la bici garantiti dal supporto della federazione ciclisti tedeschi e da una delle principali assicurazioni sanitarie; infine in Francia si offre un incentivo a chi decide di andare a lavoro con la bicicletta.
Il progetto di legge che è stato approvato fa sperare in un futuro più roseo per gli amanti delle due ruote a pedali: il documento approvato in Parlamento vede infatti l’inserimento del limite di 30 km/h nelle zone residenziali per le vetture a motore e la creazione, dove non già presenti, di piste ciclabili (sfruttando il 2% del budget delle società stradali e autostradali). Il traffico automobilistico dovrà muoversi nel massimo rispetto dei ciclisti, altrimenti è previsto il raddoppio delle sanzioni, che saranno vigilati da un nuovo organo istituzionale presieduto da un commissario della mobilità ciclistica. L’obiettivo della riforma è quello di tutelare chi sceglie di andare a lavoro in bicicletta e malauguratamente rimane coinvolto in un incidente lungo il tragitto: potrà ricevere ciò che gli spetta se dimostrerà di aver percorso una pista ciclabile o una strada protetta e se invece l’itinerario non prevede questa possibilità occorre accertare che non aveva alternative. E’ necessario favorire la cultura della bici, incentivarne l’utilizzo e riconoscere che la ciclabilità è una soluzione efficace e a impatto zero per qualsiasi tipo di spostamento.
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